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Pantomime d’Occidente: la distruzione delle armi chimiche della Siria

Creato il 04 febbraio 2014 da Maria Carla Canta @mcc43_

mcc43                                                                                                                                 Translator

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Le conseguenze di Ghouta – La distruzione delle armi chimiche siriane è il solo risultato anti-Assad che l’Occidente abbia strappato a Russia e Iran come risposta all’orrore per le scioccanti immagini delle vittime di Ghouta nell’agosto 2013. La conclusione cui giunsero gli Ispettori Onu  fu lacunosa: l’85% dei campioni fu positivo al Sarin, ma non furono trovate prove indiscutibili sulla responsabilità del Governo. Presto tacitata fu la dicharazione dell’ex- magistrato Carla Del Ponte, membro della Commissione, sugli indizi rivelanti il possesso del medesimo gas da parte dei ribelli. Ciononostante, si decise di distruggere l’arsenale dell’esercito, non essendo evidentemente possibile rintracciare e impadronirsi di quello delle milizie.

motonave Cape ray
Italia – Gioia Tauro  La prima parte dell’arsenale da distruggere è stata destinata al nostro paese. (ved. Italia e armi chimiche una vecchia conoscenza dai tempi di Mussolini). L’Amministrazione comunale e la popolazione si sono mobilitati contro la decisione di operare nel porto di Gioia Tauro il trasbordo del materiale sulla Cape Ray, la motonave americana equipaggiata per dar corso all’ idrolisi. Si tratta di una reazione che modifica le molecole, distruggendone la capacità offensiva. E’ un metodo nuovo e il Mediterraneo è stato scelto per la sperimentazione.
Le informazioni sono lacunose: con quale nave arriveranno nel porto, che le autorità dichiarano non attrezzato allo scopo?
Sarà praticabile il trasbordo da nave a nave, senza transito a terra?
Le rassicurazioni delle nostre Istituzioni sono fondate sull’effettiva conoscenza dell’operazione?

La fretta dell’Occidente Sulla distruzione dell’arsenale chimico di Assad l’Occidente, come si usa dire,  ci ha messo la faccia e difende contro ogni evidenza la promessa del 30 giugno come data finale dell’operazione.
Finora solo il 4% dello stoccaggio totale siriano è stato  effettivamente mobilitato da Assad.  Una  “lentezza” che provoca l’irritazione di John Kerry , il quale ha chiesto al Ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov di esercitare pressioni sul Governo siriano.
Dove sia al momento, e su quale nave, detto quantitativo non è noto. Potrebbe accadere che la Cape Ray arrivi, l’11 febbraio, a  Gioia Tauro senza trovare il carico da imbarcare. 

La luce del buon senso Il governo siriano ha sempre respinto le accuse di aver fatto uso di gas, e già questo sarebbe motivo sufficiente per spiegare la lentezza della smobilitazione, ma vi sono delle ragioni importanti e molto  concrete che la Siria è costretta a tenere in considerazione.
Quanto è sicuro, quindi auspicabile, che questo materiale di letale tossicità percorra un territorio dove è in corso una guerra civile?
Sono stati calcolati i rischi di un possibile attacco dei ribelli, con la conseguenza di nuove perdite umane?
La sicurezza del trasporto è affidata alle unità dell’esercito siriano, qualora per un attacco delle milizie si verificasse una fuoriuscita a chi verrebbe imputata la responsabilità?
Con evidente sprezzo del pericolo corso dagli altri, l’ambasciatore statunitense Robert P. Mikulak si è lamentato con il Consiglio di Sicurezza della richiesta siriana di “coperture blindate per i container, contromisure elettroniche e dispositivi di rilevazione di detonatori”, richieste che egli, con stupefacente noncuranza, giudica “non pertinenti”. 

In novembre il New York Time scriveva:

“La scelta ora di fronte agli Stati Uniti e alle altre nazioni è lasciare le cose al loro posto e sperare per il meglio. O farle uscire di lì e sperare per il meglio. Questa è l’opzione ‘meno peggio’. “

“Meno peggio” per chi?

Non per la popolazione siriana, che di ben altro ha bisogno che di ulteriori pericoli.

Non per Gioia Tauro, che è stata offerta dal Governo come cavia di un’operazione  mai tentata in precedenza.

Non per il Mediterraneo, dove verranno versati i prodotti dell’ idrolisi, metodo cui è affidato di superare formalmente le disposizioni della CONVENZIONE DI PARIGI per la messa al bando delle armi chimiche che alla Parte IV, art. 11 (pag. 43-44) ne vieta il riversamento in qualunque tipo di acque.

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