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One Person One Language

Da Sfollicolatamente
Un recente commento di Viola al post che avevo scritto sul bilinguismo mi ha fatto tornare voglia di parlarvi di come ci gestiamo noi in famiglia, e delle questioni che mi ronzano in testa, che magari le vostre idee possono aiutarmi a chiarirmi le mie...
Da quando e' nata Picca, non so piu' quante volte ho assistito alla seguente serie di commenti
"Oh, ma tuo marito e' inglese!"
(si)
"Oh ma parla inglese alla bambina?"
 (si)
"Aaaah ma allora sara' sicuramente bilingue, che fortunaaaaaa""
(mah).
Fino a qualche tempo fa ci credevo pure io, e reagivo a questi commenti con un sorriso compiaciuto ed il cuore di mamma orgogliosa che mi si gonfiava in petto.
Poi ho cominciato a riflettere sul fatto che non e' proprio cosi automatico che Picca sara' bilingue.
Certo, avra' un vantaggio rispetto ad altri bambini, ma questo non vuol dire che si rapportera' all'inglese (la sua lingua minoritaria: la lingua del papa') allo stesso modo in cui si rapportera' all'italiano (la lingua maggioritaria: la lingua del contesto in cui vive, del nido, dei nonni, degli amici, ecc.).
Certo, che poi ora non mi si ponga il problema perche' tanto lei disdegna di proferire parola alcuna al di la di poche, perentorie locuzioni di diniego o di sdegno quando osiamo contraddire la volonta' di Sua Maesta'...ecco, quella e' un'altra faccenda.
Ma facciamo un passo indietro, e torniamo alle (a quanto pare solidissime) basi della teoria linguistica in fatto di bilinguismo. Tutti i professoroni e i guru della linguisitica sembrano essere concordi sul fatto che ciascun genitore debba parlare al figlio nella propria lingua madre.
La chiamamo la teoria della One Person One Language (OPOL), e ci puo' anche stare.
Nel senso che io non vorrei mai insegnare alla Picca il mio inglese con accento da montanara, come non vorrei che imparasse l'italiano di Dear Husband, che altrimenti mi scambia la maglietta per la maiala, il tetto per l tette, e l'aperitivo per l'imperativo (che su quello son pure d'accordo: l'imperativo morale dell'aperitivo quotidiano!).
Inoltre, non avrebbe molto senso per la Picca se io le parlassi in inglese, visto che solitamente, nelle interazioni quotidiane con altre persone, mi vede parlare in italiano.
Questa non e' una cosa scontata, perche' ci sono famiglie di italiani che vivono in Italia che, in nome del "mio fiuglio lo cresco bilingue", decidono di parlare al figlio in ingles.e
Cioe', loro parlano sempre italiano (alle maestre, al panettiere, agli amici, ecc.) ma, appena si rivolgono ai figli, all'improvviso si mettono a parlare in inglese.
Mah.
Io lo capisco che queste persone lo fanno con tutta la buona volonta' del mondo, e per una giustissima causa, e si applicano, e fanno del loro meglio, e lo fanno per amore della prole.
E magari a volte funziona anche (ma credo che quando funziona, e' perche' c'e' tutto un contorno di tate o au-pair madrelingua e di scuole e di summer camps ecc., che vanno ben oltre l'apporto dei due genitori italiani).
Pero' continuo a pensare che non abbia molto senso.
Va proprio contro quello che in psicologia si chiama 'validita' ecologica', che altro non e' che un nome sofisticato per dire che "Non c'azzecca niente con il contesto generale per come viene percepito dal bambino". Cioe' tu mamma, parli a tutti in italiano, ma allora perche' mai a me parli in inglese?
Mi chiedo se in famiglie che hanno scelto questo tipo di interazione, poi il bambino in effetti parli inglese o se impari solo a capirlo (come del resto succede anche in alcune famiglie dove c'e' proprio un genitore madrelingua che parla la lingua minoritaria, figuriamoci se non deve accadere nelle famiglie dove entrambi i genitori parlano la lingua minoritaria senza essere madrelingua). Oppure mi chiedo se il bambino non rimanga proprio confuso nel cervello e basta. Del resto, perche' mai un bambino dovrebbe sforzarsi di usare una lingua che per lui e' minoritaria, quando sa benissimo che la mamma lo capisce eccome, l'italiano, avendola vista parlare italiano in tutti gli altri contesti (con le maestre, con i nonni, dal panettiere ecc ecc)?
E qui veniamo al nodo della matassa. Cioe' al bilinguismo in casa Sfolli.
