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Paradiso privato, inferno pubblico

Creato il 31 maggio 2012 da Albertocapece

Paradiso privato, inferno pubblicoAnna Lombroso per il Simplicissimus

Quando vendi non è più tuo. La saggezza popolare si addice ai beni comuni. Che dovrebbero essere inalienabili, non commerciabili, indivisibili. Come i diritti. Come la democrazia. Come la libertà. Che non puoi cederne una fettina, levare qua, rimettere là: una volta concessa una porzione anche trascurabile, anche piccola l’insieme evapora, è talmente povero da non contare più, talmente indifeso da essere facilmente colpito, vilipeso, annientato.
Un imprenditore romano, forse un furbetto del quartierino – in fondo anche a Ricucci piaceva Cala Grande – con 90 mila euro a un’asta giudiziaria si è accaparrato una parte dell’isola di Santo Stefano, una delle perle dell’Arcipelago di La Maddalena, in Sardegna. Si tratta – secondo La Nuova Sardegna – di tre ettari ricoperti di macchia mediterranea, rocce di granito, con un accesso privato ad una piccola spiaggia.
Non consola che non possa costruire sull’isola sottoposta a severi vincoli ambientali. Si dovrà accontentare di quello che è stato lasciato dagli antichi proprietari che usavano quel paradiso come cava privata per estrarre il granito.

C’è chi dice che a volte è preferibile che i privati con pochi scrupoli e molti spirito di iniziativa diventino padroni della nostra roba. Eh si, ai lib-victim piace pensare che così la fanno diventare redditizia e al tempo stesso la “conservano”, la tengono bene, con cura, che così rende meglio. È inutile ricordare che allora dovrebbero pagare adeguatamente gli operai, garantire loro sicurezza e qualità del lavoro, rispetto e dignità, in modo che siano più “profittevoli”. E che come dice il proverbio, se è loro, esclusiva, non è più nostra, che al massimo quella spiaggia privata ce la possiamo guardare solo a distanza dal pedalò appena affittato.

Il pragmatismo cinico, sbrigativo, cui si addice che persone, desideri, lavoro, beni diventino merci ha preso il posto delle grandi narrazioni “metafisiche” che avevano influenzato gli uomini e le donne dell’Occidente: illuminismo, idealismo, marxismo, quelle luminose interpretazioni del mondo sono esaurite, di fronte al malinconico e spento disincanto che attraversa le nostre esistenze. Proprio come aveva profeticamente previsto quel passo del Manifesto: Tutti gli antichi e arrugginiti rapporti della vita con tutto il loro seguito di opinioni e credenze ricevute e venerate per tradizione si dissolvono, e i nuovi rapporti che subentrano passano fra le anticaglie (…) Tutto ciò che aveva carattere stabile (…) si svapora, tutto ciò che era sacro viene profanato e gli uomini si trovano a dover considerare le loro condizioni di esistenza con occhi liberi da ogni illusione, ecco abbiamo rimosso ideologie e ideali, principi e valori in cambio di uno spregiudicato assoggettamento al mercato, una ottusa devozione al profitto, che tanto non c’è alternativa.

Pare dobbiamo rispondere solo a un comando, solo al «concetto puramente geometrico del procedere innanzi», non si sa verso dove, stancamente e inesorabilmente, che fermarsi è una colpa quando pensare; accontentarci di una “immagine del mondo” come di un supermercato gelido e amorfo, nel quale le merci più preziose sono sotto chiave, le altre sono mediocri ma quasi altrettanto inarrivabili, noi abbiamo i soldi contati. Perché pare che la meritocrazia consista nel conquistarsi il poco con l’ubbidienza, la rinuncia, la penitenza, il sacrificio dei diritti fondamentali, delle garanzie primarie, dei beni comuni. In cambio appunto di una miseria nemmeno dignitosa, elargita come una concessione, somministrata come una elemosina, un contentino, come La Fornero, ha chiamato le pensioni delle lavoratrici, che dopo tanta immeritata gratificazione vengono messe alla pari degli uomini, esodate, penalizzate, marginalizzate, precarie e costrette ai doppi lavori forzati anche in sostituzione di un welfare, umiliato e esautorato.

Oggi lo Stato italiano ha sborsato una somma ingente visti i tempi per “riscattare” due militari dell’esercito forse colpevoli di aver sparato su due pescatori indiani, forse vittime di un ministro e di un intermediario che hanno offerto uno spettacolo umiliante del nostro paese, non tanto difendendoli incuranti del ristabilimento della verità, dello stato di diritto, delle convenzioni internazionali, ma cercando soluzioni “all’italiana” direbbe Woody Allen, sottobanco e trasversali. Comunque mandati a nostre spese a fare da vigilantes né più né meno come poliziotti privati a guardia di trasporti di merci altrettanto private su navi private che dovrebbero assicurarsi come si chiede ai terremotati e difendersi privatamente.
Ma invece non ha pensato di impiegare la metà di quel denaro per assicurare alla collettività un pezzo inimitabile di bellezza, che non è una merce, ma è una ricchezza più preziosa, indivisibile e visibile, che rincuora, rende migliori, rafforza il senso di appartenere a un luogo e a una storia, uno di quei posti che fanno sperare che questo aiuola che ci fa tanto feroci sia abitabile, un giardino o una piazza nella quale essere felici.


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