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Oggi parliamo con… Erika Corvo

Da Gialloecucina

Oggi per la nostra rubrica “una bevuta in compagnia” è qui con noi Erika Corvo. Leggiamo cosa ci racconta nell’intervista rilasciata ad Alessandro Noseda

 
Ciao Erika, benvenuta nel salotto virtuale del blog delle tazzine. Accomodati pure, cosa posso offrirti? Caffè, cioccolata calda o thè?
Grazie a te per l’ospitalità nel tuo salotto! Di solito sono una grande estimatrice di the e tisane, ma ogni tanto una cioccolata calda, d’inverno, è piacevolissima. La accetto volentieri, grazie!

Comincerò l’intervista con una domanda imprescindibile: chi è Erika Corvo? Mi parli un po’ di te?

Erika Corvo è un “Fai da Te” umano. Non aspettatevi Miss Universo, perché sono un cesso. A vedermi non mi dareste due lire, ma so fare tante cose, e tutto quello che so fare, l’ho imparato da sola. Sono nata a Milano nel 1958. Madonna, quanto sono vecchia! Sicuramente sono una donna strana: costruisco mobili, aggiusto elettrodomestici, eseguo piccoli lavori di muratura e idraulica, sbianco casa, lavo a mano la biancheria (non ho la lavatrice) preparo medicinali a base di erbe, e mentre faccio tutto questo scrivo romanzi, e leggo manuali di sopravvivenza di Bear Grylls.
I miei non mi facevano mai uscire di casa, e il mio unico svago erano i libri. Ho imparato a leggere molto prima delle elementari, solo perché mi annoiavo e non sapevo come passare il tempo. Mio fratello era più grande di tre anni, e andava già a scuola. Quando arrivavano i suoi libri, sussidiario e libro di lettura, lui non li leggeva per tutto l’anno scolastico, io li avevo già letti di nascosto prima di novembre. (“Cosa fai col libro di tuo fratello? Mettilo via che glielo sciupi!” “Ma guardo solo le figure.” Palle. Li sapevo a memoria.)
Va da sé che quando venne il mio turno di andare a scuola, mi annoiassi da matti. Loro leggevano Pinocchio, io leggevo Kipling. Loro leggevano I tre porcellini, io leggevo la vita di Pasteur e i cacciatori di microbi. Loro leggevano Piccole donne, io leggevo I Peccati di Peyton Place e Lolita. Loro leggevano Biancaneve, io ci davo già dentro con gli Urania e con Salgari. Non potrei vivere senza leggere o senza scrivere.
Mio padre si divertiva a scrivere poesiole, raccontini, filastrocche e cambiava i testi alle canzoni facendole diventare spiritose. Niente di speciale, ma amici e parenti si divertivano alle sue trovate. Io sono cresciuta sapendo che fosse possibile farlo; era una cosa normale, e credevo che tutti lo potessero e lo sapessero fare. Andavo ancora alle elementari quando ho iniziato a farlo anch’io. E lo facevo bene. Ci sono rimasta male quando ho capito che gli altri, invece, non ci riuscissero.
Scrivere, è sempre stata la mia passione. Ho iniziato col diario, quando ero proprio piccola. Alle medie avevo già scritto varie raccolte di poesie e iniziavo a cimentarmi nei racconti. Ingenui, stupidotti, semplici… ma imparavo cosa si dovesse scrivere, e come farlo sempre meglio. Sono sempre stata spietata con me stessa, non mi sono mai crogiolata pensando di essere brava, se quello che facevo non era perfetto.
Quali sono le mie passioni? Secondo gli psicologi, desideriamo principalmente ciò che abbiamo davanti agli occhi e non possiamo avere. Prima passione: la musica: niente soldi per i dischi? (All’epoca c’erano gli LP in vinile) Con il primo stipendio mi sono comprata una chitarra . Una vera schifezza, ma chissenefrega? Nell’epoca hippie, tutti suonavano e tutti ti potevano insegnare a suonare, così le canzoni che volevo ho iniziato a scrivermele da sola. Lo studio: avrei voluto fare tante di quelle cose, ma i miei mi volevano per forza ragioniera. Ho mollato la scuola e ho imparato di nascosto, sui libri, tutto quello che mi fosse possibile imparare. Lingue, scienza, filosofia, storia… anche per la patente ho studiato di nascosto. Costruire: bricolage. I primi mobili di casa mia li ho costruiti io. Scrivere: e quello che scrivevo doveva essere assolutamente bellissimo, perché sarebbe stato quello che avrei dovuto leggere io. Medicina ed erboristeria: a parte le vaccinazioni di legge, entrambi i miei figli non hanno mai visto un pediatra. Quando non hai soldi neanche per una scatola di aspirina, anche le medicine te le devi fabbricare da sola e sperimentare su te stessa prima di darle ai bambini. Viaggiare, a qualunque costo; perché, come dicevo prima, i miei non mi facevano mai uscire di casa. Le mie vacanze, per una decina di anni, sono state vagabondare per tutta l’Europa con la sola spesa della benzina, dormendo e mangiando in macchina, lavando le magliette e i jeans nel fiume e facendo la doccia con l’acqua scaldata al sole sul tetto della macchina durante le soste, lungo qualche fiume. Se avevi coraggio, una volta, nell’epoca hippie, si poteva fare… Adesso, credo sia troppo pericoloso; ma la voglia di ricominciare è fortissima. Mi sa che quando smetterò di lavorare, ripartirò. Mi troveranno morta sotto un ponte, ma vuoi mettere il divertimento?… Se questo è il prezzo, lo accetto in pieno.
