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Per amore della libertà, rialziamoci insieme

Da Aurita1 @francescofilini

Per amore della libertà, rialziamoci insieme

di Francesco Filini

L’economia dell’Eurozona è ormai avvitata su se stessa, la politica ha ormai rinunciato al suo ruolo e si è consegnata alla finanza che continua imperterrita nella speculazione a danno di chi già era povero e di chi presto lo sarà. Sembra una recessione senza fine, a nulla sono servite le manovre lacrime e sangue: la belva finanziaria, i mercati, gli speculatori che devono investire sugli Stati ex-sovrani per ricavarne degli utili, continuano ad avere sempre più fame. I governi della fascia mediterranea hanno eseguito alla lettera tutte le indicazioni imposte dai signori dello spread, hanno impugnato

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la falce e senza scrupoli hanno cominciato a tagliare la spesa sociale, negando assistenza e servizi a disabili, anziani, disoccupati e bambini. Non sono illazioni catastrofiste ma la fotografia identica della realtà: è dello scorso Aprile l’allarme dell’Unicef e dell’Università di Atene circa ben 400.000 bambini denutriti per la crisi, la nostrana “spelling” review decapita posti di lavoro, i bilanci degli enti locali diminuiscono mentre la richiesta d’assistenza aumenta proporzionalmente con l’aumentare delle disoccupazione, a Madrid abbiamo assistito – nonostante i canonici mezzi d’informazione si siano ben guardati dal fare il loro mestiere, ovvero quello di raccontare realmente la disperazione spagnola che potrebbe preoccupare non poco gli italiani – a imponenti manifestazioni guidate non più da partiti e sindacati ormai addomesticati, ma addirittura da pompieri, professori, medici, imprenditori e operai: in poche parole dal popolo. Fiscal compact, ESM e pareggio di bilancio serviranno a fare definitivamente a meno della politica, le manovre dei governi verranno imposte da organismi sovranazionali i cui provvedimenti e vertici sono addirittura inviolabili e immuni da qualsiasi giurisdizione. Come ogni dittatura che si rispetti, i signori che decideranno per conto dei popoli non devono essere contestati.
La situazione è drammatica, non si vede alcuna via d’uscita, non è stata presa alcuna misura per la crescita perché per fare ciò servono i soldi che le banche non vogliono dare agli imprenditori. Abbiamo milioni di giovani che anziché rappresentare una risorsa diventano un costo a carico della famiglia: nessuno vuol far emergere nuovi talenti, nuove imprese, nuova produzione: l’aspirazione massima per un ragazzo di oggi è quella di fare il commesso precario presso il Leroy Merlin di turno. Il sistema finanziario che controlla e gestisce il denaro è illiberale perché uccide, insieme allo Stato complice che impone tasse impossibili per garantire il sistema, la libera impresa. La libera impresa che ha sempre rappresentato il cuore vivo e pulsante dell’economia italiana, quella vera, quella che nel secolo scorso ha creato marchi di qualità che facevano invidia a tutto il mondo. Oggi quei marchi sono stati conquistati dai signori del denaro, il made in Italy è agonizzante e non reggerà le ultime falcidiate inferte dai mercanti di moneta.
Sembrerà strano ma il modo per uscirne fuori c’è e non dipende da nessun politico, nessun banchiere e nessun tecnocrate al servizio della belva finanziaria: è nelle nostre mani. Il grande giudice Giovanni Falcone diceva sempre “segui il denaro”, proviamo a seguire questo semplice e provvidenziale consiglio. Partiamo da noi, proviamo a vedere come e dove spendiamo i nostri soldi. Immediatamente la nostra mente ci offre l’immagine di migliaia e migliaia di persone che affollano mega centri commerciali dove
