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“Parlo dunque sono” di Andrea Moro

Creato il 11 settembre 2013 da Sulromanzo

Autore: Sandro Pezzelle

Andrea Moro, Parlo dunque sono
«La scelta, poi l’ordine, poi il caso: in un album di foto, in fondo, ci sta tutto quello che ci sta nella scienza, perché nella scienza, quella buona, ci sta – ci deve stare – tutto quello che sta nella vita». È concepito come un album di fotografie, Parlo dunque sono (Adelphi, 2012) del linguista Andrea Moro, un libretto agile soltanto all’apparenza, che raccoglie dentro di sé diciassette istantanee di personaggi che vanno da Dio a Noam Chomsky. Dopo una premessa che pare rubata dalle pagine di un romanzo, per come gioca con naturalezza tra sacro e profano, fotografia e metodologia della scienza, Moro presenta il primo protagonista del suo album, del quale cita un frammento su cui verterà il suo ragionamento. È un passo della Genesi, in cui si legge: «In qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome». «Si tratta di una linguistica embrionale – dirà poco sotto il linguista – di una linguistica “atomica”: ma pur sempre di una linguistica». Linguistica. È questa la parola-chiave, e insieme la ragion d’essere, di un trattatello che fin dalle prime pagine non abbiamo timore di definire come filosofico. Che cos’è, se non filosofia, quel ragionare di realtà e lingua, uomo e pensiero, che scava alla base del nostro essere nel mondo? «Diciamo che il nostro corpo, impasto di leggi di natura e di storia – continua il “capitolo” su Dio –  non è solo compatibile con il linguaggio, ne è espressione inscindibile: e nient’affatto accidentale. Siamo dunque fatti della stessa sostanza di cui sono fatte le parole, e come noi Dio, che in questo ci ha generati simili a lui: liberi, liberi di dare nomi alle cose. Noi siamo tutti parole incarnate».

La seconda fotografia prende le mosse dal Sofista di Platone: si parla di «combinazioni tra atomi, cioè della nascita, o meglio del riconoscimento, delle più importanti molecole di parole – le frasi». L’ordine, com’era stato anticipato nell’introduzione, non è casuale: dai puri nomi, dagli atomi in isolamento si passa ad una dimensione superiore. E con la stessa progressione si va da Platone ad Aristotele. Qui si ragiona sulla logica, intesa come capacità di un enunciato di “dire il vero”, mentre commentando un frammento del De lingua latina di Varrone si passa alla morfologia e, insieme, alla considerazione che «parte della nostra conoscenza del linguaggio non ci viene insegnata: è un fatto di natura».

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Andrea Moro, Parlo dunque sono
Questione annosa e interessantissima che – almeno per gli addetti ai lavori – non può che rimandare “naturalmente” ai pionieristici lavori di Chomsky, ben riassunti da Moro nell’«ipotesi che gli esseri umani nascano con un cervello che (in potenza) contiene già tutte le sintassi possibili». «L’apprendimento non sarebbe dunque un fenomeno di costruzione, ma di selezione». Proprio a Chomsky si approda con la diciassettesima e ultima istantanea, quando si legge una citazione che, anche solo a voler dare un giudizio meramente estetico, lascia a bocca aperta: «Il linguaggio è più simile a un fiocco di neve che al collo di una giraffa. Le sue proprietà specifiche nascono dalle leggi di natura, non sono qualcosa che si sviluppa come accumulo di fatti storici casuali». Si parlava di approdo, poco fa, e non a caso; perché per Andrea Moro quella di Chomsky «non è una foto di gruppo. Anzi, ritrae un individuo quasi isolato, malgrado le apparenze. […] una foto difficile e inaspettata, di quelle che fanno capire come il viaggio non sia affatto finito».

Le conclusioni cui giunge questo lavoro, che tra gli altri chiama in causa pure Cartesio e Ferdinand de Saussure, non hanno la presunzione di atteggiarsi a teoremi inoppugnabili o rassicuranti dati di fatto. Si tratta piuttosto di conclusioni provvisorie, fotografate nel loro avvicinamento progressivo ad una verità che pare comunque un’alternativa migliore a quella che vorrebbe spiegare tutto con il caso. «L’album non è completo – si apprende nel congedo – ma la vera questione è se un album sul linguaggio potrà mai esserlo». Parlo dunque sono, aggiungiamo riprendendo il paradosso che chiude il libro, è un altro passo di Achille verso la tartaruga.

 


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