La musica, per me è sempre stata l’eros più profondo. Uno dei miei ricordi più belli è dato da una notte passata a suonare con un certo Davide, incontrato durante un festival musicale. Due chitarre, due cuori. Mai più rivisto. Ma abbiamo suonato i Pink Floyd fino al mattino.
Un giorno, (avevo solo diciassette anni) su una rivista musicale, trovo il bando di un concorso indetto dalla Baby Records: “Se non sei un cane e hai qualcosa di nuovo da dire, vieni e faccelo sentire.” I vincitori avrebbero inciso gratis. Avevo già scritto tante belle canzoni… Ok, mi dico! Vado, e mi fanno incidere! Giuro: non era presunzione ma ero certa delle mie capacità e potenzialità. Con la mia ingenuità di ragazzina e la mia “chitarretta”, schifosa col manico storto, vado e gli faccio ascoltare qualcosa. C’erano i “fratelli La Bionda”, come giudici; cantanti molto in voga all’epoca. Duemila partecipanti. Chi rimane, alla fine? Io e un certo Enzo Ghinazzi, passato poi alla gloria col nome d’arte di Pupo. I La Bionda mi chiesero come caspita facessi a suonare con quello schifo che avevo in mano, e risposi loro col massimo candore che non potevo permettermi altro… Mi hanno accompagnato in un bellissimo negozio di articoli musicali e mi hanno regalato una chitarra favolosa, che ho ancora adesso e venero come una santa reliquia.
Ho inciso “Il mondo alla rovescia”, dieci canzoni. Era il 1977. Ma il mercato, di cantautori impegnati, ai tempi, era stracolmo. Mancavano, invece, cantanti per bambini; Cristina D’Avena non esisteva ancora, e volevano me per quella fascia di mercato. Anche perché, di filastrocche, potevo sfornarne anche cinque o sei al giorno con una facilità estrema. Ma non ho accettato. Cantavo cose impegnate alla De Andrè, che vado a cantare, i Puffi? Ma per favore!
Mi sono divertita, ci ho guadagnato una bellissima chitarra, ma la cosa è finita lì. È stato un bel gioco, e basta.
Mi sono sposata incinta per andarmene di casa, sposata coi vestiti che avevo addosso e basta. Sposata con un disgraziato, geloso e violento, pur di andarmene: una vita di stenti e d’inferno. Soldi per i libri non ce n’erano, dovevo pensare al bimbo, e si faceva fatica perfino a fare la spesa. E quando il mondo dove vivi non ti piace più, ne inventi un altro; le favole che ti racconti la sera per addormentarti e non pensare che non hai mangiato. I libri che volevo, ho iniziato a scriverli da sola. La storia che avresti sempre voluto leggere e nessuno ha mai scritto.
Il tempo passa. Divorzio dal primo disgraziato e ne trovo uno peggiore. Io continuavo a scrivere. I figli sono diventati due. I lavori che ho fatto per sopravvivere sono diventati mille. Parrucchiera, cartomante telefonica, vendita porta a porta, baby sitter, dog sitter, stiratrice, cuoca a domicilio, lavori di bricolage domestico, autista privata, ricamatrice, stiratrice, ripetizioni ai ragazzi delle medie, badante, spesa a domicilio e tanti altri. Poi tornavo a casa e spaccavo la legna per la stufa, sbiancavo i muri, costruivo i mobili con sega, martello, cacciavite e black e decker; ho messo insieme un impianto elettrico, e durante tutto questo ho cresciuto i figli.
I romanzi scritti sono diventati nove. Mai fatti vedere a nessuno, perché gli editori, se sono scritti a mano non li vogliono.
Quattro anni fa ho trovato un posto come badante presso la suocera di un architetto. Un giorno questi mi dice che, per principio, non legge libri scritti da donne, in quanto li trova troppo melensi e sdolcinati. Gli porto uno dei miei lavori e gli dico: bene, leggi questo, l’ho scritto io. Nonostante fossero più di quattrocento pagine scritte a mano, l’ha letto d’un fiato. Poi mi ha regalato un vecchio computer che teneva in montagna e mi ha detto: copialo e presentalo a qualcuno. È veramente bello.