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è possibile trovare di tutto, dove è possibile mangiare, socializzare, vedere un film, comprare una macchina, un vestito, un viaggio o un semplice pezzo di pane. C’è di tutto e di più, anche a prezzi apparentemente convenienti. Ma ora, proviamo a guardare aldilà del nostro naso, posiamo le buste della spesa e guardiamo dove vanno a finire gli euro. Se mi sono approvvigionato presso un supermercato ho consegnato il mezzo monetario ad una grande multinazionale (in Italia vanno molto “di moda” quelle battenti bandiera Francese) che non reinvestirà quei soldi nel mio quartiere, come invece avrebbe potuto fare il gestore del banco di frutta e verdura o il “pizzicagnolo” che mi vendeva prodotti nostrani. Quei soldi non ricadranno nemmeno nel suolo del paese d’origine della multinazionale, i miei soldi, essendo tutte le multinazionali quotate in borsa e avendo queste dietro grandi gruppi bancari, diventeranno il mezzo d’investimento del mercato azionario. Facendo la spesa al supermercato controllato dai grandi gruppi finanziari, non ho fatto altro che dare a qualcuno lo strumento per l’investimento. Indovinate dove investiranno i “nostri” soldi i mercati finanziari? La risposta è nel mantra che Monti e i servitori della finanza come lui ripetono ogni giorno: “bisogna rasserenare i mercati”, ovvero garantire che questi traggano degli utili dal prestito che faranno al sistema italiano tramite i titoli del debito pubblico! Non ce ne accorgiamo, ma se seguiamo il denaro come ci consigliava Falcone, scopriamo che siamo noi ad alimentare la crisi, consegnando alla finanza i nostri soldi che ci ritornano sotto forma di debito gravato d’interesse. Dobbiamo soltanto comprendere che il nostro modo di fare che ha radicalmente trasformato la nostra società ci sta distruggendo. La rappresentazione plastica del nostro fallimento è nei quartieri delle nostre città: chiudono definitivamente le saracinesche dei
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negozi e delle piccole botteghe, non ci sono più punti d’aggregazione sociale, i ragazzi non si vedono più nel muretto ma scelgono il centro commerciale come luogo d’aggregazione. Da cittadini che eravamo siamo diventati meri consumatori che abitano in anonimi quartieri dormitorio. L’indifferenza e l’egoismo regnano sovrani. L’assenza di solidarietà fra il popolo fa la fortuna dei signori dell’oro.
Quale altra soluzione potrebbe esserci se non quella di ricostruire il tessuto sociale comunitario tramite un nuovo patto di solidarietà e reciproca mutua assistenza? Se qualcuno spera ancora che la soluzione arrivi dall’alto si sbaglia di grosso. Politica e finanza vanno a braccetto e traggono profitti da questo sistema, i moti di piazza sono pericolosi e la storia ci ha insegnato che non hanno mai portato a soluzioni indolore. Spesso ad un vecchio regime se ne è sostituito un altro.
Ora proviamo ad affrontare il problema dal punto di vista pratico. Abbiamo detto che riversiamo ogni giorno milioni e milioni di euro che ritornano nell’economia reale sotto forma di debito. Dobbiamo quindi tornare a rifornirci presso i negozi di quartiere e nei mercati rionali. Ma in una società che impone a marito e moglie di lavorare tutti i giorni fino a sera, chi ha il tempo di andare a “caparsi” le primizie nel mercato rionale? I prezzi del mercato rionale poi sono sempre più alti, al supermercato si arriva a spendere la metà, e di questi tempi…
Proviamo a dare una risposta concreta al primo problema. La tecnologia oggi potrebbe rivelarsi uno strumento essenziale: immaginiamo che alcuni virtuosi e volenterosi giovani di un quartiere si organizzino e costituiscano un’associazione o una cooperativa che si occupa di mettere sul web un mercato rionale, dove Franco il fruttivendolo, Mario il macellaio e Gino il panettiere possano mettere su uno schermo il proprio banco e i propri prodotti, aggiornandone i prezzi, indicando la provenienza e tutte le specifiche che servono.
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Così facendo si darebbe la possibilità a chi lavora fino a sera di fare la spesa nel proprio quartiere in pochi minuti, ordinando tutto ciò che serve. Immaginiamo che gli stessi ragazzi volenterosi, una volta recepito l’ordinazione telematica, si preoccupino di recuperare i prodotti e recapitarli addirittura a casa o dando la possibilità di ritirare le buste pronte presso il mercato stesso. Con un semplice e più che fattibile meccanismo, si da la possibilità alle persone di un quartiere di spendere nel proprio mercato rionale, consegnando il mezzo monetario all’economia reale. Rimane ora il problema del prezzo.
