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Oscar Wilde–il ritratto di Dorian Gray 5

Creato il 22 agosto 2012 da Marvigar4

wilde vignolo

Capitolo V

   «Mamma, mamma, sono così felice!» sussurrò la ragazza, affondando il suo volto nel grembo della donna dall’aspetto stanco e sciupato che, di spalle all’invadente luce accecante, sedeva nell’unica poltrona del loro unico sciatto salotto. «Sono così felice!» ripeté, «e anche tu devi esserlo!»
   Mrs. Vane fece una smorfia e posò le sue esili mani incipriate sul capo della figlia. «Felice!» fece eco, «Sibyl, io sono felice solo quando ti vedo recitare. Non devi pensare ad altro che alla tua recitazione. Mr. Isaacs è stato molto buono con noi e gli dobbiamo dei soldi.»
   La ragazza alzò la testa e fece il broncio. «Soldi, mamma?» gridò, «che cosa importano i soldi? L’amore vale più dei soldi.»
   «Mr. Isaacs ci ha anticipato cinquanta sterline per pagare i nostri debiti e comprare un vestito decente per James. Non devi dimenticarlo, Sibyl. Cinquanta sterline sono una grossa somma. Mr. Isaacs è stato molto premuroso.»
   «Non è un gentiluomo, mamma, e odio il modo con cui mi parla» disse la ragazza, alzandosi in piedi e andando verso la finestra.
   «Io non so come potremmo cavarcela senza di lui» rispose la donna anziana in tono lamentoso.
   Sibyl Vane scosse la testa e rise. «Non abbiamo più bisogno di lui, mamma. Il Principe azzurro ora si occupa di noi.» Poi fece una pausa. Una rosa ravvivò il suo sangue e adombrò le guance. Un respiro veloce schiuse i petali delle sue labbra. Tremarono. Un caldo vento di passione soffiò su di lei e agitò le deliziose pieghe del suo vestito. «Io lo amo» disse semplicemente.
   «Sciocca fanciulla! Sciocca fanciulla!» fu la frase buttata lì a pappagallo nella risposta. L’agitare delle dita adunche piene di gioielli falsi rese le parole grottesche.
   La ragazza rise di nuovo. C’era la gioia di un uccellino in gabbia nella sua voce. I suoi occhi afferrarono la melodia e la riecheggiarono con il loro splendore, poi si chiusero per un momento, come se volessero serbare il segreto. Quando si aprirono, la nebbia del sogno li aveva attraversati.
   Seduta sulla logora poltrona una saggezza dalle labbra sottili le parlava, consigliandole prudenza, citando da quel libro di vigliaccheria il cui autore scimmiotta il nome del senso comune. Non ascoltava. Era libera nella sua prigione di passione. Il suo principe, il Principe azzurro, era con lei. Aveva invocato la memoria a ricrearlo. Aveva mandato la sua anima a cercarlo, e la sua anima glielo aveva riportato. Il suo bacio ardeva ancora sulla bocca.
   Le palpebre erano calde del suo respiro.
   Allora la saggezza modificò il suo metodo e parlò di spiare e di scoprire. Questo giovane forse era ricco. In tal caso si poteva pensare al matrimonio. Contro la conchiglia delle sue orecchie le onde dell’astuzia del mondo si infransero. Le frecce dell’abilità la sfiorarono. Vedeva le labbra fini muoversi, e rideva.
   All’improvviso sentì il bisogno di parlare. Il silenzio carico di parole la agitava. «Mamma, mamma,» gridò, «perché mi ama così tanto? Io so perché lo amo. Lo amo perché lui è come dovrebbe essere l’amore. Ma cosa vede lui in me? Io non sono degna di lui. Eppure – perché, non so dire – anche se mi sento così inferiore a lui, non mi sento umile. Mi Sento orgogliosa, terribilmente orgogliosa. Mamma, hai amato mio padre come io amo il Principe  Azzurro?»