Come hai intrapreso la strada della scrittura? Parlaci dei tuoi libri.

La mia casa è sempre stata aperta a tutti: belli e brutti, santi e dannati, galantuomini e malfattori. Le cosiddette persone “perbene”, appena possono, cercano di fregarti. Brutti, dannati e malfattori… a sorpresa si sono rivelati personaggi di un’umanità sconfinata. Tutti si sono fatti in quattro per aiutarmi, in qualunque situazione difficile mi trovassi. Era giusto darne testimonianza scritta, debitamente romanzata. Un inno ai bassifondi e alla gente semplice che vive ancora di valori veri. Perché succede questo? Credo dipenda dal fatto che nella società “perbene” la gente cresca con l’idea di primeggiare a qualunque costo, anche se a suon di imbrogli, colpi bassi e corruzione. Il profitto è l’unico valore che conti, e le persone sono solo da sfruttare. Nella dura vita dei bassifondi e delle periferie degradate, al contrario, se non c’è collaborazione, cooperazione e mutuo soccorso non si sopravvive. La dignità umana riprende senso e, l’amicizia, fare concretamente qualcosa per il tuo prossimo, è il primo valore. I miei libri rispecchiano fedelmente questa lezione di vita. I cattivi non sono poi così cattivi, e i buoni non sono poi tanto buoni. Niente è come sembra. Tutto è da riscoprire, un tassello dopo l’altro. Scrivo di fantascienza e fantasy, ma i miei lettori si sono accorti che le storie che racconto potrebbero essere ambientate in qualunque luogo e in qualunque tempo e non ci sarebbe nessuna differenza. La trama dei miei romanzi? Non ne parlo mai, perché alla fine la trama è sempre quella; con contorno diverso, ma sempre la stessa: gente che si trova nelle peste fino agli occhi e deve cavarsela contando solo sul cervello, sulla fantasia e sulla capacità di relazionarsi col prossimo stringendo amicizie e alleanze impossibili. Che sia nello spazio, nella foresta, nel passato o nel futuro, non cambia nulla. Cambiano i nomi, i luoghi e i tempi, ma il succo è sempre quello.

Ho avuto modo di leggere il tuo “Black Diamond” e ne sono rimasta favorevolmente impressionata. Il personaggio del capitano Brian Black è, senza dubbio, quello che spicca su tutti gli altri. Ti va di raccontarmi qualcosa su Brian, qualcosa che solo l’autrice può conoscere?