All'inizio eravamo tutti belli ligi e precisini. OPOL: Dear Husband parla inglese e Sfolli parla italiano.
Cioe', ligi neanche poi tanto, perche' poi c'era la complicazione che DH stava studiando italiano, e che al lavoro lo esortavano a fare pratica con l'italiano, e insomma spesso gli partiva la frase in italiano, ma poi DH veniva immediatamente cazziato riportato alla giusta causa da un'agguerrita quando ingenua Sfolli.
Certo, perche' non puo' che essere da ingenui pensare che - in presenza di una mamma parlante italiano e di un papa' che si, a lei parla inglese, ma nel contesto generale (con i nonni, dal panettiere, con gli amici, ecc ecc) parla italiano - la Picca non capisca che puo' tranquillamente rilassarsi e parlare italiano, che tanto noi la capiamo lo stesso!
E qui secondo me l'idea dell'OPOL si rivela per quella che e', ovvero una linea guida, che pero' non va presa alla lettera, ma adattata ad ogni specifico contesto della famiglia bilingue.
Nel nostro caso, io parlo inglese, quindi perche' non parlare inglese in presenza di DH? Perche' se DH mi dice "Gaia and I are just like bread and butter", io gli devo dire "Si, caro, siete proprio belli insieme, proprio come Gianni e Pinotto"
.........................
Tanto piu' che, se DH rimanesse veramente l'unica persona che parla a Picca in inglese, non credete che sia un po' pochina, come esposizione ad una lingua, perche' lei la possa davvero imparare ad un livello che giustifichi la definizione 'bilingue'?
Soprattutto considerato che DH e' spesso via per lavoro, e che comunque lui la vede, e le parla, molto meno di quanto non faccia io.
Per cui mi chiedo se la faccenda dell'OPOL non dovrebbe in qualche modo anche considerare se a parlare la lingua minoritaria sia il genitore che passa piu' tempo col figlio o meno (e qui mi guardo bene dal sottintendere che la madre sia quella che passa piu' tempo col figlio, eh - Boldrini zitta e bbona lasciaci lavorare). Nel nostro caso, penso che la OPOL sarebbe molto piu' efficace se fossi io, il genitore che parla la lingua minoritaria (per esempio se vivessimo in UK), visto che sono io a passare piu' tempo con Picca.
Insomma, visto e considerato tutto questo pippone, credo che serva parecchia piu' esposizione alla lingua minoritaria di quello che la OPOL possa far intendere. Per cui, noi per ora facciamo cosi:
1. Quando c'e' DH, io parlo inglese (a meno che non siamo dai nonni o dal panettiere, nel qual caso parliamo entrambi italiano, altrimenti non ci capirebbe nessuno).
2. Quando io sono con Picca da sola, le parlo in italiano, e ne sono ben contenta, perche' e' la mia lingua ed e' nel mio cuore e posso rendere tutte le sfumature che voglio senza sembrare una mentecatta con problemi di fonetica.
(a volte penso a come mi vedrebbe una Picca quindicenne se la sgridassi in inglese, visto che ad un madrelingua probabilmente suonerei come una treenne col ciuccio in bocca che biascica qualcosa dopo che la mamma le ha messo la melatonina nel biberon della notte. Con l'aggravante che Picca gia' e' una stangona e a ora dei 15 anni mi guardera' dall'alto in basso come un Watusso guarderebbe un pigmeo. Gia' non brillo in fatto di autorita' e disciplina, figuriamoci in una lingua non mia)
3. Quando DH e' via per lavoro per tanto tempo, io le parlo in italiano, ma ai pasti facciamo un mini intermezzo ludico in cui le parlo in inglese. A quanto pare, se il cambio di lingua appartiene ad un momento ben circoscritto, i linguisti danno la loro benedizione.
E poi niente, si viaggia in UK il piu' possibile (non perche' io gia' smani di tornare a bussare alle porte della clinica implorando di sborsare altre migliaia di sterline in cambio di un gran bel punto interrogativo, no no no - noi dobbiamo tornare in UK per il bene della Picca bilingue)!
Secondo me, puo' andare. Infatti la Picca e' gia' avantissimo e ha gia' detto la sua prima parola. No, non ha detto 'mummy', non ha detto 'daddy', e neanche "Thank you, Mother, for your incommensurate love and devotion, you are and always will be The Queen of My Heart". No, ha detto YUMMY. Che vuol dire gnam gnam. Pero' non e' gnam gnam, e' yummy. Ed e' una parola parolissima. Lo dicono anche i linguisti di tutto il mondo, eh. Si si.


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