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Ovviamente gratis…

Creato il 15 gennaio 2014 da Angelonizza @NizzaAngelo

«Ovviamente la prestazione è completamente gratuita». Due avverbi di modo combinati insieme nella stessa frase stonano. Le regole della scrittura giornalistica non li accettano e neanche il buon senso del linguaggio parlato è solito strizzargli l’occhio. Tuttavia, qui il punto non è prendere l’enunciato per esaminarlo in merito alla sua poeticità (laddove poetica è la funzione linguistica deputata alla produzione delle frasi, men che mai indica lo stile di chi scrive in versi). Qui, invece, ne va della natura critica di questa frase, cioè della sua genesi in un tempo di crisi. 

VIDEO 1: Lo diresti al tuo idraulico?

È contingente il fatto che oggi persone che si affacciano al mondo del lavoro si sentano spesso dire: «Ti assumo come tirocinante, certamente gratis». Oppure: «C’è da mettere su la redazione organizzativa di questo evento. Rimborso spese escluso, è ovvio». Si tratta di frasi in cui ci imbattiamo assai di frequente e che sono legate all’epoca. Non sono espressioni da società tradizionali e neanche da società fordista. Sono proprie del tardo capitalismo, cioè del sistema produttivo contemporaneo. E quell’ovviamente ne è la spia. Oggi, non desta sconcerto se contribuisco al processo produttivo senza essere pagato, cioè senza lavorare per soddisfare la mia auto-riproduzione, ma solo ed esclusivamente per essere derubato del mio tempo da persone terze. Deve essere davvero cieco chi non si accorge che non è una misera questione di salario. Si tratta, invece, della messa all’opera di un paradosso.

VIDEO 2: Lo diresti al tuo antennista?

In una società fondata sul capitale e sulla circolazione di denaro, perché l’essere pagati per servizio reso deve costituire un’eccezione e, al contrario, se non ti pagano è la regola ovvia? Ho l’impressione che il problema sia ancora più sottile e che il paradosso non sia ancora del tutto esplicito. Il momento storico in cui viviamo è segnato da una contraddizione. Oggi la maggiore forza produttiva è il general intellect. L’espressione è di Marx e si è ormai d’accordo nell’usarla per indicare l’intelligenza collettiva fondata sul linguaggio verbale e la cooperazione sociale. Intelletto generale è anche sinonimo di conoscenza e scienza. Proprio e solo oggi queste capacità sono messe a lavoro. Non è perché vi è la società della comunicazione e dell’informazione che il general intellect sostiene il processo produttivo, bensì il contrario. Vi è la società comunicativa e informativa perché le capacità umane del comunicare e dello stare insieme sono il fulcro dell’odierno sistema di produzione. Non è più la figura del lavoratore singolo che eroga forza-lavoro a rappresentare la base della produzione. Egli è stato spazzato via dall’invenzione delle macchine, cioè dal sapere scientifico cristallizzato in prodotti del lavoro, quali sono le parti hardware del processo produttivo. Il sistema fordista scompare quando forza produttiva diventa l’intelletto generale oggettivato nel sistema automatico di macchine: oggi è il cervello sociale nella sua quota esangue a penetrare nel processo lavorativo.

VIDEO 3: Lo diresti al tuo giardiniere?

Il controsenso risiede nel fatto che, oggettivato o meno, la messa a lavoro del general intellect manda fuori asse l’unità di misura del sistema capitalistico di produzione e cioè il tempo di lavoro astratto. Prima è stato ridotto al minimo dalle macchine e oggi non è più un parametro accettabile per misurare il tempo di lavoro speso da una forza-lavoro basata su qualità non calcolabili come il linguaggio o la conoscenza o la cooperazione. Eppure, il tempo di lavoro astratto è l’unità di misura ancora in uso, ancora vigente. Il capitale deve e non può non misurare il tempo lavoro eseguito bruciando energie mentali, altrimenti come rendere conto della differenza fra lavoro necessario all’auto-riproduzione della propria forza-lavoro e plus-lavoro? Tuttavia, nessuno si accorge che il general intellect non è misurabile attraverso un intervallo di tempo vuoto. E la conseguenza estrema è che il lavoro da esso erogato non è neanche ricompensabile in termini di denaro, la cui somma è calcolata sulla base di ore. Non sorprendiamoci se qualcuno ci chiede di lavorare gratis: non si tratta di un ossimoro, siamo in perfetta sintonia con il nostro tempo. È tempo di crisi del concetto di lavoro, che non avrebbe più diritto di residenza nei termini capitalistici classici, invece ancora resiste. Rimane in vigore, ma non è più vero e quindi presto servizio ma non mi pagano. E mi pare pure ovvio.

P.S. Questo pezzo è apparso sul numero 19 di “Fatti al cubo”, giornale indipendente dell’Università della Calabria, il 23 giugno 2009, pagina 3. I video provengono da ZERO (#coglioneNO).



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