Magazine Cucina

Oggi parliamo con… Elena Genero Santoro (A. Noseda)

Da Gialloecucina

Buongiorno Elena e grazie per il tuo tempo.

Buongiorno Alessandro, grazie a te per l’ospitalità.

Raccontaci di te. Chi sei e perché scrivi?

Sono una mamma che lavora e che si occupa di tutt’altro nella vita. Scrivo da quando avevo quattordici anni e questo è per me un modo per rapportarmi con la realtà e per trovare delle risposte. Tuttavia, da quando ho dei figli, scrivo soprattutto per loro. Magari non mi leggeranno mai, si sa, i figli ti contestano per definizione. Tuttavia mi piace pensare che un giorno, se vorranno, avranno sempre un modo per ritrovarmi

“Gli Angeli del Bar di Fronte” è la tua ultima fatica. Perché consigli di leggerlo?

Consiglio di comprarlo, così arrotondo lo stipendio! (Scherzo…).

“Gli Angeli del Bar di Fronte” è un romanzo a due voci. Le protagoniste sono due ragazze, un’italiana, Chiara, e una rumena, Paula, che vivono entrambe a Torino. Entrambe sono alle prese con problemi di sopravvivenza. La prima, la cui famiglia era benestante solo fino all’anno prima, lavora in un bar malfamato della Torino nord (Il Bar di Fronte) in attesa di terminare la tesi di laurea. Quando si laureerà, potrà iniziare un lavoro a Grenoble, in Francia. La seconda, pur avendo un titolo di studio specialistico, fa la badante in nero ad un anziano non autosufficiente. Il libro parte da questa situazione molto attuale, molto realistica, per prendere una strada ovviamente più improbabile e meno scontata: sia Paula che Chiara si ritrovano ad avere a che fare con un gruppo di cinque ragazzi rumeni che hanno tutta l’aria di essere dei poco di buono e lo dimostrano  appieno quando due di loro, una sera, cercano di abusare di Chiara all’uscita dal bar. Il loro tentativo va a monte perché quello che sembra essere il loro capo, Vic, li ferma in tempo. Ma Vic, che è tanto affascinante quanto ambiguo, poi convince Chiara a non sporgere alcuna denuncia in cambio della sua protezione. Lei si lascia persuadere, seppur con delle remore, e da quel momento inizia una frequentazione forzata con Vic che pur essendo un ragazzo cortese, non si affranca mai dai suoi compari e copre tutte le loro malefatte, con gran disappunto di Chiara. D’altra parte c’è Paula, che si ritrova a fare i conti con i rischi del lavoro sommerso, che quando si ustiona con un semolino rovente non può nemmeno chiamare il 118 e che sogna l’amore nell’uomo più sbagliato che ci possa essere, senza neanche considerare i sentimenti che il buon Anghel prova per lei.

Il libro è un mezzo per parlare di immigrazione, senza voler essere esaustivo, e vuole mettere in luce le difficoltà che sussistono per quanto riguarda l’integrazione. Nella storia ci sono buoni e cattivi da ambo le parti: quella degli  immigrati e quella degli ospitanti. Non ci sono giudizi definitivi né considerazioni salvo una: la speranza è tutta nella “seconda generazione” di immigrati, che indubbiamente partono avvantaggiati. Inoltre nel romanzo si parla anche di sentimenti, di attrazioni proibite. Chiara subisce pesantemente il fascino di Vic, e pur ritenendo che il suo desiderio verso di lui sia sbagliato non riesce a farne a meno. Vic è una sorta di criminale gentiluomo che si prende cura di lei con molta cavalleria, che vanta un italiano perfetto e anche una notevole cultura, ma che di fatto spende le sue giornate insieme a quattro pseudo criminali senza un motivo palese. Perché lo fa? Qual è il suo interesse? A chi mente? Ci sono una serie di domande che ruotano intorno a Vic e che ossessionano Chiara a lungo, fino al finale col botto. Paula invece attende di essere notata dall’uomo dei suoi sogni, che tutto è meno che un bravo ragazzo e quando ciò accadrà le conseguenze saranno serie e ampie.

Sullo sfondo molti personaggi minori, Giovanni il cassaintegrato ipocondriaco, Armando il barista silenzioso ed empatico, Noemi l’amica che tradisce il fidanzato, Carla la disoccupata depressa e incinta, Anghel, l’innamorato senza speranza che si spezza la schiena ai mercati generali, Gianna la donna in carriera onesta, Eleonora la sorella spocchiosa, Luigi il fidanzato assente e la zia Doina che come unica preoccupazione ha quella di far quadrare i conti in casa. Ogni personaggio secondario ha la sua microstoria, che giunge comunque a una conclusione.

Come lettrice quali libri acquisti?

Tendenzialmente libri con un finale positivo, con dei valori, con un significato. O quelli che mi insegnano qualcosa, che mi portano in un’epoca o un luogo che non conosco. Oppure quelli che guardano la realtà attraverso l’ironia e raccontano cose tremende e tristi pur facendomi ridere.

Ti piace presentare i romanzi in pubblico? Qual è la domanda che ti ha messo in difficoltà, quale quella che più ti è piaciuta, quale quella che nessuno ti ha ancora posto?