   La donna anziana impallidì sotto la cipria grossolana che le impiastricciava le guance, e le sue labbra secche si contrassero in uno spasmo di dolore.
   Sybil corse verso di lei, gettò le sue braccia al collo e la baciò. «Perdonami, mamma. Lo so che ti addolora parlare di nostro padre. Ma ti addolora solo perché lo amavi tanto. Non essere così triste. Sono così felice oggi come lo sei stata tu vent’anni fa. Ah! Fammi essere felice per sempre!»
   «Bambina mia, sei troppo giovane per pensare di innamorarti. E poi, che ne sai di questo giovane? Non conosci nemmeno il suo nome. È tutto quanto molto sconveniente, e veramente, proprio quando James sta andando in Australia, e io ho tantissimo a cui pensare, debbo dire che tu avresti dovuto mostrare più considerazione. Comunque, come ho detto prima, se è ricco…»
   «Ah! Mamma, mamma, fammi essere felice!»
   Mrs. Vane la guardò e, con uno di quei falsi gesti teatrali che spessissimo diventano una sorta di seconda natura per un commediante, la strinse tra le sue braccia. In quel momento la porta si aprì e un giovane ragazzo dai capelli bruni e arruffati entrò nella stanza. Era tarchiato di fisico, aveva mani e piedi grandi e piuttosto goffi nei movimenti. Non aveva la raffinatezza della sorella. A malapena si sarebbe intuito la stretta parentela che esisteva tra loro. Mrs. Vane fissò i suoi occhi sul figlio e accentuò il sorriso. Mentalmente l’aveva innalzato alla dignità di una platea. Era certa che il tableau fosse interessante.
   «Qualche bacio potresti conservarlo per me, Sibyl, credo» disse il ragazzo brontolando bonariamente.
   «Ah! Ma a te non piace essere baciato, Jim» gridò Sibyl. «Sei un orso brutto e vecchio.» E attraversò la stanza correndo per abbracciarlo.
   James Vane guardò il volto della sorella con tenerezza. «Voglio che tu venga a fare una passeggiata con me, Sibyl. Non penso che rivedrò più questa orribile Londra. Sono sicuro di non volerlo.»
   «Figlio mio, non dire cose così terribili» mormorò Mrs. Vane, prendendo un costume di scena pacchiano, con un sospiro, e iniziando a rattopparlo. Si sentì un po’ delusa che non si era unito al gruppo. Avrebbe aumentato la pittoresca teatralità della situazione.
   «Perché no, mamma? Lo penso.»
   «Mi fai soffrire, figlio mio. Ho fiducia che tu tornerai dall’Australia con una posizione. Credo che non ci sia nessun tipo di società nelle colonie – niente che potrei chiamare società – così quando tu hai fatto la tua fortuna devi
tornare e farti valere a Londra.»
   «Società!» farfugliò il ragazzo. «Non ne voglio sapere niente. Vorrei fare soldi per togliere te e Sibyl dal teatro. Lo odio.»
   «Oh, Jim!» disse Sibyl ridendo, «come sei scortese! Ma vuoi andare davvero a fare una passeggiata con me? Sarà bello! Avevo paura che tu andassi a salutare qualche tuo amico – da Tom Hardy, che ti ha dato quell’orribile pipa, o Ned Langton, che ti prende in giro perché la fumi. È molto carino da parte tua avermi lasciato questo tuo ultimo pomeriggio. Dove andiamo? Andiamo al parco.»
   «Sono troppo trasandato,» rispose accigliandosi. «Solo i figurini vanno al parco.»
   «Sciocchezze, Jim» bisbigliò Sibyl accarezzando la manica del suo giaccone.
