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Oggi, 10 febbraio, è il Giorno del Ricordo delle vittime delle foibe e dell'esodo giuliano-dalmata.

Creato il 10 febbraio 2016 da Bernardrieux @pierrebarilli1

Il 10 febbraio è il Giorno del Ricordo delle vittime delle foibe e dell'esodo giuliano-dalmata. 
Tra il 1943 e il 1947 migliaia di italiani, fra essi gruppi di fascisti, ma soprattutto gente comune, colpevole solo di essere italiana e contraria al regime comunista, furono catturati dalle milizie comuniste del maresciallo Tito e gettati - vivi o morti - nelle foibe, cioè  voragini rocciose a forma di imbuto rovesciato, profonde anche più di duecento metri. Per lunghi anni le cavità carsiche nascosero i corpi delle vittime. Le efferatezze furono tali da evocare quasi un disegno di “pulizia etnica”. Intere famiglie si videro costrette ad abbandonare un territorio non più italiano, ma jugoslavo a seguito del trattato di pace del 1947. 
Il sipario del silenzio sui massacri e sugli esodi è calato per oltre mezzo secolo. Si è rialzato quando furono riesumate le prime salme di un migliaio di “infoibati”, altre ne vennero scoperte in seguito, tuttavia è impossibile stabilire quanti finirono negli inghiottitoi, dato che molte cavità sono irraggiungibili. Si ritiene che le vittime siano state circa settemila.
La politica di casa nostra ha cominciato a interessarsi della tragedia giuliano-dalmata solo negli anni 90, e bisognerà aspettare il 2004 prima di vedere il decreto che istituisce il Giorno del Ricordo “per rendere omaggio alle vittime e agli esuli - insieme al riconoscimento delle ingiustizie subite - e per trasmettere alle nuove generazioni i valori di pace, democrazia, uguaglianza e solidarietà, nel segno della tolleranza e del rispetto delle diversità”. La stessa legge ha riconosciuto il Museo della civiltà istriano-fiumano-dalmata, con sede a Trieste e l'Archivio museo storico di Fiume, con sede a Roma. Analogo riconoscimento è dato anche al Centro di ricerche storiche, con sede a Rovigno (Croazia) per il "suo inestimabile apporto dato alla ricerca, allo studio, alla conoscenza e alla divulgazione di queste terre".
Per comprendere la malvagità degli infoibamenti basterà rifarsi ai racconti dei pochi sopravvissuti. Le vittime venivano condotte nei pressi delle foibe, dove si notavano pile di matasse di filo spinato. I catturati, messi in fila, venivano legati alle caviglie con il fil di ferro. Gli aguzzini, servendosi di pinze, legavano poi gli uni agli altri sempre col filo spinato. Quindi conducevano la colonna, capeggiata dal più alto di statura, all’imbocco della voragine. I massacratori si divertivano a sparare al primo che ruzzolando nella foiba, trascinava con sé gli altri compagni della fila. 
 Queste agghiaccianti esecuzioni determinarono, proprio nel ’43, i primi esodi quelli cioè delle popolazioni istriane e dalmate. Nel '47, con il trattato di Parigi che assegnò alla Jugoslavia le province di Pola, Fiume, Zara e parte dei territori di Trieste e Gorizia, si è registrata l'ondata maggiore. Si stima che 35 mila italiani lasciarono case e terre.
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