Magazine Cinema

P'tit Quinquin

Creato il 06 ottobre 2014 da Frankviso
P'tit QuinquinBruno Dumont
Francia, 2014
203 minuti
Nel villaggio di Boulunnais, a nord della Francia, misteriosi avvenimenti scuotono l'ordinarietà della vita che trascorre in questa piccola comunità rurale, suddivisa tra lo svolgimento delle mansioni agricole e le feste di paese. Una coppia di strampalati ispettori, indaga infatti sui ripetuti ritrovamenti di carcasse bovine al cui interno si celano i corpi fatti a pezzi di alcune donne. Il giovane Quinquin, accompagnato dall'inseparabile fidanzatina e una banda di ragazzini al loro seguito, incuriosito dagli eventi decide d'intraprendere la sua personale indagine...
Quando agli inizi di questa primavera lessi le prime anticipazioni a riguardo, pensai immediatamente a un Dumont intenzionato a rinverdire i fasti della sua filmografia più remota (e in un certo senso così è), ma è anche vero che le successive informazioni emerse (trailers compresi) tesero a smorzare quell'entusiasmo iniziale per due semplici fattori non poco trascurabili, vista la scarsa affinità che il sottoscritto, generalmente, ha con questi: è una miniserie per la televisione (quattro episodi della durata di circa cinquanta minuti ciascuno realizzati per Arte Tv, presentati in un lotto unico al 67° Festival di Cannes) ed è, fondamentalmente, una commedia dalle tinte poliziesche. Ma come! L'apostolo del cinema contemporaneo d'oltralpe più austero e bressoniano, da sempre interessato a scandagliare nei tormenti più profondi di un'umanità epurata da qualsiasi concetto di avvenenza (attento studioso dell'estetica del "brutto"); divulgatore di una poetica costruita su "filosofie nichiliste, sull'esegesi religiosa"(1), su una sessualità primitiva vissuta come mera liberazione fisiologica; indagatore dei più antichi mali incanalati nell'uomo (le deformazioni del corpo, le disfunzionalità della mente, le pene dell'anima) estremizzati, trascesi universalmente, portati a farsi mali del mondo. Costui, che si cimenta in una serie tv? Che dirige una commedia?...
P'tit QuinquinErrata valutazione delle aspettative; P'tit Quinquin non è una serie come le altre, ma è innanzitutto una serie di Bruno Dumont, il che vale a dire che anche in tal settore resta comunque un qualcosa votato a distinguersi in maniera originale dal resto, e soprattutto, non è una commedia in termine stretto, ma come definita più propriamente dall'autore stesso, una tragicommedia(2). In realtà la sostanza resta pressochè identica, cambia solamente la forma con cui viene divulgata. E fa oltremodo piacere constatare che a diciassette anni dal suo esordio dietro la cinepresa con L'età inquieta (1997), il cantore delle flandres più sconsolate resiste ancora e in definitiva, nulla di rilevante è cambiato, se non una maggiore inclinazione al film di genere(3). Segnali, che per alcuni versi si erano già manifestati (in modo anche palese) nel passato del regista ma che qui, tendono ad accrescere, incamerando a frangenti, anche quel respiro tipico di certe atmosfere proprie del cinemabis più storicizzato. A ogni modo, e contaminazioni a parte, dopo la visione di P'tit Quinquin appare quantomai evidente come Camille Claudel, 1915 sia stato a tutti gli effetti un film spartiacque nella filmografia di Dumont (e di conseguenza, tutte le ipotesi formulate all'epoca su un suo possibile cambio direzionale verso il cinema da camera, non trovano al momento fondatezza); un profondo respiro dettato dalla necessità per l'autore di reinventarsi, ritornando in qualche modo alle origini della sua prima fase per esplorare nuovamente quelle terre nel Nord-Pas-de-Calais a cui è indissolubilmente legato da sempre, e nelle quali non smette mai di scavare alla ricerca dell'essenza più profonda dell'umanità. C'è molta ironia, è vero, in P'tit Quinquin, ci si diverte (in alcuni momenti le risate esplodono addirittura fragorose); tutti i personaggi (accuratamente scelti dal regista, anche tra persone realmente disabili come l'interprete ritardato del fratello di Quinquin) si contraddistinguono per la loro particolare caratterizzazione che li rende semplicemente (im)perfetti nel ruolo assegnatoli. Quinquin stesso (testa rasata, accenno di labbro leporino, naso schiacciato da pugile) è un volto che sfonda lo schermo, nei cui tratti somatici è impossibile non riconoscere una certa forma di atavismo (il Freddy de L'età inquieta); la sorella maggiore di Eve (la fidanzatina di Quinquin) sembra voler svincolarsi da quella comunione terrena come la Barbie di Flanders (a tal punto da suicidarsi facendosi divorare dai maiali, in una sequenza che a noi sarà solamente suggerita). In sostanza definitiva, quest'umanità caricaturale non fa altro che rispecchiare quell'imperituro universo dumontiano di "disagiati" esibitoci fino ad oggi. Ma è principalmente nell'eccentrica figura del comandante incaricato alle indagini, sconquassato dagli spasmi facciali e dalla camminata a falcate, che riemergono i più evidenti legami col passato. Personaggio in grado di elevarsi inequivocabilmente a simulacro dell'"uomo dumontiano" per eccellenza (Le Gars / Pharaòn); osservatore del cielo, auditore del respiro animale alla ricerca di possibili segnali. Un uomo, le cui insospettabili "percezioni investigative" finiscono con l'affondare direttamente in quella terra dove ancora una volta, sembra (ri)generarsi l'origine del male e che forse, finirà proprio per trovarsi inginocchiato al cospetto del "Diavolo in persona"... Ovviamente, non lo sapremo mai: il regista stesso, alle domande di chi esigeva spiegazioni sul finale, ha risposto di "amare la sospensione" ed effettivamente, tutto resta sospeso sopra quelle terre, come quella mucca che viene issata da un elicottero all'inizio del primo episodio: "La Bestia Umana" (Arcana docet). A conti fatti, a monte di qualsiasi genere, Dumont resiste, ed è ancora lo stesso di un tempo!  
(1) Dario Vecchiato (Ici on Baise "Fallo davvero" - Nocturno Cinema, dossier n°137)
(2) "Mi sono reso conto che, nei miei film, la commedia è sempre stata presente là dove c'era la tragedia. Così ho deciso di tornare sui miei passi, di fare la parodia di me stesso, e sono approdato al tragicomico perché è più pieno, mi consente di toccare in profondità le cose. Se ne L'humanité abbiamo tutti i colori dell'umanità, tuttavia si resta nella tragedia. In P'tit Quinquin, invece, c'è la comicità, che fa veramente parte della vita." - Bruno Dumont  
(3) "io amo il film di genere, quando ho avuto voglia di fare un film horror ho fatto Twentynine Palms, quando ho fatto Flandres pensavo al film di guerra." - Bruno Dumont

P'tit QuinquinP'tit QuinquinP'tit Quinquin

Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :

Magazines