   Il ragazzo esitò per un momento. «Benissimo,» disse alla fine, «ma non ti vestire troppo.» lei uscì danzando dalla stanza. Si poteva sentire il suo canto mentre saliva di corsa le scale. I suoi piedini scalpicciarono di sopra. Lui camminò su e giù per la stanza due o tre volte. Poi si voltò verso la figura immobile in poltrona. «Mamma, sono pronte le mie cose?» domandò. «Prontissime, James» rispose la madre senza distogliere gli occhi dal suo lavoro. Recentemente, per alcuni mesi si era sentita a disagio quando era sola con questo suo figlio rude e burbero. La sua natura intimamente superficiale si turbava quando i loro occhi si incrociavano. Si chiedeva spesso se lui sospettasse qualcosa. Il silenzio, visto che il ragazzo non aggiungeva altro, diventò intollerabile per lei. Iniziò a lamentarsi. Le donne si difendono attaccando, così come attaccano con improvvise e strane capitolazioni. «Spero sarai soddisfatto, James, della tua vita da marinaio» disse. «Ti devi ricordare che è la tua scelta. Avresti potuto entrare in un ufficio di un avvocato. Gli avvocati sono una classe molto rispettabile, e in paese spesso pranzano con le migliori famiglie.»
   «Odio gli uffici e odio gli impiegati,» replicò. «Ma hai proprio ragione. Ho scelto la mia vita. Tutto quello che ho da dirti è: veglia su Sibyl. Non permettere che le succeda niente di male. Mamma, tu devi vegliare su di lei.»
   «James, tu parli davvero in modo strano. Ovvio che veglio su Sibyl.»
   «Ho saputo che un gentleman viene ogni sera a teatro e va dietro le quinte a a parlarle. È giusto? Che mi dici di questo?»
   «Tu parli di cose che non capisci, James. Nel nostro mestiere siamo soliti ricevere una gran quantità di attenzioni molto gratificanti. Io stessa ricevevo molti bouquets in una sola volta. Questo succedeva quando il recitare era realmente capito. Riguardo a Sibyl, al momento non so se il suo attaccamento sia serio o no. Ma non c’è dubbio che il giovane in questione è un perfetto gentleman. È sempre molto gentile con me. Inoltre, ha tutta l’apparenza d’essere ricco, e I fiori che manda sono stupendi.»
   «Ma non conosci il suo nome» disse il ragazzo con asprezza.
   «No,» rispose la madre con un’espressione placida del volto. «non ha ancora rivelato il suo vero nome. Penso che sia molto romantico da parte sua. Probabilmente è un membro della classe aristocratica.»
   James Vane si morse il labbro. «Veglia su Sibyl, mamma,» esclamò, «veglia su di lei.»
   «Figlio mio, tu mi fai tanto soffrire. Sibyl è sempre sotto la mia speciale attenzione. Va da sé che se questo gentleman è ricco, non c’è motivo per cui lei non si fidanzi con lui. Ho fiducia che sia un aristocratico. Ne ha tutto l’aspetto, debbo dire. Potrebbe essere un matrimonio splendido per Sibyl. Farebbero una coppia incantevole. La sua avvenenza è davvero notevole, tutti lo dicono.»
   Il ragazzo brontolò qualcosa tra sé e tamburellava sui vetri della finestra con le sue dita tozze. Si era appena voltato per dire qualcosa quando si aprì la porta e Sibyl irruppe.
   «Come siete seri tutti e due!» esclamò. «Che succede?»
   «Niente» rispose James. «Credo che a volte bisogna essere seri. Addio, mamma; cenerò alle cinque in punto. Tutto è impacchettato, tranne le mie camice, quindi non devi darti pena.»
   «Addio, figlio mio» rispose con un inchino d’artefatta solennità.
   Era estremamente infastidita dal tono che lui aveva usato con lei, e c’era qualcosa nel suo sguardo che le faceva provare paura.
   «Baciami, mamma» disse la ragazza. Le sue labbra di rose sfiorarono la guancia avvizzita e ne riscaldarono il gelo.
   «Bambina mia! Bambina, mia!» gridò Mrs. Vane, guardando al soffitto in cerca di una galleria immaginaria.
