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Onorevole bancomat

Creato il 09 aprile 2012 da Albertocapece

La prima parte del capitolo destinato al finanziamento dei partiti, quello sulle fondazioni è qui

Onorevole bancomat
Anna Lombroso per il Simplicissimus

Magari in questo tripudio di organizzazione politiche promosse a bancomat, master per menti deficitarie, giardini pensili padani, carte di credito itineranti, vi siete preoccupati per qualche desaparecido, escluso dal consenso e dai conseguenti benefici. Magari vi siete chiesti, ma il Mastella starà vivendo là a Maddaloni negli stenti, nell’indigenza e nel risentito oblio? Lontano dal Parlamento e dagli agi connessi? Voglio rassicurarvi, anche lui “percepisce”. Per l’esattezza 800.000 euro di rimborsi elettorali regionali. E se Mastella sorride, non tutti i pensionati piangono: l’omonimo partito si accinge a ricevere 885.000 euro in cinque rate per le ultime regionali, non troppo impegnative se la spesa complessiva per la campagna elettorale ammontava a 40 mila euro.
Dal 1994 a oggi ognuno di noi ha contribuito alla non proprio sobria sopravvivenza dei partiti al budget di 2.700 milioni di euro, a titolo di rimborso, versato mediante bonifico dal c/c di Montecitorio alle tesorerie dei partiti, piccoli medi grandi, presenti o assenti in Parlamento.

Lo Stato finanzia i partiti con i soldi pubblici, non in base alle spese sostenute, ma in base ai seggi conquistati. I pagamenti sono suddivisi tra rimborsi per Parlamento, Senato, Regione, Parlamento Europeo. Ma essere eletti non è nemmeno necessario per avere accesso ai finanziamenti: il premio scatta una volta raggiunta la soglia dell’1 per cento, anche se magari quel determinato partito non è entrato in Parlamento non avendo superato la soglia di sbarramento del 5%.
Non è dunque retorico e nemmeno qualunquista chiamare “legge truffa” la legge del 1993 che reintroduce acrobaticamente il finanziamento ai partiti sotto forma i rimborso dopo che un referendum l’aveva abrogato, partiti che non sono stati votati e che non rappresentano se non i propri interessi.

Sappiamo come entra nelle loro casse quella montagna di soldi, a coprire con lussureggiante dovizia le spese elettorali … forse. Perché non sappiamo come vengano spesi: non c’è obbligo di giustificare le uscite, non esistono strumenti e procedure trasparenti di verifica per sapere se i quattrini versati a un partito siano stati impegnato come il movimento, liquido o organico, solido o aereo che sia, dichiara di averli spesi. Paradossalmente i dirigenti potrebbero indirizzare buona parte del rimborso per aprire una bisca o una casa di tolleranza che per qualche partito semplificherebbe i rifornimenti di carne fresca. O anche per finanziare una task force di killer.

I revisori del Parlamento hanno proprio in questi giorni ammesso che la loro vigilanza non può estendersi al controllo della “effettiva corrispondenza” tra quanto dichiarato dai partiti e “l’effettiva situazione fattuale”. Insomma un’ammissione di impotenza a verificare se i quattrini spesi per materiali di propaganda o per ristrutturare la sede sono stati davvero spesi a quello scopo. La Corte dei Conti, che ad oggi non ha facoltà di controllo perché i partiti sono entità private, si candida allo scopo, ma non è improbabile, visti la lunga tradizione, che venga istituita una autorità, una commissione, un organismo di “tecnici”. Che non avranno vita facile, perché la legge stabilisce che in effetti debba esserci un bilancio, indica quali voci debbano avere carattere di trasparenza, fissa anche le procedure per la compilazione delle dichiarazioni, ma non permette ai revisori di entrare nella fattispecie dei numeri. E come conferma il caso Lusi il soggetto che ha diritto al rimborso intestatario del credito, magari è una formazione elettorale, dietro alla cui “etichetta” ci sono più partiti. Così il soggetto responsabile, interlocutore dei revisori in materia di trasparenza, non è un tesoriere, ma un amministratore estemporaneo che rappresenta una coalizione che dopo le elezioni può sciogliersi e evaporare magicamente.

