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Per capire i Merovingi studia il Sessantotto

Creato il 26 marzo 2012 da Senziaguarna

di Silvia Guidi

Claudio Leonardi e l’agiografia medievale

Per capire i Merovingi studia il Sessantotto

San Gregorio Magno detta ai suoi scribi - miniatura dal Sacramentario di Carlo Il Calvo, IX sec. - Parigi, Bibliothéque Nationale de France.

«Il telegiornale delle 20 fa parte del mio corso di formazione permanente» diceva con un sorriso Claudio Leonardi — lo storico, filologo e latinista italiano scomparso nel maggio del 2010 — ai suoi studenti, per far sapere che, se possibile, a quell’ora era meglio non telefonare. Non era solo una comunicazione di servizio, era anche un suggerimento di metodo. Se è vero che conoscere il passato è fondamentale per capire il presente è vero anche il contrario: la cronaca — non solo la “terza pagina”, anche l’attualità politica, giudiziaria, economica, la cronaca nera o bianca — è uno strumento insostituibile per comprendere le dinamiche sociali, economiche, culturali e spirituali di epoche anche molto lontane dalla nostra per cronologia, mentalità e sistemi di valori condivisi.
Vita magistra historiae, si potrebbe dire capovolgendo il celebre adagio: anche se le categorie interpretative spesso nascono in relazione ad antinomie, malintesi e paradossi. È il caso del “modello agiografico” di cui Leonardi si è servito per rileggere un millennio di testimonianze letterarie estremamente varie per genere, destinatari e fortuna, cercando di superare la tradizionale contrapposizione fra studi positivistici e studi devozionali.
«Il racconto della vita di un santo rivela soprattutto un desiderio straordinario di perfezione, personale ma capace di un riflesso sociale, un desiderio a cui viene così riconosciuta una funzione storica» scrivono Antonella Degl’Innocenti e Francesco Santi nella premessa al volume da loro curato che raccoglie le sperimentazioni storiografiche di Claudio Leonardi su questo tema (Agiografie medievali, Firenze, Sismel — Edizioni del Galluzzo, 2011, pagine XVIII + 770, euro 98). In un’epoca come la nostra, sostanzialmente indifferente al tema della perfezione nel destino individuale (nel senso etimologico del verbo latino perficere, portare a compimento), diventa interessante allora investigare e capire «le ragioni dell’attuale interesse per le vite dei santi e l’agiografia, quell’esigenza conscia o inconscia che sia, che oggi abbiamo di visitare testi del passato medievale così da misurarsi con fonti e modelli di perfezione di cui oggi si è persa la traccia, il bisogno di confrontarsi con quel linguaggio di cui oggi non c’è più rimasta parola e di cui pur avvertiamo in negativo la necessità. Se ci è negata ogni soluzione, non ci si può negare di desiderarla.
Per comprendere quel linguaggio — continua Leonardi entrando nel merito del suo lavoro di filologo e storico — servono operazioni critiche guardinghe, attente a individuare i modelli e le loro qualità, il loro formarsi e svolgersi, a isolare ogni singolarità, a distinguere tra il momento conformistico e il momento alternativo o contestatore (che numerose volte si può documentare, basti pensare ad alcune espressioni dell’agiografia merovingia tra secolo vi e VIII o a quella gregoriana del secolo xi o ancora a quella antiavignonese nel secolo XIV)». C’è un modello letterario di santità politica e un altro che potremmo definire santità contestataria; per capire il primo può essere utile ricordare le più recenti santificazioni laiche dei leader politici. «La nostra generazione — scrive Leonardi nel primo saggio del suo volume — credo abbia assistito almeno una volta a un fatto analogo, cioè a una promozione agiografica, sia pure tra le differenze ovvie tra il medioevo e noi: in questi termini si è di fatto configurata la memoria della morte di Enrico Berlinguer, quando non solo i suoi compagni di partito lo hanno per dir così canonizzato: in lui, in quel suo volto severo, segnato dalla sofferenza e dalla dedizione, hanno potuto identificarsi come in chi rappresentava un loro stato d’animo, una condizione della loro umanità; la loro stessa vita e lotta nella storia».
Per capire la cultura merovingia, continua Leonardi, è fondamentale capire cos’è stato il Sessantotto, l’intellettuale organico gramsciano, lo stallo provocato dal tramonto delle ideologie: «La stessa volontà di cambiare il mondo, di rinnovarlo — quando non sia estinta anche in chi ha conosciuto il coraggio della resistenza al nazismo e i generosi slanci dell’immediato dopoguerra — quella volontà pare oggi senza punto di applicazione. Se è così la cultura storiografica è la prima a dileguarsi: non poter dominare con la ragione il presente e non poter progettare il futuro è solidale con l’impossibilità di interpretare il passato».
Ma la fine della storia si è realizzata solo nel titolo del celebre saggio di Francis Fukuyama datato 1992, e l’“era del razionalismo” non è l’ultima parola sull’uomo. «Se la storia universale ha ancora qualche ascolto nel nostro mondo — risponde idealmente a questa provocazione il medievista Francesco Santi nel volume L’età metaforica. Figure di Dio e letteratura latina medievale da Gregorio Magno a Dante (Spoleto, Fondazione Centro italiano di studi sull’alto medioevo, 2011, pagine 422, euro 45) — se ancora in altri suscita quel piacere che suscita in me, troverò qualche comprensione a dire che questo libro è dedicato alla più recente delle grandi ere che possono essere definite metaforiche e creative nella storia dell’uomo; si occupa dell’ultima grande epoca dotata di un linguaggio autorevole, capace di dire che il visibile non esaurisce il reale e la verità su ciò che è reale non è disponibile a un linguaggio soltanto metonimico, riferito alla funzione delle cose (…) L’interesse attuale per questa era metaforica nasce dal fatto della sua assoluta differenza rispetto all’esperienza che abbiamo immediatamente alle spalle e che fino a oggi ci ha dato la vita, ma anche dal fatto che, dopo sei secoli di modernità, di nuovo segnato dall’esigenza metaforica potrebbe essere il futuro; dopo che si saranno attraversati questi anni nei quali — ancora una volta — i criteri di costituzione della verità sembrano intoccabili e già del tutto conosciuti e solo da svolgere e da applicare, la metafora potrebbe tornare ad avere una diversa funzione nell’accertamento. Una nuova era metaforica potrebbe esserci ancora nel futuro, anche se certo di una metaforica diversa rispetto a quella che gli studi storici possono ricostruire nel passato».

da “L’Osservatore Romano”, 07/02/2012



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