   «Vieni, Sibyl» disse il fratello con impazienza. Lui odiava i gesti teatrali di sua madre.
   Uscirono nella tremula luce del sole spazzata dal vento e camminarono verso la squallida Euston Road. I passanti lanciavano sguardi meravigliati a quel giovane crucciato e massiccio che, in abiti grossolani e goffi, era in compagnia di una ragazza così graziosa e raffinata. Somigliava a un comune giardiniere che passeggiava con una rosa.
   Jim si aggrottava di volta in volta quando coglieva lo sguardo curioso di qualche estraneo. Aveva quell’avversione d’essere osservato che si manifesta in tarda età nei geni e non abbandona mai la gente comune. Sibyl, tuttavia, era del tutto ignara dell’effetto che produceva. Il suo amore le tremava nelle labbra ridenti. Pensava al Principe Azzurro e, per poterci pensare tanto più, non parlava di lui, ma cianciava della nave su cui Jim sarebbe salpato, sull’oro che avrebbe certamente trovato, sulla meravigliosa ereditiera a cui avrebbe salvato la vita dalla malvagità dei briganti in camicia rossa. Per ché lui non sarebbe rimasto un marinaio, o un commissario di bordo, o qualunque stava per essere. Oh, no!l’esistenza di un marinaio era terribile. Essere rinchiusi in una nave orribile, con onde alte e fosche che cercano di entrare, e un vento nero che sferza gli alberi e strappa le vele in lunghe strisce urlanti! Doveva lasciare il vascello a Melbourne, congedarsi cortesemente con il capitano, e andarsene subito nei campi auriferi. In una settimana avrebbe trovato una grossa pepita di oro puro, la più grande pepita mai scoperta, e l’avrebbe portata sulla costa in un carro scortato da sei poliziotti a cavallo.
   I banditi li avrebbero attaccati tre volte e sarebbero stati sconfitti con gravi perdite. Oppure, no. non sarebbe andato affatto nei campi auriferi. Erano posti orribili, dove gli uomini si ubriacavano e si sparavano nei bar e dicevano parolacce. Sarebbe diventato un bravo allevatore di pecore e, una sera, tornando a casa, avrebbe visto la bella ereditiera rapita da un bandito su un cavallo nero, lo avrebbe inseguito e l’avrebbe liberata. Naturalmente, lei si sarebbe innamorata di lui, e lui di lei, e si sarebbero sposati e sarebbero tornati in patria per vivere in una casa immensa a Londra. Sì, c’erano cose splendide in serbo per lui. Ma doveva essere molto buono, non perdere le staffe, o sperperare I suoi soldi. Sibyl era di un anno più giovane di lui, ma più esperta della vita. inoltre, lui si doveva assicurare di scriverle a ogni giro di posta e dire le sue preghiere ogni notte prima d’andare a dormire. Dio era molto buono e avrebbe vegliato su di lui. Anche lei avrebbe pregato per lui e in pochi anni sarebbe tornato ricco e felice.
   Il ragazzo l’ascoltava imbronciato e non rispondeva. Aveva una stretta al cuore all’idea di lasciare casa.
   Eppure non era solo questo a renderlo cupo e immusonito. Per quanto fosse inesperto, aveva ben forte il senso del pericolo della posizione di Sibyl. Questo giovane dandy che amoreggiava con lei poteva significare niente di buono per lei. Era un gentleman, e lui lo odiava per questo, lo odiava per un curioso istinto di razza che non sapeva spiegarsi e che, per quel motivo, lo dominava ancora di più. Era anche consapevole della superficialità e vanità della natura di sua madre, e in essa vedeva un infinito pericolo per Sibyl e la sua felicità. I figli iniziano ad amare i propri genitori, quando crescono li giudicano, delle volte li perdonano.