Eh si se la banca non ti fa un prestito per avviare un’attività, se l’azienda non ha successo e nessuno ti aiuta a andare a Detroit, conviene “aprire” un partito, basta raggiungere l’1 per cento e è fatta, hai vinto l’unica lotteria che non sia truccata, come ha fatto Pionati, scissionista dell’Udc, giornalista Rai in aspettative che col suo partitino al servizio di tutte le maggioranze non ha da aspettare molto i lauti rimborsi delle elezioni in Molise.
L’antipolitica ha molte variabili. Non possiamo trascurare che se i partiti sono diventati soggetti separati se non ostili alla cittadinanza, è perché le istituzioni rappresentative nazionali in cui sono chiamati a far sentire la loro voce sono state da tempo svuotate di un potere decisionale assunto, extra legem, da chi stabilisce accordi privati sul mercato globale. In questi anni sono state privatizzate non solo le centrali del latte o le aziende di trasporti, ma anche la sovranità e il potere decisionale. E sarà vero che siamo entrati nella post democrazia parlamentare, nel disincanto della rappresentatività tanto che affidare la cosa pubblica ai tecnici sembra una soluzione efficace quando i problemi sono ormai troppo complicati per lasciarli a inadeguate e incompetenti istituzioni sempre meno rappresentative.

Così l’attacco alla democrazia non viene più da neofascisti più’ o meno pittoreschi, qualunquisti più o meno combattivi, ma da una minaccia più raffinata: dall’uso capzioso che ormai apertamente viene fatto dell’oggettivo fastidio, della distanza che si è scavata fra società civile e istituzioni politiche. Gestito da candidati alla sostituzione efficiente e specialistica: imprenditori, editori, professori, comici, vanno bene tutti purchè dichiarino la loro distanza siderale dal sistema politico, dai suoi “luoghi”, dalle sue regole per essere pronti come diceva il compagno Mao a bombardare il quartier generale. Per ora pare che abbiano girato i cannoni e bombardino noi: questi sono gli effetti secondari di un’antipolitica che finisce per accanirsi contro la cittadinanza, la partecipazione, anziche contro i poteri forti, quelli che stanno a manovrare dietro le quinte, solidi e indisturbati.
E l’ipotesi di un pesante esercizio “vicario” dei tecnici è confermata dalla frettolosa candidatura a “risolvere il problema” della ministra Severino. Che propone di aggirare le 18 proposte di legge che giacciono inoperose per ricorrere a uno sbrigativo decreto legge. E d’altra parte l’avvicendamento dei governi ha lasciato immutata l’inclinazione a lasciar deteriorare le situazioni critiche in modo che diventino emergenze, da affrontare con deleghe in bianco, leggi speciali, commissariamenti.

In Italia meno del 4% degli elettori si dichiarano soddisfatti dei partiti politici, un malessere che serpeggia tutto il mondo della democrazia rappresentativa, che guarda loro con crescente sfiducia, disprezzo, perfino rabbia nei confronti di una sfera separata, abitata da professionisti, organizzata dalle élite di partito, protetta dal linguaggio tecnico e dalla prassi burocratica degli amministratori e, in vastissima misura, impermeabile ai bisogni e alle domande dei cittadini intenta a custodire solo i propri interessi, gli amici, i parenti, gli affiliati.
È improbabile vengo da loro, che sembrano abitare nel Settecento inglese, quando il sistema politico si aggiudicò l’epiteto di “Old Corruption”, il cambiamento che dobbiamo rivendicare e provocare noi stessi. Un soggetto politico si deve costruire sulle fondamenta di un progetto collettivo che deve definirsi grazie e conoscenze e cultura comuni. Un primo passo può essere quello del ragionare insieme intorno alla tutela degli strumenti referendari, agli esiti di quelli già tenuti e a quelli che si possono e devono proporre. Per cancellare immediatamente il finanziamento dei partiti così comeera stabilito dalla volontà popolare espressa e tradita. Per lavorare a una disciplina che consenta anche ai privati di contribuire, alla luce del sole e per quantità previste e limitate al finanziamento dei partiti che potrebbero esser indotti a rinnovarsi per ottenere la fiducia del cittadino il quale otterrebbe in cambio una detrazione fiscale molto più ampia rispetto all’attuale. Per esercitare una pressione dei cittadini per il varo immediato di una legge anticorruzione, antiriciclaggio, antievasione, contro quei crimini che impoveriscono l’economia e quella democrazia che dobbiamo riprenderci.


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