Presentare in pubblico per me non è un problema. Faccio presentazioni anche per lavoro su argomenti che non mi appartengono emotivamente e a maggior ragione non ho certo patemi a raccontare di qualcosa che ho scritto io. Purtroppo trovare qualcuno che disponibile a farti fare una presentazione non è semplice dalle mie parti. Finora ne ho potuta organizzare solo una, a due anni dalla mia prima pubblicazione. Nelle biblioteche c’è una lista d’attesa infinita e poca voglia di dare spazio agli scrittori meno famosi. Le librerie peggio ancora. A volte ti concedono una sala disponibile e poi sta a te portarti amici e parenti e qualcuno che parli del tuo libro. Non leggono il tuo romanzo, non ti garantiscono pubblicità e nemmeno presenza di un pubblico. A volte ti chiedono dei soldi per stampare qualche locandina. Ma per fare le presentazioni così, preferisco restare a casa mia. Adesso ho smesso di cercarle. Ci sono modi più efficaci per farsi notare. I social sono uno di questi.

Altri progetti editoriali in fieri?

Qualcosa scribacchio sempre… Vedremo ciò che ne esce…

Intanto Lettere Animate, uno dei miei due editori, mi ha appena comunicato di voler pubblicare il seguito di “L’occasione di una vita”, il romanzo che è uscito con loro nel 2014. Ne sono felicissima!

Perché in Italia si legge così poco? Cosa si può fare per stimolare il pubblico?

È una bella domanda, sai? Io credo che il problema non siano solo i libri, ma che la questione abbracci tutti i campi del sapere. Basta accendere per un attimo la televisione e si vedono trasmissioni come “Uomini e Donne” o i reality. Certo, se tali trasmissioni intasano le reti è perché la gente le guarda, ma sicuramente se in Italia uno vuole soddisfare un’esigenza culturale deve trovarsi da solo il circuito, il canale in cui inserirsi: l’abbonamento ai musei, la tv a pagamento per i documentari, per esempio. E sborsare quattrini, peraltro. Nel servizio pubblico c’è poca educazione al bello, al pregevole; per contro si trova tanto fracasso, tanto urlare. Posto questo imbarbarimento delle proposte c’è anche da dire che quando uno torna a casa la sera a volte è talmente stanco che desidera solo spegnere il cervello. Quindi va in cerca non solo dell’evasione, ma dell’evasione semplice e nulla è più semplice e meno impegnativo di una televisione senza contenuti o di un social network in cui ogni concetto viene espresso per slogan, post e immagini. Leggere un libro intero è un processo lento e articolato: non tutti se la sentono. Poi possiamo discutere del fatto che ci sono libri più complessi, più impegnati ed altri di mero intrattenimento. Ma leggere anche il più leggero e frivolo dei libri è comunque un’operazione complicata per chi ha deciso di non pensare.

Da autore cosa pensi degli editori?

Dipende dagli editori, naturalmente. Di quelli a pagamento penso malissimo e se non avessi trovato delle CE gratuite per i miei libri piuttosto li avrei pubblicati come self. Cosa che inizialmente ho anche fatto. A chiedere soldi agli autori sono capaci tutti, ma allora non chiamiamoli editori, chiamiamoli tipografi. Credo che a parte tutto e con i tempi che corrono, quello dell’editore sia un mestiere alquanto difficile. È risaputo, il mercato dell’editoria è in crisi. Bisogna metterci veramente passione e darsi da fare un sacco per promuovere i propri autori. C’è chi prova e ha tutta la mia ammirazione. Mi dicono gli amici scrittori che hanno pubblicato con le “big” che nemmeno le grandi CE investono nella promozione, o comunque non come dovrebbero. E che ormai le major scelgono i libri solo in base alla potenzialità di vendita e non alla qualità. E che dopo tre mesi in libreria se il tuo romanzo non decolla ti sei bruciato. Insomma, quello dell’editoria è un mondo difficile. L’editore deve cercare di dar spazio alla qualità ma anche di salvare il budget aziendale. È un equilibrio precario. Come autrice, con 0111 Edizioni e con Lettere Animate, due piccole realtà in crescita che cercano di distinguersi per la selezione dei testi e per la promozione degli autori, credo di essere stata molto fortunata.

Un suggerimento a chi legge e ha il suo romanzo nel cassetto?

Premetto che non sono nessuno per dare dei consigli, perché sono tutto meno che “arrivata”, ma se proprio devo dire la mia…

  1. Nel dubbio rileggete il testo una volta in più prima di proporlo a qualcuno. La caccia ai refusi e agli errori è sempre aperta.
  2. Rivolgetevi ad editori non a pagamento: trovate le liste su vari blog tipo Writer’s Dream, ma non solo. Mandate il vostro testo alle CE che hanno collane affini a ciò che volete proporre.

Grazie per la bella chiacchierata. Ora, come consuetudine di Giallo e Cucina ti chiediamo una citazione ed una ricetta che ami!

Grazie a te per avermi ospitata! Ma veniamo a noi…

Ricetta senza glutine e vegetariana (e se si elimina la spolverata finale di parmigiano pure vegana): Sformato di amaranto.

Fai bollire 250 gr di amaranto per mezzora in 700 grammi d’acqua. Poi prendi 2 porri, un po’ di funghi (50 gr di secchi poi reidratati, altrimenti 100 gr), un pezzo di cipolla. Affetta e soffriggi porri, funghi e cipolla con olio d’oliva e le seguenti spezie: sale alle erbe di Cervia, maggiorana, noce moscata e pepe. Dopodiché metti tutto insieme in una pirofila. Spolvera tutto con parmigiano (facoltativo). Infine inforna a 200 gradi per 20 minuti.

Citazione:

“I miei denti? Certo che sono miei. Li ho pagati!” (mio nonno)



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