Da qualche tempo tentavo di dare un nome al sapore di questi giorni. Ai provvedimenti del governo Monti, alle mosse dei burocrati di Bruxelles, al ridicolo politichese di “non è la nostra manovra, ma la votiamo”, ai clamori intorno alla catastrofe e alla patetica opposizione della Lega. I gusti e di disgusti sono molti: c’è la paura, l’ amarezza, qualche scaglia di zucchero che si frange dovuta allo sprofondare del berlusconsimo dentro la sua nullità, di delusione, di sciapo, di inutile, ma come descrivere l’insieme.
Così aumentiamo di un bel numero di anni l’età della pensione per far posto ai giovani, vogliamo togliere i diritti residui a chi li ha per pareggiare la situazione con chi non li ha ed essere equi, si rimettono o s’inaspriscono vecchie tasse navigando a vista. E quasi tutti i possibili cambiamenti hanno il verbo al futuro evasivo che è una forma tipica delle coniugazioni italiane. Sembra di sentire la consistenza o il sapore di un vecchio panettone scaduto o le movenze e le battute scontate di un cinepanettone che s’inseguono di anno in anno senza più senso.
Cambiano le facce, ma non le fumisterie, cambiano le situazioni, ma non i pensieri, cambiano le angosce, ma non le soluzioni. E la data di scadenza è vicina.