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Origini e successi della devozione a Sant’Antonio Abate

Creato il 12 gennaio 2011 da Cultura Salentina

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Oltre i confini salentini, la figura di Sant’Antonio Abate è anche diffusamente venerata da culti antichi, quasi capillari in tutta Italia, indifferentemente dal nord al sud, così come in ambito di credo religioso il Santo si festeggia contemporaneamente nella religione cristiana cattolica, ortodossa e luterana. Questo carattere di universalità della festa si riscontra particolarmente nelle ritualità di accendere i fuochi, di benedire gli animali e, principalmente, nell’invocazione del Santo per guarire dalla malattia detta fuoco degli ardenti. Tutti elementi comuni e strettamente connessi al culto dell’Abate anche se, da luogo a luogo, con origini storiche differenti.

Indubbiamente il motivo di tanto successo, amplificato nel corso dei secoli dall’opera degli Ospitalieri di Sant’Antonio, fu inizialmente dovuto al racconto della sua vita che, ispirata su di uno splendido modello di santità eremitica e ascetica, segnò profondamente la cristianità, da Oriente a Occidente, e gli stessi monaci benedettini, per esempio, la assunsero come propria Regola conosciuta con il motto Ora et Labora.

Nel Salento e per l’intero Mezzogiorno d’Italia, le agiografie dei santi eremiti, e in partilcolare, quella di Sant’Antonio, ebbero notevole diffusione, così come l’iconografia stessa, e ciò per l’entusiasmo che suscitava nella fede delle nostre contrade agricole il racconto dei miracoli, delle guarigioni, delle rivelazioni divine nonché delle opere malefiche del diavolo e dei demoni contro i quali il Santo, secondo la tradizione, spesse volte dovette misurarsi. Buona parte dell’agiografia medievale, derivata da quella scritta nel 357 da Sant’Atanasio, risaltando questi episodi elevò la vita di Sant’Antonio al modello perfetto della santità che ogni uomo era tenuto a imitare a vantaggio della propria edificazione spirituale. Questo modello accostato ai principi della povertà e della carità darà l’avvio alla nascita degli ordini mendicanti che, nel XVI sec., nel massimo del loro splendore furono i più impegnati riformatori della spiritualità meridionale o, per usare un termine caro alla Compagnia di Gesù, delle Indie di quaggiù.


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