Brian Black è nato da una foto di Brandon Lee che tenevo appesa accanto al letto (e ce l’ho ancora). Mi sono detta: ” che bel tipo, quasi quasi gli cucio addosso un personaggio, e poi gli invento una storia su misura.” E così è stato. Nemmeno sapevo chi fosse, “Il Corvo” l’ho visto qualche anno più tardi. Ovviamente, la storia è di qualcuno nei casini fino agli occhi che combatte per uscirne.. Appena ne risolve uno ne subentra un altro peggiore.
Partiamo dal fatto che qualunque cosa uno faccia senza esservi costretto, la fa per cercare di stare meglio: dall’iscriversi in palestra, al fare nuovi incontri, o al fare uso di alcool o droghe. Per bilanciare qualcosa che non ha il giusto equilibrio, o per creare una sorta di transfert psicologico e liberarsi di fantasmi e paure. I bambini piccoli disegnano quello che gli fa paura per buttarlo fuori da loro. Quando sono un pochino più grandi creano gli amici immaginari, e quando viene il temporale e il tuono li spaventa, abbracciano l’orsacchiotto e dicono a lui di non avere paura, perché tutto finirà bene. Io ho creato Brian Black, e gli ho chiesto di cavarsela nelle situazioni più pazzesche, sul filo dell’impossibile, perché potessi riuscirci anch’io. Scrivo per questo. Per tutte le volte in cui sono stata io a credere di non farcela. Per tutti i secoli in cui ho avuto soltanto Brian come amico. L’amico più prezioso, che ha saputo infondermi la certezza che ci sia sempre una via d’uscita. Che finché lui fosse riuscito a cavarsela anche nell’impossibile, ci sarei riuscita anch’io. In cambio? In cambio ho giurato che gli avrei dato vita. Ci ho messo diciassette anni, ma ho mantenuto la parola. Metà del web, ora, sa chi sia Brian Black. Nella fantasia di tutti i lettori, Brian esiste davvero. Ho pagato il debito. Grazie, Brian. Ti devo la vita.

Brian, il capitano Korly e il resto dei pirati combattono una lotta, apparentemente senza speranza, cosa li sprona a continuare ad opporsi alla Federazione?

Ognuno dei capi della pirateria è mosso da sentimenti e scopi diversi. Korly è una sorta di psicopatico che uccide per divertimento, Diavolo è mosso dalla sete di ricchezza, e il Cobra è un uomo d’azione con i combattimenti nel dna: non potrebbe mai condurre una vita pacifica e sedentaria. Brian, come sappiamo, è mosso da sete di vendetta per quello che la Federazione ha fatto al suo pianeta e alla sua famiglia. A nessuno di loro interessa come finirà, se riusciranno nel loro intento o no, se rimarranno uccisi in qualche loro avventura o se moriranno di vecchiaia nel loro letto, però ci provano con tutte le loro forze. La loro vita, altrimenti, non avrebbe né senso né scopo.

Durante la lettura del libro, tra i vari personaggi, mi ha colpito molto Louise, una serva spunk (una razza umanoide resa schiava) che, abbandonata dai padroni, durante un assalto dei pirati, si ritrova a lavorare per Brian. Il suo percorso di crescita da timorosa serva, convinta di non valere nulla, a coraggiosa piratessa mi è particolarmente piaciuto. Qual è la vera forza di Louise e com’è nata l’idea del suo personaggio?

La prima avventura che ho scritto di Brian non è “Fratelli dello spazio Profondo”, uscito nel 2012, ma “Black Diamond”. Ho preferito aspettare a tirar fuori quest’ultimo per la pubblicazione, in quanto in origine era troppo acerbo, troppo ingenuo, troppo scarno: praticamente ancora un esperimento letterario. Sembrava una favole per bambine… una vera schifezza. Ma l’idea di partenza era ottima e da lì è nata la saga: ad un certo punto della storia, la protagonista femminile chiede a Brian quale sia il suo passato. E allora non solo me lo sono chiesta anch’io, ma ci ho pensato su e ne ho fatto un romanzo sulla gioventù di Brian, “Fratelli dello Spazio Profondo”, appunto. Continuando a scrivere, il mio stile si è evoluto, e “Fratelli” è un romanzo assolutamente maturo. Della saga fanno parte altri due romanzi che pubblicherò più avanti: “Diamond, il mio miglior nemico” possibilmente a breve termine (lo sto copiando al pc) e “Diamond, tutto è possibile”.
Per contro, ogni volta che rileggevo “Black Diamond” lo trovavo sempre più brutto, assolutamente non all’altezza degli altri della serie. E allora, che fare? Prima di tutto mancava un personaggio di contorno. Brian era il solo, incontrastato protagonista, e gli altri solo ombre indefinite. Allora ho creato Louise, con tutta la sua carica di umanità e simpatia. Un personaggio debole, in origine, ma in costante crescita; perché quando sopravvivi a una difficoltà dietro l’altra, non puoi non renderti conto che sei davvero forte, e che vali davvero. Ancora il racconto non mi convinceva. Ho trovato su facebook una decina di volontari , incaricandoli di leggerlo e dirmi, il più spietatamente possibile, quali fossero i punti deboli di tutto lo scritto. Trovo qui lo spunto per ringraziare i “critici” migliori: Luisa Corà e Fabio Belli, capaci di trovare il pelo nell’uovo. Lorenzo Carbone, che mi ha suggerito di dare il titolo di Daimyo a colui che in origine era il barone De Haberd, spazzando via con una sola parola l’alone di favola Disneyana. Ho caratterizzato maggiormente i personaggi e rivisto tutte le soggettive. Louise ha iniziato a parlare nel suo modo caratteristico (bello bellissimo, tanto tantissimo, eccetera). Ognuno doveva avere un lessico suo peculiare… un lavoraccio, insomma, ma pare sia venuto bene. Ne è valsa la pena.

