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Ombre nere sulla laguna di riccardo alberto quattrini

Creato il 01 settembre 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

COPERTINA

Venezia, 8 ottobre 1943. XXI E.F.

La serata era fredda e limpida. Una luna screziata, che entrava e usciva da una nuvolaglia sottile come zucchero filato, illuminava a tratti i coppi sconnessi della piccola chiesa. L’ingresso aveva un portone nero scardinato con borchie arrugginite. Le mura erano fatiscenti, così le pareti dai contorni scuri, dove persistevano tracce dei quadri di un tempo. La grande croce dell’altare mostrava un Cristo appeso a testa in giù. Il pavimento in mattoni rossi aveva, nel camminamento centrale, diversi buchi e fessure. La luce traeva origine da un’infinità di candele, sistemate lungo le pareti e attorno al catafalco ricoperto da un drappo nero, sistemato sotto la piccola abside, dalle cui finestre filtravano spifferi gelidi. Attorno, in un’atmosfera sacrale, sei figure avvolte in una specie di saio scuro, con un cappuccio ampio che ne ricopriva il volto e lo nascondeva alla vista, sotto non indossavano nulla, erano completamente nudi. Nessuna voce si udiva, persino i respiri erano quasi trattenuti. Una delle figure sul lato corto del catafalco, che dava le spalle a quello che un tempo era stato un altare, pronunciò: «In nomine e Satanas as Luciferi nostra exclesia altare nostrum introibo.»

Era una voce femminile, crocchiata da un uso massiccio di tabacco.

«Introducetela» e fece un gesto in direzione della figura alla sua sinistra.

Questa fece un paio di passi e scomparve dietro una porta che portava alla sagrestia. Quando riapparve, teneva per il braccio destro una giovane donna. Aveva capelli biondi e lunghi che le scendevano sulle spalle, una tunica bianca informe, teneva le braccia nude lungo i fianchi. Aveva un passo ciondolante e incerto. Quando fu accanto al catafalco, un altro adepto aiutò il primo a sollevarla e a distendervela sopra. La tunica le venne levata. Bianca e lattea al pari di quel tessuto. Le pettinarono i capelli dorati, le disposero le braccia lungo i fianchi e le distesero le gambe, unite. Il suo corpo pareva ancora acerbo, il seno minuto, in attesa di sviluppo. Gli occhi erano chiusi, il respiro era quieto, come se dormisse.

Avrà avuto non più di diciotto, vent’anni.

I due adepti si ridisposero ai lati, la sacerdotessa alzò le braccia e il tessuto scivolò dagli avambracci ampi e flaccidi che vibrarono come budini.

«In nomine Satanas, dominatorem terrae, rex mundi, praecipio copias», e posò le mani sulla testa della ragazza, per poi proseguire «tenebrae tincidunt ut extendent, mando copia, tenebrae et da nobis gratiam ut extenderent det nobis sua benedictione» e le segnò la fronte con una croce invertita.

Tutti i convenuti si segnarono allo stesso modo la fronte. Le candele, a quel punto, raggiunte da una ventata gelida penetrata dal portone centrale, baluginarono creando lunghe ombre tremolanti, sulle pareti. Gli adepti sentirono la folata penetrare sotto i sai e gelar loro le gambe, inturgidire i genitali, accarezzare la vagina.

Un adepto si avvicinò all’officiante; teneva nelle mani una scodella d’argento con delle Ostie consacrate. La porse all’officiante che ne prese una e la sollevò con entrambe le mani.

«Hostiam consecratam Satan». L’adepto allargò le gambe alla fanciulla distesa e la celebrante le infilò tre volte l’ostia nella vagina, per poi sollevarla e ripetere: «Hostiam consecratam Satan».

La divise e la portò alla bocca. Gli altri adepti la imitarono. Presero ognuno un’ostia, la intinsero per tre volte, poi la divisero e la inghiottirono. Venne portata una caraffa di cristallo. La ragazza fu sollevata a sedere, uno dei convenuti s’inginocchiò ai suoi piedi e le mise la brocca sotto la vagina in attesa che urinasse. Quando avvenne, la sacerdotessa prese la brocca la sollevò e disse:

«Aperienda est, portae inferi, et venite ad me, his nominibus appellatam: sud Satana, est Lucifero, nord Belial et ovest Leviathan»

Per ogni nome pronunciato si rivolgeva ai quattro punti cardinali e beveva un sorso di liquido. Poi passò la caraffa agli adepti che fecero lo stesso. Ci fu qualche colpo di tosse che ruppe quel solenne silenzio. Il vento si era fatto più intenso e freddo, le fiammelle dei ceri oscillavano imitate dalle loro ombre sui muri.

…………………………

Una telefonata e il passato ritorna d’attualità per il commissario Pino Bonivento e riapre una vecchia ferita; un’indagine mai conclusa e una rinuncia che ancora brucia. Erano tempi cupi, e non c’era altra scelta, ma questo non basta a placare la sete di giustizia di un poliziotto vero. Seguendo a ritroso una lunga striscia di sangue ormai rappreso, e di corpi miracolosamente recuperati, il commissario ricostruisce, tassello per tassello, i fasti di un’epoca e i vizi nascosti. Emergono particolari inquietanti, una setta satanica guidata da una cartomante, personaggi importanti che sfruttano l’occultismo, e la magia del Cinema, per coprire istinti inconfessabili. Venezia, con i suoi canali, le sue storiche dimore e le sue calli, è l’ambientazione giusta per una storia ammantata di mistero. Un gioco di incastri e ingranaggi che si perfeziona nella scena finale, drammatica ma con un esito inaspettato.

 OMBRE NERE SULLA LAGUNA DI RICCARDO ALBERTO QUATTRINI

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