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O così o per strada! Intervista al musicista Valerio Papa

Creato il 26 gennaio 2016 da Abattoir

L’altro giorno parlavo con un mio amico musicista che mi raccontava le difficoltà che si incontrano per esibirsi nei locali della città. Il gestore di un locale, offrendogli condizioni assurde, gli avrebbe detto “O così, o per strada!”. Secondo il gestore, il “per strada” doveva essere un insulto, una condizione di degrado… Sapete che vi dico? Non lo è affatto! Mi sono ricordata di conoscere un artista bravissimo che suonava nella mia città quando era un ragazzino e che adesso fa il Busker (artista di strada, appunto). Si tratta di Valerio Papa, ed è lui il protagonista di questa mia intervista volta a conoscere meglio qualcuno che “la strada” l’ha intrapresa davvero.

Valerio ha 23 anni, ha fatto il liceo artistico e ha sempre suonato “per i fatti suoi”, da autodidatta, prendendo ogni tanto qualche lezione.

D: Cosa fai per vivere? Da quanto tempo?
R: Faccio il Busker! Da 3 anni circa.

D: Hai una qualche qualifica/idoneità/permesso (non saprei) come “artista di strada”?
R: No. I permessi li faccio al bisogno nelle città che li richiedono.

D: Perché hai intrapreso “la strada”?
R: All’inizio per gioco. Poi è diventato molto di più.

D: Avevi provato altre vie a livello musicale? E lavorativo?
R: Sì. Col mio vecchio gruppo ho girato per locali e palchetti. Ricordo con piacere il concerto di apertura ai Litfiba al Viper di Firenze. Di lavoretti ne ho cambiati un po’ (a Milano più che altro): dal volantinaggio al promoter porta a porta al pizza boy, ma sapevo che erano solo lavoretti di passaggio, sapevo che volevo suonare.

D: Cosa ti ha spinto a fare questa scelta?
R: Il musicista emergente cerca di suonare e di farsi vedere più possibile, ma il giro dei locali è pietoso. Pagano poco (se pagano). Ti chiedono di portare la gente. Dopo aver suonato anni e comprato migliaia e migliaia di euro di strumentazione e dopo centinaia di ore in sala a provare, ti ritrovi a fare il PR per un locale dove nella maggior parte dei casi nessuno è interessato alla musica. Io vado semplicemente dove c’è già la gente e suono, chi è interessato si avvicina. Lo so che la strada è spesso associata a una condizione di disagio, ma per me è solo un posto. Un posto fantastico e pieno di possibilità.

D: Pensi che in Italia sia possibile “campare con la propria musica”? E quali pensi siano i maggiori ostacoli da affrontare?
R: Sì, lo è! Se hai qualcosa da dire ti rimbocchi le maniche e lo fai! L’ostacolo più grande è che devi fare tutto da solo. Non esiste più l’incontro casuale con la persona casuale che ti prende sotto la sua ala e il giorno dopo sei famoso.

D: Il bello e il brutto di essere un artista indipendente? (E il “cattivo”? – da “Il bello, il brutto e il cattivo”)
R: Il fatto che dipendi solo da te stesso fa il bello e il brutto. Io decido dove suonare e quando, questo mi permette di gestire il mio tempo. Non dover rendere conto di niente a nessuno e non avere qualcuno che ti alita sul collo ti rende libero, e questo è impagabile, ma è anche un’arma a doppio taglio. Se ti impigrisci è la fine.

D: Raccontaci la tua esperienza più significativa.
R: Adesso mi viene in mente quando con gli Overdaisy (la mia vecchia band) stavamo scegliendo la scaletta all’ultimo secondo, all’Hard Rock Cafè di Firenze, non riuscivamo a scegliere il pezzo di apertura. A un certo punto si avvicina Piero Pelù e dice: “Ragazzi, potreste suonarmi Luna Rossa? L’ho sentita nel vostro disco e mi è rimasta in testa…” Ovviamente abbiamo aperto con quella.

D: Descrivi la tua giornata tipo.
R: Mi sveglio di buon mattino nella casa in cui vivo con due vecchi amici. Faccio colazione e guardo il meteo. Il METEO. È una fase fondamentale per scegliere la destinazione. Seguo il sole in pratica. Di inverno non vado troppo in giro, più che altro Lombardia Liguria Toscana Piemonte Emilia… Carico amplificatore, pedaliera, chitarra e CD sul mio carrello e vado a prendere il treno. Arrivato a destinazione cerco il posto che più mi ispira e comincio a piazzare la strumentazione (ovviamente scelgo il posto nelle città in cui il regolamento è libero, altrimenti prenoto la postazione che più mi aggrada). Suono le mie 2-3 ore e cerco di interagire più che posso con la gente (tra un pezzo e l’altro) e creo pian piano il mio pubblico fatto di anziani, bambini, gente incravattata, barboni, ragazzini metallari e rockettari più rodati che magari gli Stones li hanno visti dal vivo e sorridono tornando indietro nel tempo per qualche minuto. Finito di suonare mi intrattengo sempre con chi è rimasto fino alla fine, mangio qualche prodotto tipico del posto, faccio un giro per il centro se sono in una città nuova. Poi vado in albergo se sono lontano o riprendo il treno se riesco a tornare in giornata. La sera è il momento in cui mi rilasso, a casa in tranquillità o in giro con qualche collega, ricarico lo spirito per ripartire col sorriso il giorno dopo.

D: Dove ti vedi tra 5 o 10 anni?
R: Sinceramente? In Strada. Felicemente in Strada. Magari con tutta la mia band. Viaggiare. Senza fermarci mai troppo nello stesso posto. Portare la nostra musica in giro per il mondo senza etichette o case discografiche.

Non so voi, ma a me fa venir voglia di lasciar tutto e andare in giro con lui! Se volete conoscere Valerio, seguite i suoi spostamenti sulla sua pagina.


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