Il libro è narrato da diversi punti di vista, principalmente da: Brian, Louise e Stylo come mai hai optato per questa scelta? È stato difficile gestire i vari punti di vista?

No, ormai per me sarebbe difficile scrivere senza usare il racconto in prima persona. Da giovane ho letto quasi tutta la produzione di Marion Zimmer Bradley. Forse era nelle “Nebbie di Avalon” (ma forse mi sbaglio) che ad un certo punto della narrazione, per meno di una pagina, Morgana dava il suo personale punto di vista. E ho pensato: “ma questo cambia tutta la prospettiva. Perché non ha dato il punto di vista di ciascuno, anche se è possibile intuirlo?”
Il secondo input me l’ha dato “Straniero in Terra Straniera” di Heinlein, uno dei capolavori dello scrittore di fantascienza. A un certo punto del racconto viene chiesto ad Anne, Testimone Imparziale, di dire di che colore fosse la casa che si vedeva dalla finestra. Anne rispose: “da questa parte, è bianca”. Una frase determinante. Dall’altro lato avrebbe potuto essere di qualsiasi altro colore. E di conseguenza, quello che per me è bello, per un altro può esser brutto, e via così. A questo punto, era d’obbligo che ogni personaggio avesse le sue personali opinioni, i suoi punti di vista e il suo modo di esprimersi.

Punto fondamentale della storia è la ricerca dei giacimenti di uranio, il subdolo De Haberd ha trovato un pianeta molto piccolo, sconosciuto ai federali e, con l’inganno, ha convinto il sovrano a dargli in sposa la principessa e, cosa più importante, gli ha ceduto molto terreno. Il Daimyo mi ha rammentato i conquistatori spagnoli che regalavano perline ai pellerossa e, in cambio, si prendevano il loro oro. Volevi far passare il messaggio che, non importa se ci troviamo su un altro pianeta, gli uomini, fondamentalmente, commettono gli stessi errori e le stesse nefandezze?

Esattamente! In “Blado 457” ho mascherato il tema scottante dell’energia nucleare. In “Fratelli dello Spazio Profondo” quello dell’inquinamento e della deforestazione. In ”Tutti i Doni del Buio”, la persecuzione, l’emarginazione e lo sterminio dei diversi e delle minoranze etniche. Li ho chiamati Shakars, ma avrebbero potuto essere indiani, negri, ebrei, gay, zingari, nativi amazzonici, o chiunque altro vi venga in mente in quanto minoranza emarginata. Degli argomenti trattati nei romanzi ancora da pubblicare, beh, ne parleremo al momento opportuno.

Qual è, tra tutti, il tuo personaggio preferito e perché?
Assolutamente, senza alcuna ombra di dubbio, Brian Black, ma penso che si sia capito da tutto quello che ho espresso finora.

Potresti scegliere una citazione, una frase del tuo romanzo che ne rappresenti il fulcro?
Dicono che gli Dèi siano dovunque, pensò. Ma in questo momento, tutti gli Dèi che io conosco sono scomparsi. L’unico Dio qua dentro sono io, ma io sono soltanto un uomo. Sono tanto piccolo. E sono solo.
«Mi credono un Dio, là dentro, ma non è così. Anch’io avevo paura, come loro; una paura tremenda di non farcela, di non essere all’altezza del mio compito!»
«Chi non prova mai paura non è un grande eroe coraggioso, ma soltanto un grandissimo sciocco! Coraggioso è chi se la sta facendo sotto, ma la sua paura la guarda in faccia, la affronta e la supera. Io non so guidare una nave spaziale, padron Brian: siete voi che ci avete portato in salvo, non certo io. Sapevo che voi stavate per cedere, quando non avete ordinato il silenzio, ma sapevo anche che l’amore che provate per i vostri uomini è grande grandissimo, e più forte di qualsiasi paura. Più forte di qualsiasi avversità, della stanchezza e di qualsiasi dubbio. Ed è questo, a rendervi grande, non il fatto che loro vi credano un Dio

Sempre più spesso mi capita di leggere dei bei libri che, a mio avviso, non sfigurerebbero in una libreria ma che sono autopubblicati. Ammetto che questo mi sconcerta leggermente. Come mai hai scelto questa strada? Ne sei soddisfatta?