   Sua madre! Nella sua mente aveva qualcosa da chiederle che per molti mesi aveva covato in silenzio. Una frase che per caso aveva udito nel teatro, un sarcasmo sussurrato che gli era giunto all’orecchio una sera mentre attendeva alla porta del palcoscenico, aveva scatenato una serie di pensieri orribili. La ricordava come se fosse stata un colpo di frusta sul suo viso. Le ciglia gli si corrugarono in un solco a forma di cuneo e con una smorfia di dolore si morse il labbro inferiore.
   «Non stai ascoltando una parola di quello che dico, Jim,» sbottò Sibyl, «e io che sto facendo i progetti più belli per il tuo futuro. Di’ qualcosa.»
   «Cosa vuoi che dica?»
   «Oh! Che sarai un bravo ragazzo e non ci dimenticherai» rispose sorridendogli.
   James fece spallucce. «È più facile che sia tu a dimenticare me che non io, Sibyl.»
   Lei arrossì. «Che vuoi dire, Jim?» chiese.
   «Sento che hai un nuovo amico. Chi è? Perché non me ne hai parlato? Non ha buone intenzioni nei tuoi riguardi.»
   «Basta, Jim!» esclamò. «Non devi dir niente contro di lui. Io lo amo.»
   «Perché, se non sai nemmeno il suo nome» rispose il ragazzo. «Chi è? Ho il diritto di saperlo.»
   «Si chiama Principe Azzurro. Non ti piace il nome? Oh! Sciocco ragazzo! Non dovresti mai dimenticarlo. Se tu solo lo vedessi penseresti che è la persona più meravigliosa che c’è al mondo. Un giorno lo incontrerai – quando torni dall’Australia. Ti piacerà tanto. A tutti piace e io… lo amo. Vorrei che tu venissi stasera a teatro. Lui ci sarà e io reciterò Giulietta. Oh! come la reciterò! Immagina, Jim, essere innamorata e recitare Giulietta! Averlo seduto lì! Recitare per il suo piacere! Temo che spaventerò la compagnia, la spaventerò o la affascinerò. Essere innamorati è sorpassare se stessi. Il povero, orribile Mr. Isaacs griderà “genio” ai suoi perdigiorno del bar. Mi ha predicata come un dogma; stasera mi annuncerà come una rivelazione. Lo sento. Ed è tutto per lui, solo per lui, il Principe Azzurro, il mio meraviglioso amore, il mio dio grazioso. Ma io sono povera accanto a lui. Povera? Cosa importa? Quando la povertà entra strisciando dalla porta, l’amore entra volando dalla finestra. I nostri proverbi vanno riscritti. Furono fatti l’inverno, e adesso è estate; per me primavera, credo, una vera danza di fiori nell’azzurro dei cieli.»
   «È un gentleman» disse il ragazzo con astio.
   «Un principe!» gridò lei melodiosamente. «Che vuoi di più?»
   «Lui vuole farti schiava.»
   «Tremo al pensiero d’essere libera.»
   «Voglio che tu ti guardi da lui.»
   «Vederlo significa adorarlo; conoscerlo significa aver fiducia in lui.»
   «Sibyl, tu hai perso la testa per lui.»
   Presero posto in mezzo a una folla di spettatori. Le aiuole di tulipani. Dall’altra parte della strada fiammeggiavano come pulsanti anelli di fuoco. Una polvere bianca – sembrava una nube tremula di giaggiolo – era sospesa nell’aria ansimante. Gli ombrellini dai colori luminosi danzavano e s’abbassavano come mostruose farfalle.
   Faceva parlare suo fratello di sé, delle sue speranze, delle sue prospettive. Lui parlava lentamente e con sforzo. Si passavano le parole come i giocatori si passano i gettoni. Sibyl si sentiva oppressa. Non riusciva a comunicare la propria gioia. Un vago sorriso che incurvava quella bocca crucciata era tutto l’ eco che poteva ottenere. Dopo un po’ lei si zittì. All’improvviso intravide dei capelli d’oro e delle labbra ridenti, e in una carrozza scoperta passò Dorian Gray con due signore.
