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Pd, Grand Hotel abisso

Creato il 20 aprile 2013 da Albertocapece

1Ricordo come fosse ieri la diretta dal lingotto con Veltroni che faceva il discorso fondativo del Pd. La ricordo bene non tanto per le parole così democristiane di Walter, quel ben articolato e inconsapevole nulla delle idee dove il “ma anche” sembrava la versione bar biliardo della dialettica negativa di Adorno con il suo infinito rinvio della prassi., un perfetto e azzimato cliente del Grand Hotel Abisso di Lukacs. No, non per il  discorso ma per l’approvazione che sul sito di Repubblica dimostrava una base partecipativa che a tutti i costi voleva vedere l’arrosto dove non c’era che il fumo.

Così adesso, giunti alla fine della traiettoria, ci accorgiamo di essere tutti clienti di quell’albergo dove la critica radicale alla società non si coniuga con alcun progetto, anzi si concede totalmente ai lupi e alle pratiche del potere. Del resto le dimissioni di Bindi e Bersani non sono che il punto di approdo di un partito che asseriva di voler coniugare due culture diverse, peraltro già abbondantemente evaporate, ma nella sostanza non era che un  marchingegno elettorale messo in piedi per il bipartitismo, una sorta di arca di Noè per salvare dal diluvio le classi dirigenti di una margherita agonizzante e le vecchie basi di potere dei Ds. Il tutto al riparo del guscio di noce dell’anti berlusconismo destinato a nascondere la banale realtà e a far perdonare l’imperdonabile.

Ovvio che in questo quadro non ci sia mai stato un vero dialogo né con la base né con l’elettorato, anzi il partito ha cercato con una incredibile pervicacia, di azzittirli e di contrastarli facendo leva sull’apparato.  E anche quando nelle primarie e nella vicenda dei referendum si è visto che non c’era modo di tamponare gli zampilli di speranza e di cambiamento, ci si è ancora di più chiusi a riccio dentro il guscio di casta. Ma anche la base, il popolo di sinistra è stato troppo a lungo distratto, si è fatto troppo a lungo menare per il naso da forme di partecipazione sospette. Non mi piace, in questo orribile momento, dire che avevo ragione quando dicevo che partecipare a primarie nelle quali si doveva preventivamente aderire a una linea politica (e che linea, il montismo) era solo concedere un alibi al ceto dirigente per combinare i suoi pasticci e continuare a campare secondo logiche tutte proprie e lontanissime da quelle dei propri elettori.

Già un partito che nasce provocando la caduta del governo di centrosinistra e rimettendo a cavallo Berlusconi doveva far mettere mano ai cornetti di corallo e rivelarne la trama politicamente esigua se non inesistente. Veltroni avrebbe dovuto dimettersi prima ancora di fondarlo il Pd. Ma già dopo la mazzata epocale delle elezioni del 2008 c’erano tutti i presupposti per considerare conclusa e fallimentare l’esperienza. Così come quasi ogni settimana in cinque anni di paralisi e di mutismo, dove i contrasti interni impedivano di prendere una posizione chiara su qualunque cosa, ci sarebbe stato motivo di chiudere la “ditta” e di tornare al partito degli ex popolari e a quello socialdemocratico.

Però non si poteva: i margheritini sapevano di essere ormai in un limbo in estinzione e i Ds divenuti chierici del mercato, non avevano alcuna reale fiducia in un’alternativa sociale. Non credevano nemmeno a quel poco che dicevano e non avevano più il coraggio di esprimere una visione alternativa della società. Si limitavano a rivendicare una diversità etica che certo non era un grande sforzo con il Cavaliere al potere, ma nella sostanza venivano poi condivise tutte le linee politiche di fondo tendenti a svalutare il lavoro, a limitare e vanificare il welfare, a contristare i sindacati e persino a limitare libertà della magistratura e quella di espressione. Dissociati in pubblico, consociati nell’ombra del pensiero unico.

Così dopo l’ultima sconfitta elettorale al posto della vittoria quasi certa, con un segretario che interpretava la campagna elettorale solo come rassicurazione ai centri della finanza mondiale, non sono arrivate le dimissioni di Bersani, ma si è scatenata invece la bagarre finale del gruppo dirigente che è finita in farsa e dramma assieme, prima con l’improvviso accordo col Cavaliere e la proposta di una mummia già sepolta nella torba e poi con il rogo finale di Prodi, padre nobile del partito Del resto quando a sparigliare il mazzo ci sono persino i dalemiani, ossia i seguaci di un personaggio che ha collezionato solo sconfitte elettorali, tradimenti ideali e persino guerre, non vedo che speranze ci possano essere in una futura trasformazione e mutazione.

Anzi c’è anche caso che in un ultimo sussulto di indignità ci regalino anche la fascistoide Cancellieri come Capa dello stato. Così si cancellano più facilmente. O cerchino di far rimanere Napolitano per mettere la maschera di Pulcinella. E’ quest’acqua quà.


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