All’inizio della mia avventura editoriale mi sono scontrata con un fatto: le grandi case editrici non pubblicano fantascienza. A parte Mondadori con la serie Urania, ma in questa pubblicano da mezzo secolo sempre gli autori classici del genere; sempre gli stessi romanzi, fino alla nausea. I numeri che sono usciti negli ultimi cinque ani li ho letti da bambina… sono sempre quelli. Beh, però fanno una cosa meravigliosa: organizzano un bel concorso una volta l’anno, in cui tutti gli scrittori italiani di fantascienza spediscono i loro lavori. Il primo classificato vince la pubblicazione. E poi? Poi basta. Non è che se ti scoprono come buon autore, poi ti pubblicano anche il resto dei tuoi romanzi. L’anno prossimo vincerà qualcun altro. Ma vince davvero o paga una bustarella? E se bisognasse pagare, a questo punto avrebbe un senso? Per me, no. E infatti non gli ho spedito proprio una cippa. In mezzo secolo non ho mai visto nessuno scrittore emergente diventare famoso con gli Urania.
Ok, niente grandi editori. E allora? Ho imparato a servirmi di internet e ho iniziato a presentare uno dei miei lavori a tutte le case editrici che pubblicassero fantascienza. Pensavo, e sottolineo pensavo, che una casa editrice selezionasse il materiale ritenuto migliore e che su di questo investisse un certo budget per poi averne un ritorno. Magari anche voi pensate la stessa cosa. Invece non funziona così.
Tutte, e dico tutte, hanno risposto a distanza di qualche settimana dichiarando che il mio lavoro era bellissimo, ben scritto, assolutamente inusuale, e che li aveva lasciati molto impressionati. Dopodiché veniva la richiesta economica. Soldi. Tanti soldi. Che io, ovviamente, non possiedo. Per darvene un’idea, mi hanno chiesto dai 600 ai 3600 € per pubblicare il mio romanzo. In cambio di che? Di 5 centesimi per ogni copia venduta. Sì, sì, non è un errore di stampa, ho detto proprio 5 centesimi a copia. Non posso farvi i nomi pubblicamente altrimenti mi querelano, ma se mi contattate su facebook ve li do in privato.
Allora ho provato con i concorsi editoriali, sia di case importanti e conosciute, sia di case minori! Su internet ne ho trovati una discreta quantità, per scrittori emergenti e non, con la dicitura “consegna il tuo racconto inedito entro il giorno tale del mese talaltro”. Vai su internet il giorno dopo il termine fissato, e scopri che i concorsi, scaduta la data, sono ancora attivi e la sola differenza è che la data di scadenza è stata posticipata di un paio di mesi. E il gioco continua.
Un concorso sembrava un tantino più serio degli altri, un concorso a livello nazionale che si svolge ogni anno, dove i primi tre classificati vincono la pubblicazione del loro romanzo. Vincono cosa? Mi comunicano via telefono che sono fra i primi tre classificati, e che stanno per spedirmi, con tanti complimenti e congratulazioni, la proposta editoriale. A pagamento, naturalmente. Volevano 2000 euro. Gli ho risposto che a quella cifra mi avrebbe pubblicato qualunque editore, anche se avessi scritto La Vispa Teresa fra l’Erbetta, e senza bisogno di vincere niente!
Questi signori editori raccolgono attentamente tutti i racconti inediti dell’anno, selezionano i pochissimi che ritengono più che validi e idonei alla pubblicazione in modo da avere la certezza assoluta di un cospicuo ritorno economico, dopodiché chiedono lo stesso tutti i soldi necessari agli autori. Loro non rischiano niente, non investono niente, non spendono niente. Guadagnano tutto.
Grazie a Dio esiste il self publishing. Ma puoi pubblicare il più bel libro del mondo, che senza pubblicità non lo venderai a nessuno, oltre che a tuo fratello e tuo cugino. La pubblicità è il novanta per cento della vendita. Devi quindi farti un mazzo così a promuovere i tuoi lavori: tempo, risorse; e se ne hai, anche soldi, da investire in pubblicità! Anche qui c’è poi uno sfruttamento fenomenale da parte di decine di fantomatici recensori, blogghisti, agenzie di servizi editoriali e che altro, che vendono più fumo di quanto ne produca una mandria di locomotive a vapore.
E allora? Scegliete una persona che stia sulle scatole a tutti e fatela fuori. Pare che l’unico modo di pubblicare un libro e avere pubblicità gratis in tv, sia diventare un criminale. Come hanno ottenuto, ad esempio, Amanda Knox, Cesare Battisti, Felice Maniero, Renato Vallanzasca, il comandante Schettino, Salvatore Parolisi, Alberto Stasi, Raffaele Sollecito, Renato Curcio, Fabrizio Corona… Poi c’è quel deficiente che ha ammazzato la prostituta e ne ha fatto un romanzo, pubblicizzato direttamente sul tg di Italia uno. Ho saputo in questi giorni che anche Pietro Maso ha scritto un romanzo con le sue memorie, pubblicato con un grande editore e ben pubblicizzato in tv. Se però non vi sentite di commettere un omicidio, sappiate che ha pubblicato anche Monica Lewinsky…
Uscirò a breve con altri romanzi, ma se non mi vedrete in libreria, saprete che è perché non ho guai con la legge e non faccio p… al presidente degli Stati Uniti.

