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Patagonia, una terra dal nome sbagliato / Parte 1

Creato il 20 febbraio 2013 da Molipier @pier78

Gli uomini hanno battezzato questa terra con il nome sbagliato. Dovevano chiamarla Fuerzavientos. Ci sono arrivato dopo aver perso il conto  delle ore impiegate. A Cerro Castillo , la frontiera tra Argentina e Chile , quattro ore di sosta straziante  a causa di due francesi che avevano smarrito il foglio dell’immigrazione.

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I militari con i loro gesti dicono: “noi qui soffriamo, soffrite anche voi, che pensavate di arrivare in scioltezza nella mitica Patagonia. Troppo facile. C’e’ sempre un conto da pagare“. Studiano il passaporto e viene il dubbio che questi arrogantoni frustrati non sappiano nemmeno leggere, attori di frontiera, aspettano l’occasione per esibire il loro muscoli burocratici.

I francesi si disperano, cercano i fogli, commettono il più grave degli errori, aprono le valige dal portabagagli del bus. Apriti cielo, una folata di vento pampero in agguato si abbatte democraticamente su tutto il loro contenuto. Mutande, calzini, reggiseni, giacche, sapone, cappelli, vengono lanciati in Chile. Qualcosa resta impigliata alla sbarra doganale, ma il più della roba ha già cominciato il suo viaggio in Patagonia Cilena. E mentre le mutande fanno il loro ingresso ufficiale a Fuerzavientos , i militari  si decidono a fare due fogli nuovi. Ho capito, qui siamo nelle Terre del Vento. E’ Lui che ha risolto la questione.

Si riparte, i francesi chiedono scusa. Rispondo “no problem“. Ripenso ad un caso analogo capitato a me, chiesi scusa e mi risposero “Ah, les italiens!“. E’ meglio non giudicare e tanto meno generalizzare.

Arrivo a Puerto Natales con il tramonto, una palla infuocata come un rosso d’uovo si sta tuffando in mare, la luce tiepida, fredda e radente all’orizzonte proietta ombre lunghissime. Gli ultimi raggi di luce esaltano colori saturi ma non cupi rendendo ultraterrena la visione.

La Patagonia e’ uno stato d’animo, che linda.

Incontro Christian, l’hombre patagonico, il volto eroso dal vento, capelli arruffati, occhi profondi, blu come il fiordo Ultima Esperanza, basta così,l’incontro in una manciata di secondi si chiude con una poderosa stretta di mano, andiamo d’accordo. Ho fame e non ho pesos cileni e lui, in automatico, ne prende una manciata dalle sue tasche e mi indica il “el Barbuja” suggerendomi  “salmon a la plancia, papas frita e una chops grande (birra) todo rico“.

Fuerzavientos e’ straordinaria, ho letto molto sulla Patagonia ma quando sei qui ti accorgi di essere in ritardo, vorresti essere stato partorito qui. E’ una sensazione forte, che si prova raramente, come davanti ad un’opera d’arte, che va oltre la nostra capacita’ di comprensione. Ipnotica.

Devo avere addosso puzza di fame, il cuoco dietro la vetrata mi scruta, non parlo, con gli occhi lancio un segnale distensivo. Mentre penso a tutto questo, atterrano sul mio tavolo 700 grammi di salmon patagonico, una pinta di birra e un cofano di patate fritte. Dopo 14 ore di viaggio non chiedo altro. Forse Christian ha avvisato del mio arrivo e anche se non fosse così, mi piace pensarlo.

Qui  la vita è dura, uomini e alberi, se vogliono vivere si devono piegare, quando Fuerzavientos è di cattivo umore sono dolori per tutti. La sua è un’azione implacabile, feroce, continua, come Gattuso, ogni tanto si riposa, ti inocula l’illusione che forse ha finito, ma ritorna con la pioggia, ti sferza, ti percuote, come un gigante buttafuori di una discoteca malfamata. E’ fatto così.

El Mundial, dove alloggio, più che un hotel è un bivacco, fuori piove, il tetto gocciola nella nostra “stanza” in 3 secchi di latta che tambureggiano insieme all’insegna esterna cigolante che sa di ninna nanna. Mi sembra di essere protagonista della scena del  film: “Sogno Patagonia”.

Il vento stanotte è di turno. Bruce Chatwin nel suo viaggio si chiese: “che ci faccio qui?” ora mi e’ chiaro il concetto. E’ una strana sensazione, un tepore interiore, accovacciata con me Tiziana, sotto due coperte pesanti di pelo di milodonte, suppongo (mammifero xenartro vissuto nel pleistocene superiore in Patagonia e scoperto da Charles Darwin). Chiedo: “dormito bene?”  Si, risponde. Meglio non approfondire. Il bip dell’orologio mi annuncia il desayuno, sorpresa, una vecchia stufa in ghisa sta sbuffando calore, sui cerchi caldi c’è pane abbrustolito, burro, marmellata, caffè, the . Miracolo! Christian, girandomi le spalle, chiede: “Dormiste bien?”  Claro que si, rispondo. Stiamo bene, e non è poco.

Eppure pensi che ce la potresti fare a vivere qui, si potrebbero mettere giù due righe di contratto con il signor Fuerzavientos e spiegargli che non vuoi mettere in discussione la sua leadership, giusto per chiarire i ruoli. Un conflitto impari ma ripagato da questi luoghi dell’anima.


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