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Orizzonti del reale (Pt.1)

Creato il 02 settembre 2015 da Theobsidianmirror

Orizzonti del reale (Pt.1)

Nella vita prima o poi arriva sempre il momento in cui ci si ferma e ci si interroga sul significato della realtà, della vita e della morte: chi siamo, dove stiamo andando, cosa ci aspetta dopo, eccetera. Vista la mia età anagrafica ho vissuto molte di queste fasi, la prima delle quali (come forse anche per molti di voi) è sopraggiunta quando ero molto giovane, troppo giovane persino per cercare di trovare delle risposte. Parlo di risposte in senso individuale e del tutto arbitrario, naturalmente. A ognuno di noi, nella solitudine della propria coscienza, spetta l'arduo compito di esplorare la religione, la scienza, la filosofia, il mito, il folclore, e poi inevitabilmente di fare i conti con se stesso e ciò che è (e non è) in grado di credere. Ma noi, rispetto agli umani del passato, siamo ben più strani. Ci sono ormai due opposte tendenze, e se da un lato un diffuso realismo tende sempre di più a far diffidare del trascendente, dall'altro aumentano le proposte per aumentare la propria consapevolezza: yoga, meditazione, counceling filosofico, corsi di costellazioni familiari, illuminazione e trasformazione della realtà promettono di aiutarci ad espandere la nostra coscienza e, perché no, a cambiare radicalmente la nostra vita. Un tempo di certe cose ci si occupava nei salotti degli artisti, degli intellettuali e dei filosofi, oppure nei laboratori degli scienziati all'avanguardia, ma le persone comuni erano troppo concentrate sulla vita di tutti giorni, che spesso coincideva con la mera sopravvivenza, per avere il tempo e la voglia di pensarci. Oggi è tutto diverso.

Tra un aperitivo, un brunch e la palestra c'è chi fissa un appuntamento per farsi aprire il terzo occhio o per praticare il rebirthing. Se devo essere onesto tutto questo mi provoca dei sentimenti contrastanti, perché sebbene comprenda e condivida certi desideri, credo che la crescita individuale debba cominciare da se stessi cercando e sfruttando le proprie risorse interiori, e se è lecito cercare maestri spirituali nessuno però può forzare in noi un grado di evoluzione che non siamo pronti a raggiungere naturalmente. Né dovremmo aspettarcelo. Di questi argomenti però si parla ancora poco nella vita di tutti i giorni, quasi fossero segreti inappropriati, inconfessabili: decisamente, non è il genere di discorsi che viene spontaneo tirar fuori durante un pranzo di famiglia, una rimpatriata fra amici o al lavoro, davanti alla macchinetta del caffè.

Il web, però, è tutta un'altra cosa: l'anonimato permette "confessioni" che forse di persona, guardando negli occhi il proprio interlocutore, si fatica a fare. Io non faccio certo eccezione a questa regola e vi chiedo quindi di seguirmi, se vi va, in questo viaggio. Data la natura e la vastità dell'argomento mi sarà difficile fare un discorso organico, è più probabile che cominci a "navigare a vista" riservandomi di approfondire alcuni argomenti solo in seguito. Molto dipenderà anche dai vostri eventuali contributi e commenti, che saranno come sempre bene accetti e potrebbero anche, chissà, portarmi lontano da dove mi sono prefisso di arrivare. Non credo, ma non posso neanche escluderlo a priori. Vedremo.

Orizzonti del reale (Pt.1)

Se ci guardiamo un attimo indietro, il periodo storico più spirituale della storia recente sembrano essere stati gli anni '60 del secolo scorso. E parlando di "anni '60", viene spontaneo pensare ai Beatles, ai Doors, agli hippy, a San Francisco e a Woodstock, alle droghe e all'amore libero, insomma a tutto ciò che di buono (e meno buono) l'Occidente ha saputo partorire in una manciata d'anni, prima che il suo sguardo si dirigesse verso lo spazio siderale e l'uomo approdasse finalmente sulla luna. Le basi del fermento politico, ideologico e spirituale che animò quegli anni, come sappiamo, furono però gettate già dalla generazione precedente, quella Beat Generation che ebbe tra i suoi fondatori personaggi fondamentali della letteratura americana come Jack Kerouac, William S. Burroughs e Allen Ginsberg. Prima ancora che degli artisti, si trattava di persone dotate di un'insaziabile curiosità e che, proprio per questo, hanno ancora molto da insegnare. Dei tre è forse Ginsberg il meno famoso qui da noi, nel senso di meno famoso a livello popolare, fra chi non è un cultore di quel particolare periodo della storia e del costume americani; Kerouac tuttavia non ha bisogno di presentazioni e Burroughs ha assurto a nuova popolarità (se mai ne avesse bisogno) dopo che David Cronenberg ha adattato il suo romanzo " Pasto Nudo " per il cinema.

E a proposito di " Pasto Nudo", qualcuno di voi l'ha letto? Io l'ho fatto e ammetto che è stata una faticaccia: mi sono autoimposto di finirlo come esercizio cultural-antropologico, insomma l'ho affrontato come se fosse un saggio piuttosto che come un romanzo, altrimenti non ce l'avrei fatta. L'assenza di una trama lineare (o di una trama e basta, direbbe qualcuno) e il continuo intersecarsi di situazioni surreali, tra le altre cose, rendono molto arduo riuscire a seguire il filo della storia. Chi conosce questo romanzo sa cosa voglio dire. " Pasto Nudo ", comunque, va letto, se non altro perché, pur nella sua distopia, è il manifesto di un'epoca che è più simile alla nostra di quanto amiamo pensare. Infatti, ci si droga oggi come ci si drogava all'epoca di Burroughs... il consumo di droghe è antico quanto il mondo e pensare che possa un giorno scomparire è una chimera. Non è un caso che in molti paesi l'assunzione di alcune sostanze stupefacenti quali l'alcol e il fumo, surrogati di sostanze dagli effetti ben più potenti e spesso devastanti, sia legale.

