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Padova, crocifisso comunale

Creato il 26 giugno 2014 da Albertocapece

Crocifisso-a-scuola-obbligatorioAnna Lombroso per il Simplicissimus

Il Comune di Padova acquista e regala, ma rendendone obbligatoria l’ostensione in tutti gli uffici pubblici , il crocifisso. A imporre l’esibizione del simbolo religioso, “e guai a chi lo tocca”, il neosindaco della Lega Massimo Bitonci, che alla nomina si è proclamato “sindaco di tutti” e che si era già distinto nel 2009 quando aveva organizzato dei sit-in per distribuire gratuitamente esemplari del Cristo in croce agli istituti scolastici di Abano Terme sempre in provincia di Padova, dove una scuola era stata obbligata a togliere il crocefisso in accoglimento della richiesta della famiglia di uno studente. 

Radici cristiane o no, era stata la Corte europea per i diritti dell’uomo nel 2011, che, proprio in merito al caso di Abano Terme, aveva  stabilito che “le autorità scolastiche hanno agito nei limiti della discrezionalità di cui dispone l’Italia nel quadro dei suoi obblighi di rispettare, nell’esercizio delle funzioni che assume nell’ambito dell’educazione e dell’insegnamento, il diritto dei genitori di garantire l’istruzione conformemente alle loro convinzioni religiose e filosofiche”.

Ma si sa che l’ubbidienza ai diktat e anche alle raccomandazioni dell’Europa matrigna funziona ad intermittenza e così come per le unioni di fatto, per la fecondazione eterologa, per l’eutanasia, insomma per quel che riguarda le cosiddette questioni eticamente sensibili, il nostro Paese rivela una sorprendente indole all’indipendenza, a conferma che si vede rporpiro che gli italiani non possono no n dirsi cristiani e soprattutto che il Vaticano pesa più di Bruxelles.

Certo inquieta il gesto improvvido e liberticida del sindaco di Padova, il consenso ricevuto dai padovani che non potevano essere all’oscuro della sua indole ed anche la tempestività con la quale l’accadimento si manifesta, giustificato con i soliti mantra leghisti pronunciati in difesa di usi di casa contro le invasioni straniere, ma che evoca per affinità altri tempi, quelli nei quali si allestiva un partito unico intento ad assicurarsi il sostegno della Chiesa. Quando venne rivendicato che la marcia su Roma, la cui cronaca, quasi in streaming che dobbiamo a Malaparte, parla di “esercito agreste che inalbera grandi Crocifissi trionfanti”, aveva dato avvio a una rivoluzione clerico-fascista, mossa anche “contro gli italianucci assetati di vigliaccheria, di eguaglianza, di appiattimento, di coiti contro natura …. Romantici o filistei, oratori, giornalisti, rabbini, levantini graeculi, protestanti”, per restituire all’Italia i valori cancellati dalla breccia di Porta Pia. Così che nel novembre del ’22 Mussolini inviava una perentoria circolare ai sindaci, firmata dal sottosegretario Lupi, si, un altro Lupi al governo, “diffidandoli” perché fossero “immediatamente restituiti alle scuole che ne risultino prive i simboli sacri della fede e del sentimento nazionale” crocifisso e bandiera. Si deve al Lupi, toscano, ras di Arezzo, ideatore di una serie di riti e liturgie propagandistiche fino all’elevazione di San Francesco a patrono del regime e all’imposizione negli istituti scolastici di targhe in memoria dei caduti vittime del bolscevismo, l’estensione dell’obbligo della crocifisso in tutti gli uffici del Regno.

Oggi come allora sussiste quello che è stato definito un ateismo devoto, che si caratterizza con la tutela integralista della Chiesa per ragioni di realismo politico, senza intima e credibile adesione alla fede cattolica, che cerca un rapporto di dipendenza funzionale con il Vaticano e le sue gerarchie, nella convinzione che corrisponda a un pensare comune e che l’Italia si governi solo così, che fa dell’ipocrisia l’arte del consenso trasformando la fede in fidelizzazione, quando un omonimo di quel sottosegretario voleva persuadere che Ruby sia nipote di Mubarak e che i costumi sessuali dell’inverecondo leader fossero peccatucci, manifestazioni della generosa e focosa esuberanza di una tempra virile.

E’ che purtroppo nelle alte sfere, la laicità, anzi il laicismo – con quell’ismo si è data una valenza negativa, di futile e intollerante faziosità – è all’acqua di rose, anzi all’acqua santa. Certe intemperanze vengono accolte con indulgenza, come fossero fenomeni di arcaico e inoffensivo folklore, soprattutto quando si parla di simboli e del crocifisso, forse per una bonaria comprensione della volontà delle gerarchie ecclesiastiche di nascondere che alla difesa e all’ostensione del crocifisso nello spazio pubblico, corrisponda la sua eclissi nello spazio privato.

Non troverebbe spazio oggi un Don Milani che toglie il crocifisso dalla scuola di Celenzano perché nessun simbolo ingeneri il sospetto di una pedagogia condizionata da influenze confessionali. Meno che mai il cattolico Gozzini, contiguo del La Pira molto citato ma poco conosciuto dall’attuale ras di Palazzo Chigi, che sull’Unità fondata da Antonio Gramsci, anche lui molto citato e ancora meno conosciuto, nel 1988 auspicava che un giorno la rimozione della croce nelle scuole e nei tribunali venisse chiesta dai cattolici stessi, che “ la fede cristiana non ha bisogno di orpelli statali per essere testimoniata come fermento che rende più umano il tessuto sociale”.

Eh si, il Renzi parla di La Pira ma gli è più affine don Camillo, come lo era a Bersani secondo il quale la tradizione del crocifisso non può far male a nessuno, e che non si sa perché non figura nel suo Pantheon. Ed anche, mi azzardo a dire, in quello del papa, che ha già dimostrato una capacità domestica e insinuante di persuasione più potente delle omelie di Giovanni Paolo II rivolte all’ubbidiente ministra Moratti perché reintroducesse l’obbligo del crocifisso in tutte le scuole pubbliche o private, subito sostenuta dall’allora presidente della commissione Cultura della Camera, l’inossidabile Adornato, oppure della battaglia sui simboli condotta da Ratzinger, a conferma che il muro bianco è uno spazio dove il non credente ha vinto sul credente.

Siamo stati troppo leggeri, troppo disinvolti, troppo irriflessivi, credenti e laici: lasciare licenza di ipocrisia fa male a tutti, schiude le porte alla menzogna reiterata, all’abuso “politico” di credenze e convinzioni, alla sopraffazione da parte del potere di ogni forma di diversità, di religione, di opinione, di inclinazione, in nome di una identità omologata, appiattita, conformista, più simile all’ubbidire che al riconoscersi.


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