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Open Data Day 2016: un punto di vista esterno

Creato il 05 marzo 2016 da Annovigiulia @AnnoviGiulia

Oggi era l' open data day 2016 e io ho partecipato all'iniziativa organizzata nella città in cui abito. In questo post vorrei raggruppare alcuni pensieri "a caldo" sulla trasformazione in atto intorno agli open data. Per quanto io non sia un'addetta ai lavori, seguo il discorso da diversi anni e sono tutt'ora un'utilizzatrice dei dati rilasciati dalle pubbliche amministrazioni.

Diversamente dagli altri anni non ho raggiunto Bologna, ma mi sono fermata a Modena.
Con grande rammarico la prima impressione è stata quella di vedere un pubblico formato prevalentemente da addetti ai lavori: amministratori, ingegneri, docenti universitari. Il fatto che gli open data abbiano attratto l'attenzione di persone così altamente qualificate è certamente utile a formulare un pensiero più organico, complesso e ordinato intorno al fenomeno dei dati aperti. Tuttavia l'obiettivo della giornata, che era quello di liberare dati e incoraggiare i cittadini a maneggiare gli open data, è andato perso. Per il prossimo anno sarebbe bello affiancare alla riflessione, che è stata di somma importanza, un' attività di laboratorio o una piccola sessione dimostrativa.

L'altra riflessione che è scaturita dalla conferenza di stamattina, è che gli open data stanno diventando sempre più complessi a causa di una precisa burocrazia che deve essere applicata attorno a essi. Quest'ultima è fondamentale per assicurare la qualità dei dati ad esempio. Sono rimasta impressionata dalla presenza di vere certificazioni per gli open data, nonché di un " dizionario", che indica tutti gli elementi da rispettare per assicurare una corretta informazione. Perché dico informazione? Perché i dati raccontano storie. Se non sono di qualità (statistica ad esempio), il rischio è quello di trarre conclusioni sbagliate. Insomma in questo ambito sono stati fatti passi da gigante.
Quello che manca ancora è un fronte comune a livello nazionale. Mentre si parla, ancora si dice che questo dataset appartiene a quell'ente e che quindi non è possibile integrare i dati; che quell'informazione è rilasciata meglio da un istituto piuttosto che dall'altro; che il merito va agli attivisti "opendatari" o all'ente statale.
Pure a un livello più alto c'è frammentazione: l'Italia procede a differenti velocità, con Regioni che hanno saputo integrare dati raccolti in tempo reale ( la Toscana), mentre altre hanno ancora a che fare con i file in pdf senza metadati.
Un pensiero analogo l'ha esplicitato anche chi ha lavorato nell'ambito degli open data molto più da vicino rispetto a me, che non sono altro che un'osservatrice esterna. Matteo Brunati in un post pubblicato su Medium rileva il medesimo problema.

Ora mi chiedo, non sarebbe opportuno sollecitare una riflessione a livello nazionale? Qual è il fine? Difendere il solito campanilismo o rendere un servizio a cittadini, imprese, territorio?
La strada intrapresa è quella buona, perché la discussione si è accesa e pare proceda con un dibattito approfondito. L'importante è non perdere di vista l'obiettivo: che i cittadini abbiano accesso ai dati (sia con mediatori che non, a seconda delle competenze); che gli amministratori o le aziende possano apprendere da quanto viene fotografato da un dataset per poter programmare meglio il futuro; che gli enti preposti alla liberazione dei dati siano messi in condizioni di lavorare, fornendo loro mezzi, aggiornamenti, confronti con altre realtà.


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