Burroughs descriveva situazioni al limite della sopportabilità (altrimenti non avrei parlato di distopia) nel mostrare la discesa nella droga e nelle altre possibili forme di degradazione e molto interessante, a questo proposito, è la postfazione, che comprende il sunto del Burroughs-pensiero sulle droghe viste dalla prospettiva del fruitore di lungo corso, e aiuta a fare chiarezza su alcuni aspetti che forse, per alcuni, possono essere poco chiari. Tuttavia, tutto questo mi ha sempre interessato molto marginalmente; so benissimo che ci sono sostanze che possono intossicare e corrompere a vari livelli (l'ho visto accadere a persone a me vicine, come probabilmente molti di voi) e per me è di gran lunga più affascinante pensare a quelle i cui effetti sono un po' diversi, ovvero a quelle che vengono utilizzate principalmente perché permettono di raggiungere stati alterati di coscienza ed esperienze trascendentali più o meno intense.

Orizzonti del reale (Pt.1)

Nell'affrontare un discorso di questo genere non si può fare a meno di tirare in ballo Aldous Huxley, la cui opera del 1954 " Le porte della percezione" (espressione presa a prestito da William Blake che, difatti, vi viene citato più volte) è una pietra miliare di quella letteratura che, nell'esplorare la natura dell'uomo e della realtà, sceglie sentieri insoliti: il saggio è in effetti il resoconto dell'esperienza del suo autore con la mescalina. Ma prima di proseguire con questo argomento, mi preme fare una piccola digressione. Prima ho scritto che il consumo di droghe è antico quanto il mondo, e non mi riferivo soltanto all'umanità, ma anche al regno animale. Eh, sì, perché anche se può sembrare strano, anche gli animali assumono droghe. Non solo, gli studi di etologia più recenti hanno evidenziato che, anche quando scoprono le piante psicotrope per caso o per sbaglio, essi continuano a nutrirsene per una precisa scelta e il fatto che i loro effetti, seppure temporanei, li rendano vulnerabili e li distolgano da necessità che per loro dovrebbero essere più impellenti, come un'adeguata alimentazione, è solo apparentemente un controsenso. Si pensi alla mucca o alla capra che invece di brucare vegetali pieni di nutrienti, adatti alla propria dieta, si nutra di semi, di locoweed o "erbe pazze", licheni o funghi, e a seguito di questo venga colta da tremore e cada a terra inerme; immaginate lo stesso animale rialzarsi e mangiare di nuovo avidamente quella stessa erba o fungo, ancora e ancora, e avrete il quadro della situazione.

Una situazione ben nota fra gli allevatori nordamericani fin dall'Ottocento; un fenomeno, detto "locoismo", preoccupante per il numero di capi di bestiame morti non tanto per i supposti effetti tossici di queste piante, ma per gli incidenti che possono capitare agli animali in preda alle allucinazioni e per il fatto che molti di essi, dopo averle provate, non vogliono più cibarsi di nient'altro. Ma gli esempi sarebbero molti, molti di più. Tutto ciò sembrerebbe indicare che l'uso di queste sostanze costituisce un qualche tipo di funzione biologica primaria legata a cause ancora non del tutto chiare che, in determinate circostanze, può soverchiare l'istinto di conservazione. La questione meriterebbe un po' più di spazio rispetto a quello che mi è possibile dedicargli, per cui mi limiterò a citare alcuni passaggi del saggio " Animali che si drogano" di Giorgio Samorini, nel quale è possibile trovare queste e altre interessanti informazioni: Di frequente gli etologi tendono a interpretare come accidentali i casi di animali che si inebriano nutrendosi di piante psicoattive. Ma la conoscenza di incontestabili casi non accidentali dovrebbe far sorgere il dubbio se dietro all'accidentalità solitamente attribuita a una più ampia casistica del rapporto fra animali e droghe psicoattive, non vi sia semplicemente una nostra ignoranza di comportamenti intimi e generalizzati nel mondo animale, o ancor più, un'influenza dei preconcetti culturali dell'osservatore. [...] I dati archeologici dimostrano che [la tecnica che prevede l'uso di droghe psicoattive] era già praticata nell'Età della Pietra. Si potrebbe quindi pensare ch'essa origini in quell'arcaico periodo della storia umana. In realtà, scoprendo la sua esistenza anche presso gli animali, ne dobbiamo dedurre che origina ancor prima dell'origine stessa dell'uomo. Drogarsi è un comportamento che attraversa tutto il filum evolutivo animale, dagli insetti ai mammiferi, all'uomo.[...]

Questo presuppone che gli animali devono avere una coscienza, anche se di un tipo che non ci è possibile "classificare": usare le droghe per fuggire la realtà e la propria coscienza non è la regola bensì la sua eccezione, la cui estensione è causata dalla diffusa nevrosi della società moderna. Storicamente, il motivo fondante l'uso delle droghe risiede nell'intenzione di conseguire una maggiore comprensione della realtà, non di fuggirla. Purtroppo non ci è dato sapere che cosa un animale provi sotto l'effetto della droga ma, così come nell'uomo, è lecito supporre che non si tratti solo di allucinazioni visive e uditive.

Torniamo quindi a " Le porte della percezione" e scopriamo con Huxley che cosa significa fare esperienza della mescalina. Ma prima di farlo lasciamo passare qualche giorno (o qualche settimana), che dite? Non vorremo mica esaurire la questione in un unico articolo, no?


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