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Ora e sempre resistenza

Creato il 30 aprile 2015 da Indian

Lezioni condivise 99 – W il soldato Masetti

Ritorno alla ricerca di parallelismi tra Ungaretti e Leopardi, che come già detto mi appare un poco artificiosa e di scarso interesse. Ungaretti lesse e studiò Leopardi ed è dunque naturale che vi sia stata una minima contaminazione, tuttavia meno determinante di quanto si vuol far credere.

La mia impressione è che nonostante Leopardi abbia ideologizzato il pessimismo, traduca questo suo stato d’animo in versi generalmente giocondi, vivaci e relativamente solari, mentre l’approccio Ungarettiano appare lugubre ed è semmai più vicino al Foscolo. Ammetto che questa percezione possa essere in buona parte personale, legata anche a reminescenze d’infanzia, quando certe parole e sensazioni sono come sassi, pesano.

Consideriamo ancora Il sentimento del tempo, “Memoria d’Ofelia d’Alba” in Leggende:

Da voi, pensosi innanzi tempo,/ troppo presto/ tutta la luce vana fu bevuta,/ begli occhi sazi nelle chiuse palpebre/ ormai prive di peso,/ e in voi immortali/ le cose che tra dubbi prematuri/ seguiste ardendo del loro mutare,/ cercano pace,/ e a fondo in breve del vostro silenzio/ si fermeranno,/ cose consumate:/ emblemi eterni, nomi,/ evocazioni pure…/.

Un epitaffio! forse lo è, ma la dicotomia è tra chi si raffigura i campi elisi come distese di grano o praterie e chi tali a sepolcri marmorei venati di grigio, affini piuttosto alla teoria kafkiana del pugno sul cranio al lettore.

Se Ungaretti ha colto dei concetti del recanatese (tutto è vano, inconsistente, si disperde), il modo in cui li espone fa la differenza.

“Notte di marzo”, sezione “La fine di Crono”:

Luna impudica, al tuo improvviso lume/ torna, quell’ombra dove Apollo dorme,/ a trasparenze incerte./ Il sogno riapre i suoi occhi incantevoli,/ splende a un’alta finestra./ Gli voli un desiderio,/ quando toccato avrà la terra,/ incarnerà la sofferenza./

Qui immagini positive vengono fatte crollare senza scampo, si usano il sogno e il desiderio come maschere della sofferenza.

Il pessimismo di Leopardi viene espresso in racconti di vita, figure realistiche, per cui potremmo anche confutare il suo parere, averne un’altra visione, meno drammatica, dal toscano abbiamo invece dei flash senza scampo, più vicini ai monumenti funebri degli antichi egizi, mio terrore di bimbo nel cinema paesano, che evocano più scongiuri che un ragionamento.

“Stelle” in Sogni e accordi:

Tornano in alto ad ardere le favole./ Cadranno colle foglie al primo vento./ Ma venga un altro soffio,/ ritornerà scintillamento nuovo.

Ci risiamo: le favole, che incarnano speranze e desideri, cadranno al primo vento: è rappresentata la capitolazione dei sogni, apparenze che non durano. Tuttavia, visto il contesto generale, questa sembra quasi ottimista.

Nella sezione “Sogni e accordi” de Il sentimento del tempo, si tratta dei sogni legati al cielo, la luna, gli astri, ma sotto una luce inquietante, come in “Ultimo quarto”:

Luna,/ piuma di cielo,/ così velina,/ arida,/ trasporti il murmure d’anime spoglie?/

E alla pallida che diranno mai/ pipistrelli dai ruderi del teatro,/ in sogno quelle capre,/ e fra arse foglie come in fermo fumo/ con tutto il suo sgolarsi di cristallo/ un usignolo?”

“Rosso e azzurro” in Sogni e accordi:

Ho atteso che vi alzaste,/ colori dell’amore,/ e ora svelate un’infanzia di cielo./ Porge la rosa più bella sognata. Il sogno continua ad essere visto con una accezione illusoria, negativa.