Come realizzi e scegli le copertine per i tuoi libri?

Le prime volte, gli editori mi hanno detto di andare su siti di immagini in vendita e scegliere tra quelle. Peccato che di immagini che riguardino la fantascienza non ci sia assolutamente niente. Di fantasy, meno che meno. Mi sono arrangiata scegliendo, per “Fratelli dello spazio Profondo “ l’immagine di un bel figliolo armato fino ai denti e, per “Blado 457” un bellissimo viso maschile. Adesso cerco di farmi elaborare qualche immagine da amici che sappiano usare Photoshop, o coinvolgo amici che bazzicano l’ambiente dei cosplays, disposti a travestirsi a dovere come i miei personaggi dovrebbero essere. Direi che sia stata una buona soluzione, ne sono molto soddisfatta

Quale sarà il tuo prossimo progetto letterario?

Inteso come romanzo, sto finendo di copiare “Diamond, il mio miglior nemico”. Come progetto in senso di novità… audiolibri. Finora sono stati denigrati e relegati a prodotto di nicchia per bambini, per non vedenti ,o per ipovedenti. Secondo me hanno invece un potenziale pazzesco completamente ignorato. Perché, per leggere, bisogna sempre avere le mani occupate da un volume in carta, da un e-reader o altro? La gente
ascolta musica in treno, in metropolitana, in bici, mentre fa palestra, mentre prende il sole, mentre cucina, stira o compie qualsiasi altra attività. Perché non realizzare degli audio books in modo che in tutte queste circostanze, oltre che ascoltare musica, non si possa anche leggere?
Ho realizzato un insolito booktrailer, praticamente un audiotrailer, e altri mi hanno subito imitato. Forse c’è un cambiamento nell’aria, e chi lo sa? Io ci credo. Vedremo. Un audiobook è già in fase di lavorazione, ma per ora non mi pronuncio sul risultato. Se sarà convincente, lo porterò a termine e proseguirò per quella strada.

Cosa ne pensi della situazione dell’editoria italiana? Ormai è un dato di fatto: gli italiani leggono sempre meno, come autrice hai mai pensato a quali soluzioni si potrebbero adottare per riavvicinare le persone al libro?