   Si alzò in piedi. «Eccolo!» gridò.
   «Chi?» disse Jim Vane.
   «Il Principe Azzurro» rispose, seguendo con lo sguardo la carrozza [18].
   Lui balzò su e l’afferrò rudemente per il braccio. «Fammelo vedere. Qual è? Indicamelo. Lo devo vedere!» esclamò; ma in quel momento si frappose il tiro a Quattro del duca di Berwick, e quando ebbe lasciato lo spazio vuoto la carrozza era uscita dal parco.
   «Se n’è andato» mormorò Sibyl con tristezza. «Avrei voluto che tu lo vedessi.»
   «Anch’io avrei voluto, perché com’è vero che c’è un Dio in cielo, se mai ti farà del male, lo ucciderò.»
   Lei lo guardò con orrore. Lui ripeté le parole. Tagliavano l’aria come un pugnale. La gente intorno cominciò a guardarli a bocca aperta. Una signora lì vicina ridacchiò.
   «Vieni via, Jim; vieni via» sussurrò Sibyl. Lui la seguì come un segugio mentre fendeva la folla. Era contento di quello che aveva detto. Quando raggiunsero la statua di Achille, lei si voltò. C’era pietà nei suoi occhi che divenne risata nelle labbra del ragazzo. Lei scosse la testa disapprovandolo. «Sei uno sciocco, Jim, proprio uno sciocco; un ragazzo con un caratteraccio, ecco tutto. Come puoi dire cose così orribili? Tu non sai di cosa stai parlando. Sei soltanto geloso e scortese. Ah! Vorrei che tu ti innamorassi. L’amore rende la gente buona, e quello che hai detto è malvagio.»
   «Ho sedici anni,» rispose, «e so cosa dico. Mamma non ti è di nessun aiuto. Non capisce come badare a te. Ora vorrei non dover partire più per l’Australia. Ho una gran voglia di mandare tutto all’aria. Lo farei, se non avessi già firmato il contratto.»
   «Oh, non essere così serio, Jim. Sei come uno degli eroi di quegli stupidi melodrammi che mamma ama tanto recitare. Non ho intenzione di litigare con te. L’ho visto, e oh! vederlo è una felicità perfetta. Non litigheremo. So che non farai mai del male a chi amo, vero?»
   «Non finché lo ami, suppongo» fu la risposta astiosa.
   «Lo amerò per sempre!» gridò lei.
   «E lui?»
   «Anche lui, per sempre!»
   «Meglio per lui.»
   Lei si ritrasse dal fratello. Poi rise e gli mise una mano sul braccio. Era soltanto un ragazzo.
   Al Marble Arch presero un omnibus, che li lasciò vicino alla loro squallida casa in Euston Road. Erano le cinque passate e Sibyl doveva riposare per un paio d’ore prima di recitare. Jim insistette che lo facesse. Disse che avrebbe preferito congedarsi da lei quando la madre non era presente. Avrebbe fatto sicuramente una scenata, e lui che detestava ogni tipo di
scenata.
   Si salutarono nella camera di Sybil. Nel cuore del ragazzo c’era gelosia e un feroce odio per l’estraneo che, come gli sembrava, si era messo in mezzo a loro. Eppure, quando le braccia di Sibyl strinsero il suo collo, e le sue dita gli scarruffarono i capelli, lui si calmò e la baciò con vero affetto. I suoi occhi erano pieni di lacrime quando scese le scale.
   Sua madre lo aspettava giù. Brontolò per la sua mancanza di puntualità appena entrò. Lui non rispose, ma si sedette a consumare il suo magro pasto. Le mosche ronzavano intorno alla tavola e camminavano sulla tovaglia sporca. Tra il rombo degli omnibus e il frastuono delle vetture, poteva udire la voce stridente che divorava ogni minuto che gli rimaneva.