Non si salva neppure il “Primo amore”, contrapposto alla notte” in Leggende:

Era una notte urbana,/ rosea e sulfurea era la poca luce/ dove, come da un muoversi dell’ombra,/ pareva salisse la forma…/

Era una notte afosa/ quando improvvise vidi zanne viola/  in un’ascella che fingeva pace./

Da quella notte nuova ed infelice/ e dal fondo del mio sangue straniato/ schiavo loro mi fecero segreti./

Nella sezione La fine di Crono vi è un “Inno alla morte”…:

“Amore, salute lucente,/ mi pesano gli anni venturi./

Altro aspetto che certa critica avvicina alla poetica leopardiana è la presenza della natura in modo mitico e drammatico (“Paesaggio”, “Le stagioni”, “Di luglio”, “D’agosto”), i temi dell’innocenza e della memoria (“Ti svelerà”, “Dove la luce”), la contrapposizione finito-infinito.

L’avvicinamento a Leopardi non è visto soltanto in una mera appropriazione di temi, ma anche nella condivisione della sua filosofia. Ungaretti ne ripropone l’ideologia usando metafore e immagini. La natura mitica e drammatica del “Sentimento” si svilupperebbe come in Leopardi nella “Ginestra”. Il condizionale è d’obbligo, giacché il marchigiano, pur con un sole cupo, non trascende e soprattutto, almeno nel passato trova qualche elemento positivo, mentre per Ungaretti la memoria è una iattura (vedi lezione 90).

Questi terreni, cosparsi/ di ceneri non produttive, e ricoperti/ di lava fattasi pietra,/ che risuona sotto il passi del viandante;/ dove il serpente si annida e si contorce/ sotto il sole, e dove il coniglio torna/ all’abituale tana tra le caverne;/ furono pieni di città ricche e campi coltivati,/ biondeggiarono per i campi di grano e/ risuonarono per i muggiti delle mandrie… (da “La ginestra”).

Tra le attenzioni che Ungaretti ha per Leopardi vi è quella religiosa, egli la riscontra nei versi e la certifica nelle parole del poeta al padre, ove afferma di non essere mai stato ateo. Il presunto ateismo di Leopardi andrebbe cercato nella sua filosofia estrema, ove l’assenza di Dio serve da avvallo ai suoi argomenti, giacché la sua presenza sarebbe consolatoria.

Argomento controverso anche in Ungaretti che lo incrocia in un percorso quasi opposto e trasversale, che si incontra, ma infine diverge, perché dalla riflessione leopardiana sull’inutilità della fede consolatoria, nasce infine “La preghiera” (Inni):

“Signore, sogno fermo,/ fa che torni a correre un patto./ Oh! rasserena questi figli./ Fa’ che l’uomo torni a sentire/ (…) Vorrei di nuovo udirti dire/ che in te finalmente annullate/ le anime s’uniranno/ e lassù formeranno,/ eterna umanità,/ il tuo sonno felice.”/

La ripresa di parole della lingua quotidiana, riferibili anche a Leopardi: buio, quiete, notte, ombra, mare, isola, amore e morte, felicità, sogno, favola, luna, è talmente comune che dubito non ci sia poeta mediamente prolifico che non le abbia usate.

La presenza di Leopardi viene vista anche nel “Dolore” e ne “La terra promessa”, ma valgono le considerazioni già fatte, non vi è respiro, vita, solo negatività senza scampo e questa è una presa d’atto, non un giudizio; può anche essere una scelta questo buio senza soluzione, ben comprensibile per il dolore negli affetti, meno nei lamenti di altra natura. Contrariamente a certa critica non vedo bene il messaggio lanciato in “Non gridate più”, ove non attacca affatto la guerra, ma chi grida per condannarla.

La guerra, oggi è diventata spudoratamente un business, da una parte per i signori della guerra, dall’altra per chi di celebrazione in celebrazione perde la misura di ciò che è stata, è e sarà; non ha bisogno di essere fatta perché si capisca che cosa terribile sia; non ritengo possa considerarsi un’esperienza da fare, come se si facesse un campo di lavoro, per dire… Ungaretti partì volontario in guerra, qualunque possa essere la ragione, patriottismo o robe ancora peggiori, non è certo un fatto positivo. Una volta in trincea, ho già detto cosa accadde, piagnistei per essere esonerato e quant’altro. Altri in trincea ci rimasero e non dico fossero migliori. Peraltro sarebbe troppo bello se il mondo fosse popolato da disertori e i militari felloni e tutti gli amanti delle armi a qualunque titolo potessero essere presi facilmente a cazzotti.