Per risolvere un problema si deve logicamente prima capire che cosa ha determinato il problema stesso. Qui il discorso potrebbe farsi molto complesso, ma proviamo a semplificare.
Tutti mangiamo pane e sappiamo che mediamente questo costa 3 euro al Kg. Ma in pochi sanno quanto costano i 100 Kg di grano che servono a fare 100 kg di pane. Con soli 15 euro si acquista un quintale di grano che viene venduto, trasformato in pane, a 300 euro. E’ vero che il grano va trasformato in farina, è vero che la farina viene trasformata in pane, è vero che ci sono tante tasse, ma tutti i passaggi non giustificano la maggiorazione del prezzo. Un prezzo onesto, che rispettasse tutta la filiera, sarebbe almeno inferiore ad 1/3 del prezzo finale, ovvero pagando il produttore, il mulino, i fornai e le tasse, 100 kg di pane potrebbero tranquillamente costare 100 euro. Ma abbiamo lasciato fuori un attore principale del mercato: la distribuzione.
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Oggi la distribuzione, grazie alla globalizzazione, è diventata Grande Distribuzione Organizzata (GDO) ed ha il monopolio dell’intero mercato.
Grazie sempre al nostro modo sbagliato di fare la spesa, il produttore di grano è costretto a svendere sotto costo il frutto del sudore del suo lavoro alla GDO, perché non ha altro mercato a cui rivolgersi. Il prezzo è quello, o si adegua o lascia marcire nei silos tutto il raccolto di un anno. Se invece modifichiamo il nostro modo di spendere lasciando gli euro nel quartiere, non solo ci terremo stretti i soldi, ma potremmo addirittura fare in modo che le pesche che colorano il banco del fruttivendolo provengano direttamente dalle coltivazioni della campagna vicina, a km 0, senza “usura” della GDO. Ricostruendo la filiera dell’agroalimentare si incentiva la produzione locale, la qualità, la specificità (tutti oggi ignorano che tanto la pizza mangiata a Napoli quanto quella mangiata ad Aosta sono probabilmente fatte con la stessa farina, magari proveniente dalle coltivazioni transgeniche dell’Uzbekistan…) e addirittura si potrebbero abbassare i prezzi. Se questo semplice meccanismo fosse replicato in tutta Italia assisteremmo all’incipit di un vero miracolo italiano.
Ma per far sì che ciò accada è indispensabile stringere un patto di solidarietà e di reciproca fiducia. Oggi assistiamo al proliferare di progetti di monete locali, tentativi spesso goffi e folkloristici che cercano di dare una risposta alla tempesta dell’euro. Ma tra i tanti progetti quello che convince di più per serietà è quello dello SCEC, che non è una moneta ma la rappresentazione
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grafica di un patto di solidarietà tra comuni cittadini volto ad aumentare il potere d’acquisto di ogni singolo, di abbassare i prezzi e di vincolare la spesa nel territorio incentivando l’economia locale e offrendo quindi la possibilità di riconnettere il tessuto produttivo con l’interazione diretta e non intermediata di produttori, venditori e consumatori.
Con progetti come quest,i che sono volti a mettere da parte l’individualismo e il particolarismo sterile di ognuno a vantaggio della comunità locale e nazionale, potremmo ritornare a riappropriarci della sovranità alimentare e addirittura di quella economica. Dobbiamo solo ricordarci, leggendo la storia, che siamo un grande popolo, capace di imprese geniali e straordinarie. Stringiamo un nuovo patto di vera solidarietà, di mutua e reciproca assistenza, realizziamo il pensiero-chiave che la finanza e la GDO hanno necessariamente bisogno di noi, noi possiamo invece benissimo fare a meno di loro. Buona r-evoluzione a tutti coloro che non vorranno mai perdere la propria libertà, nemmeno per tutto l’oro del mondo.
Twitter @francescofilini

Editoriale pubblicato sul quotidiano online IlVostro.it
http://www.ilvostro.it/editoriali/crisi-a-nulla-sono-valse-le-manovre-lacrime-e-sangue/50872/


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