   Dopo un po’ di tempo, scostò il piatto e si mise la testa tra le mani. Sentiva che aveva il diritto di sapere. Avrebbero dovuto dirglielo prima, se era come sospettava. Immobile per la paura, sua madre lo guardava. Le parole le cadevano meccanicamente dalle labbra. Un fazzoletto di pizzo malridotto si torceva nelle sue dita. Quando l’orologio suonò le sei, lui si alzò e andò verso la porta. Poi si voltò e la fissò. I loro occhi s’incontrarono. Nei suoi lui vide una richiesta disperata di pietà. Lo fece montare su tutte le furie.
   «Mamma, ho qualcosa da chiederti» disse. Gli occhi di lei vagarono smarriti per la stanza. Non rispose. «dimmi la verità. Ho il diritto di sapere. Eri sposata con mio padre?»
   La donna fece un profondo sospiro. Era un sospiro di sollievo. Il momento terribile, il momento che aveva temuto notte e giorno, per settimane e mesi, alla fine era giunto e comunque non era atterrita. Anzi, in qualche misura Fu una delusione per lei. La domanda volgarmente diretta richiedeva una risposta diretta. La situazione non si era sviluppata gradualmente. Era nuda e cruda. Le ricordava una brutta prova generale.
   «No» rispose, meravigliandosi della dura semplicità della vita.
   «Mio padre allora era un farabutto!» gridò il ragazzo serrando i pugni.
   Lei scosse il capo. «Sapevo che non era libero. Ci siamo amati moltissimo. Se fosse vissuto avrebbe provveduto a noi. Non parlare male di lui, figlio mio. Era tuo padre, e un gentleman. E anche con parenti molto altolocati.»
   Una bestemmia proruppe dalle sue labbra. «Non mi preoccupo per me,» esclamò il ragazzo, «ma non permettere che Sibyl… è un gentleman, no, che è innamorato di lei o dice di esserlo? Anche lui con parenti molto altolocati, immagino.»
   Per un momento un orrendo senso di umiliazione assalì la donna. Chinò la testa. Si asciugò gli occhi con mani tremanti. «Sibyl ha una madre,» mormorò; «Io non ce l’avevo.»
   Il ragazzo si commosse. Andò verso di lei e s’abbassò per baciarla. «Mi dispiace di averti addolorato chiedendoti di mio padre, disse, «ma non potevo farne a meno. Devo andare adesso. Addio. Non dimenticare che ora hai solo una figlia a cui badare, e, credimi, se quell’uomo fa del male a mia sorella scoprirò chi è, gli darò caccia e lo ammazzerò come un cane. Lo giuro.»
   La follia esagerata della minaccia, il gesto appassionato che l’accompagnò, le parole pazzesche e melodrammatiche, fecero sembrare alla donna la vita più vivace. Quell’atmosfera le era familiare. Respirava con più libertà, e per la prima volta da molti mesi ammirò davvero suo figlio. Avrebbe voluto continuare la scena sulla stessa scala emozionale, ma lui la interruppe. Bisognava portar giù i bagagli e cercare gli sciarponi. Il facchino della pensione andava e veniva. C’era da discutere il prezzo della corsa con il cocchiere. Il momento andò perduto in volgari dettagli. Fu con un rinnovato senso di delusione che lei agitò il fazzoletto lacero di pizzo dalla finestra, quando suo figlio partì. Era conscia che una grande occasione era stata sciupata. Si consolò dicendo a Sibyl come sentisse desolata la sua vita, adesso che aveva solo una figlia a cui badare. Ricordava la frase. Le era piaciuta. Della minaccia non disse nulla. Era stata espresso con vivacità e drammaticità. Sentì che tutti un giorno ne avrebbero riso.

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[18] Nell’originale Wilde usa il termine victoria, che indica un tipo di carrozza signorile tipica del periodo, che prese il nome dalla principessa futura regina inglese.



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