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Parola d’ordine: in cucina ospiti partecipativi

Da Yellowflate @yellowflate

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Cucinare assolve al bisogno primario che l’uomo ha di nutrirsi, ma spesso diventa anche occasione di socializzazione. Sì, perché la ricetta della nonna o quella della zia sono un’occasione di discussione e apprezzamento fra i commensali, ma molto spesso anche in cucina, quando si chiacchiera con lo chef di turno. Quella manciata di sale in più o quel pizzico di erba aromatica che fanno la differenza diventano non solo una pratica culinaria, ma un modo per fraternizzare. Forse è per questo motivo che le cosiddette cucine open space riscuotono grande successo: la cucina non è più vissuta come un’ambiente a sé, destinato al cuoco o cuoca di casa, ma è diventata il “centro del mondo” nell’universo famigliare. La cucina all’americana, come si chiamava un tempo oppure open space come va di moda chiamarla oggi, è stata un’intuizione geniale e pratica allo stesso tempo. Figlia del pragmatismo, la sistemazione open space della cucina permette di coniugare, nel vero senso della parola, il soggiorno con la cucina; creando, di fatto, un ambiente unico. Un ambiente che non rinuncia all’eleganza, poiché le cucine open space non hanno nulla da invidiare alle “cugine” classiche, ma che permette di sfruttare in modo diverso lo spazio a disposizione. La concezione è quella di spazialità: lo spazio è condiviso con tutti i frequentatori della casa, in una vera aggregazione sia fra i componenti del nucleo famigliare che con gli ospiti. “Profumi e sentimenti” potrebbe essere il motto delle cucine open space. In questi ambienti la separazione è solo funzionale, non concettuale: molto spesso l’angolo cottura è diviso dal resto della stanza solo da una penisola che serve come piano da appoggio al cuoco o come tavolo quando si è soli in famiglia. Arredare casa con questo tipo di soluzione significa, indubbiamente, dare un’impronta di apertura agli spazi (e alla mente), creando ambienti luminosi e vivaci, a misura d’uomo

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