Questa frenesia di fare le guerre, di causarle e di subirne le conseguenze, di non imparare mai nulla dalla storia e peggio educare i bambini alla fatalità di esse, decontestualizzadone il ricordo: poveretti i caduti! che disastro! come fosse una fatalità e non ci fosse chi la guerra la promuove e ci specula.

Leggete “L’obiezione di coscienza” di Alessandro Coletti. Io sono nonviolento e pacifista, sarà per questo che penso che i veri eroi siano il soldato Masetti e non un Garibaldi… e più di costui anche il marine “Palla di Lardo” di Full Metal Jacket, la cui unica pecca fu di sparare anche contro se stesso. Certo sono discorsi limite, ma rendono l’idea.

Allora da quale pulpito arriva il “Non gridate più”, invece che “Non sparate più”.

Di Ungaretti si conservano diversi epistolari, la cui lettura è molto utile per conoscere il suo modo di lavorare in poesia e il mondo che lo circonda, le amicizie, la fatica fatta, le prime prove, la sistemazione dei versi, i contatti con gli editori, i tempi di composizione. Alcune pagine sono liriche: “Quando io dico cose…”, altre mettono in mostra debolezze, magagne e meschinità.

Grazie agli epistolari i critici possono evitare errori. E’ esemplare il caso di D’Annunzio quando scrisse a Barbara Leoni e raccontò di essere sceso al lago, di aver raccolto fiori, di averla pensata… Ma il giorno dopo scrisse la stessa cosa (testuale) a Olga Ossani (da non confondere con la Brunner). Quell’immagine viene usata dal D’Annunzio nell’elegia “Il viadotto”, e se non ci fossero gli epistolari, la realtà potrebbe essere travisata . In questo caso l’autobiografia non è direttamente trasposta nella poesia, ma è presente, vi è lo spunto autobiografico, ma la trasposizione è unicamente letteraria.

La sua formazione ad Alessandria d’Egitto è stata francese. Le letture italiana sono venute più tardi, Papini, Pea… Sono seguiti i suoi soggiorni in Italia e Francia, l’adesione alle idee di alcuni scrittori. L’amicizia con la Boniver gli procurò quella dei francesi, tra cui Mallarmè e Apollinaire.

Dal contatto con Giuseppe De Robertis, filologo, maturò l’idea dell’edizione critica e commentata per le scuole della sua produzione, un modo anche per monetizzare il suo impegno in un periodo evidentemente magro dal punto di vista economico.

L’edizione critica, compendiata definitivamente in “Vita di un uomo” è stata anche l’occasione per apportare modifiche ad alcuni suoi brani, cosa molto frequente in Ungaretti. “Il capitano” nell’edizione critica è stata ampliata prima di una strofa, poi di nuovo ridotta (tre stesure)…

Grazie alle amicizie politiche, fasciste, venne nominato professore universitario a Roma, poi in Brasile. Alla caduta del fascismo, sospeso dagli incarichi, fu Attilio Piccioni che lo salvò, in quanto fu reintegrato nel suo incarico universitario a Roma.

Fatti che mi riportano amaramente al presente e spiegano perché la Resistenza non sia conclusa e non possa concludersi. Ora e sempre Resistenza non è dunque solo uno slogan, ma una realtà.

Alla caduta del fascismo i fascisti e soprattutto la loro forma mentis, si sono infiltrati nella società e nella politica, nella DC e non solo, non era certo auspicabile che continuassero a essere presenti anche nella scuola, ma così è stato. In 70 anni non si sono rimossi neppure simboli evidenti del fascismo, ma neppure scritte che inneggiano al duce. Hanno ragione di rammaricarsi i partigiani dell’ANPI. Siamo invece arrivati al punto che in barba all’apologia del fascismo e al reato di ricostituzione del partito fascista, la presidente della camera ha dovuto dare assicurazioni che nulla sarà rimosso. Ho sempre difeso la Boldrini, ma oltre alla scorta avrebbe necessità di essere affiancata da uno storico, magari antifascista, meglio se partigiano.

(Letteratura italiana moderna e contemporanea  – 18.4.1997) MP

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