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Oggi è la giornata delle buone prassi al femminile

Creato il 21 luglio 2011 da Adrianakoala @adrianakoala

Oggi è la giornata delle buone prassi al femminile

Rachel  Deacon – Two Women

Per capire meglio di che cosa sto parlando, leggi prima il post Giornata sui SN alla ricerca di buone prassi al femminile.
Ho deciso di scrivere qui i miei commenti, fondamentalmente perché non vorrei pormi limiti di spazio.
La prima idea che mi è venuta in mente pensando alle buone prassi al femminile è che di certo non ce le hanno insegnate da bambine. Non vorrei cadere nel banalissimo dare tutte le colpe ai genitori, ma sono convinta che la mia generazione sia figlia di quella che ha fatto più bene, ma anche più male, al genere femminile. Il bene è noto, il male, ad esempio, una scissione radicale dalle famiglie d'origine che ha di sicuro reso le donne più emancipate, ma distrutto quella corazzata di donne che per secoli ha caratterizzato la società: quella delle donne che rimanevano a casa mentre gli uomini andavano a caccia, dandosi una mano a vicenda nella gestione della casa (non parlo solo dei lavori di casa, ma anche di quella economica e complessiva) e in quella dei piccoli. Dopo, le donne hanno cercato di farsi più uomo per poter competere sul lavoro (ma il fatto che sul lavoro siamo ben lontane dalla parità, non ci ha ancora fatto capire che evidentemente quel modello non funziona?), e il verbo competere ha preso il sopravvento. Quando eravamo ragazzine, le nostre mamme ci volevano una più bella, più intelligente, più "sveglia" dell'altra. Fortunatamente, crescendo, ho poi incontrato donne che mi hanno chiarito il fatto che c'è ben altro.
Ma ci torerò dopo, perché quanto stavo scrivendo mi dà lo spunto per affrontare, brevemente, un altro aspetto della questione: la maternità. Qui la faccio breve, perché mi pare argomento strausato. Non sono ancora mamma, quindi non ho un'esperienza personale da riportare sulla maternità; faccio anche parte di quelli che a volte si stufano di tutto questo parlar di pance e primi dentini (perdonatemi!); ne ho anche scritto qualche tempo fa nel post Sono una donna, non sono (ancora) una mamma. Ho intorno molti esempi positivi di maternità semplici, anche sul fronte lavoro: su tutte, quella di una ragazza brillante che lavora in una ditta di informatica e che ha potuto continuare a lavorare, un po' in ufficio e un po' da casa, quando ne aveva bisogno (e/o voglia?), in un modo molto soft. Spero che, al momento giusto, per me sarà così. Il fatto di avere un lavoro flessibile mi fa ben sperare: del resto chi ha detto che il posto fisso ha tutti i pregi, e la flessibilità nessuno? Quelli che ci sono, prendiamoceli! Che intanto, poi, magari, nel frattempo, ci assumono...
Detto ciò, e preso atto del fatto che per ora sono donna, non una mamma, torniamo al dunque, visto da una donna: fino a diciamo vent'anni io stessa ho considerato le donne come potenziali rivali, poi ho cominciato ad incontrare figure affascinanti che mi hanno finalmente comunicato l'idea che le donne possano allearsi, aiutarsi a vicenda, sostenersi, consigliarsi, ecc. Oggi considero queste relazioni fra le più importanti, perché la comprensione che può nascere fra donne difficilmente si può instaurare fra donna e uomo.
La chiave per muoversi in questo quadro, a mio modesto parere, è la femminilità, altro tema su cui rifletto da tempo (Che cos'è la femminilità?): lungi dal volersi omogeneizzare, o, peggio ancora, omogeneizzare al genere maschile, le donne dovrebbero oggi ritrovare alcune caratteristiche che indubilmente sono loro peculiari. Penso all'attitudine alla socialità, alla comunicazione, alla creazione di una rete (sarà per questo che siamo così tante blogger? e, che, come nel caso di Se non ora quando, il movimento delle donne si muova proprio nel web? credo proprio di sì); alla generosità, alla vocazione a prendersi cura e aiutare gli altri; al sesto senso, quell'intuito che ci consente di capire al volo le situazioni e di comprenderci senza parole, ma solo con uno sguardo. La volontà di ritrovare questo spirito parte da noi, nel quotidiano. Io cerco, come molte altre donne (vedi anche La storia di Leila, scritta da Marilde Trinchero, selezionata per la raccolta “Lingua madre”), di farlo.
Ma le buone prassi non sono solo quelle che comprendono l'aiuto o la compagnia diretta ad un'altra donna. Un'ottima prassi che dovremmo instaurare (per carità, molte lo fanno già, ma tantissime altre no) è quella di tenere l'attrazione sessuale ben lontana dal mondo del lavoro. Di cosa parlo? Delle minigonne e delle scollature ai colloqui; dell'ancheggiamento su tacco 12 in orari in cui puoi voler solo sedurre il tuo capo, perché altri uomini in giro non ce ne sono. Peggio ancora, parlo delle donne che cedono al ricatto sessuale, mortificando se stesse e rubando il posto a qualche altra che ha scelto la strada, chessò, dello studio, anziché quella del sotto-scrivania. Qui il mea culpa lo dobbiamo fare noi, ragazze; perché se gli uomini non trovassero donne disposte a questo per fare strada, il problema nemmeno si porrebbe. Largo, dunque, alla correttezza, sotto ogni profilo. Per il tubino fasciante c'è spazio il sabato sera.
Aggiornamento: i link agli altri post dei blog partecipanti alla giornata li trovate qui.

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