Come dicevo prima, ma per farti pubblicare gratis da un grande editore, devi avere per forza ammazzato qualcuno? La prima legge del marketing è investire per avere dei ritorni. Se pubblica solo quell’autore che ha duemila o tremila euro da spendere, indipendentemente dalla qualità di quello che ha scritto, e non è l’editore stesso ad investire nel materiale che ritiene più valido, il risultato è che quello che sta in libreria non interessa a nessuno. Non si comprano più libri? E che vi aspettavate? Pubblichino gratis chi merita, non chi arriva dal Grande Fratello.
Resto comunque soddisfatta di aver pubblicato lo stesso, alla faccia loro! Alla fine ho trovato degli angeli. La Booksprint. Quando hanno saputo delle mie condizioni economiche ben al di sotto della soglia di povertà, hanno deciso di fare tutto gratis, e me l’hanno comunicato il giorno del mio compleanno. Avete mai ricevuto un regalo del genere? Persone gentili, serie, competenti, disponibili, affidabili… sono stata circondata di attenzioni fino al momento in cui ho avuto il libro tra le mani. Non fanno pubblicità? E chissenefrega, hanno fatto anche troppo, e del resto non la fanno neanche quelli a pagamento!
Ho trovato, successivamente, la Youcanprint e la e-Pubblica che hanno pubblicato gratis, brava gente con cui mi sono trovata benissimo. Ma non mi fido più di tutte le chiacchiere che ho sentito finora, e sconsiglio a tutti di pubblicare a pagamento, alle condizioni che vi ho esposto. Certo, se uno ha tanti soldi e la voglia di cavarsi uno sfizio, perché no? Chi si compra la Ferrari, chi la pelliccia, chi un attico con vista panoramica, perché non pubblicare un libro? Ma non fate sogni campati in aria: si scende subito.
Le soluzioni per avvicinare la gente ai libri? Bisognerebbe partire dalle scuole elementari, dare in lettura ai bambini i volumi migliori, i più avvincenti, i più coinvolgenti. Credo che i Promessi Sposi li abbiamo odiati un po’ tutti, due marroni così. Se facessero leggere qualcosa di più interessante, la lettura non sembrerebbe un castigo o un compito di scuola da portare per giovedì. E per quanto riguarda gli editori, togliere dalle vetrine tutta quella paccottiglia indigesta e insulsa nata solo per fare cassetta. Puntare sul merito. Investire in testi che valga davvero la pena di pubblicare.

Quali sono i tuoi autori preferiti?

Come faccio a citare un autore in particolare, con tutto quello che ho letto? Impossibile! A quali resto più legata, almeno? A tutti quelli scritti da Robert Heinlen, Robert Sheckley, Ursula Le Guin, e poi Marion Zimmer Bradley, l’infinita serie degli Urania, la collana Cosmo dell’Editrice Nord, l’esilarante e splendida trilogia del Piccolo Popolo dei Grandi Magazzini, di Terry Pratchett. A tutto quello che hanno scritto Piero Angela, Giovanni Guareschi, Luciano De Crescenzo, Conrad Lorenz, Kipling, Victor Hugo, Bear Grylls, Valerio Massimo Manfredi, Anthony De Mello, Zacharia Sitchin, Graham Hankhock, Pirandello, Allan e Barbara Pease… E ancora tomi di psicologia, patologia forense, medicina, grafologia, psicologia evolutiva, etologia comparata, astronomia… e come faccio a citare tutti? Solo gli Urania e i Cosmo erano centinaia!

C’è un personaggio letterario che ti è rimasto nel cuore?

Un personaggio in particolare, no; con tutto l’elenco di poc’anzi, direi che si impossibile averne uno solo. Ma ti posso citare i romanzi che mi hanno colpito in particolare: “Niente di Nuovo sul Fronte Occidentale” di Erich Maria Remarque, “La Torcia” di Marion Zimmer Bradley, “Julie dei lupi” di Jean Craighead George, e “Il Cavaliere d’Inverno” di Paullina Simmons. Li rileggerei settemila volte, fino a consumarne le pagine.
Ma non posso dimenticare “Fiori per Algernon” di Daniel Keyes, “La Sentinella” di Frederick Brown, “Il Problema della Servitù” di William Tenn e “Straniero in terra Straniera” di Robert Heinlein. Questi ultimi quattro li lessi da bambina, e devo dire che hanno lascito il segno.

Con questo ho finito le mie domande. Ti ringrazio per essere stata con noi e spero di leggere presto altri tuoi libri, ti auguro buona fortuna per i tuoi progetti futuri.

Grazie a voi per avermi ascoltato e dedicato qualche minuto della vostra vita leggendo le mie parole. Vi lascio i link delle mie canzoni (finora solo cinque) che ho postato su Youtube, sperando che vi faccia piacere ascoltarle. Sono gratis e danno un’idea di quello che possano essere i testi dei miei romanzi.
Salute e saluti! Un bacio dalla vostra Erika Corvo.



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