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Per favore, basta menzogne: se l’Italia diventa No-Tav

Creato il 04 marzo 2012 da Tnepd

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No-Tav di tutto il mondo unitevi: mentre in migliaia sfilavano nel centro di Roma dopo l’incredibile “niet” di Mario Monti, che si rifiuta di aprire un dialogo con la valle di Susa, manifestanti mobilitati contro la sordità del potere che vuole imporre la Torino-Lione senza dare spiegazioni hanno trasformato il 3 marzo in una giornata anche internazionale di protesta. Oltre al fash-mob dei valsusini che hanno beffato la sorveglianza e aperto a sorpresa, per mezz’ora, il casello autostradale di Avigliana, abolendo il pedaggio e distribuendo agli automobilisti volantini con scritto “Oggi paga Monti”, i No-Tav italiani hanno manifestato a Perugia, Catania, Imperia, Mantova, Pisa, Pesaro, Sestri Levante e Trieste. Ma anche all’estero: a Parigi, a Dublino e a San Sebastian nei Paesi Baschi, a Londra sotto il consolato italiano, a Ginevra davanti alla sede Onu e persino a Budapest con un presidio musicale vicino all’ambasciata.

Dieci anni dopo il movimento “no global”, drammaticamente soffocato nella repressione prima a Seattle e poi a Genova – con devastazioni a cura dei “black bloc”, sempre impuniti, e violente cariche della polizia sui manifestanti pacifici – il “popolo” No-Tav sembra raccogliere forse non solo idealmente una sfida appena rilanciata a New York dal movimento “Occupy Wall Street”, naufragata in Italia il 15 ottobre scorso nella manifestazione di Roma contro il debito e il “golpe” della finanza, sotto i colpi degli scontri scatenati da una minoranza bellicosa. Il teorema della violenza minaccia anche la battaglia No-Tav, con 26 militanti arrestati dalla Procura di Torino, ma a prevalere nettamente è il carattere popolare di una inedita resistenza civile formato famiglia. Non è la prima volta che una vertenza locale supera i confini territoriali, ma – dopo vent’anni di proteste – ora la piccola valle di Susa, nemmeno centomila abitanti, si sintonizza col resto d’Italia e con l’Europa aggredita dalla crisi e dal “rigore” imposto da Bruxelles, mentre la politica in preda al panico balbetta slogan da museo e manda avanti commissari come Monti, provando anche a trasformarli in spaventapasseri.

L’algido professore della Bocconi, pronto alla repressione più dura, si è appena assunto davanti all’Italia una responsabilità gravissima: rifiutare categoricamente ogni forma di dialogo con una protesta che è partita dalla valle di Susa ma ormai sta dilagando in tutto il paese. «L’isolamento istituzionale, politico e mediatico della protesta No-Tav in val di Susa – alimentato da comportamenti aggressivi stupidi e autolesionisti, figli dell’esasperazione e di un estremismo d’importazione – non promette nulla di buono», scrive Gad Lerner nel suo blog. «Troppo facile riempirsi la bocca di proclami legalitari e limitarsi a constatare che siccome il progetto è già operativo, deve andare avanti». E ancora: «Questo diffuso sbattere i No-Tav dalla parte del torto, punto e basta, non favorisce certo la composizione di un conflitto. Che speriamo nel frattempo non degeneri».

Un altro politico sotto accusa è il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: come Monti, si è finora rifiutato di rispondere alla lettera inviatagli dai migliori tecnici dell’università italiana, che invitano le istituzioni a ripensare la Torino-Lione: suicidio finanziario nazionale e catastrofe ambientale. Un doppio disastro particolarmente assurdo, perché provocato da un progetto nato già vecchio e ormai completamente inutile. I No-Tav aspettano Napolitano a Torino, dov’è atteso il 6 marzo per un convegno del Csm: accetterà di riceverli in delegazione o farà come in Sardegna, dove sono stati addirittura annullati treni per impedire l’arrivo a Cagliari dei disoccupati del Sulcis? Nonostante il lungo silenzio dei grandi media, i cui editori sono vicini alla cordata pro-Tav, la politica istituzionale è ormai sotto assedio: ci sono voluti dieci anni, ma alla fine anche Michele Santoro ha accettato di parlare del caso-Tav, e il 2 marzo a “Servizio pubblico” Marco Travaglio ha impiegato 13 minuti per demolire qualsiasi presunta motivazione a favore della Torino-Lione. Pierluigi Bersani, presente in studio, non ha saputo rispondere a nessuna domanda: uno choc, per i milioni di italiani del “popolo delle primarie”.

Se la “casta” al potere non sa dare spiegazioni e quindi si limita a tentare di criminalizzare la protesta, suscitando ulteriore indignazione, suona la carica uno dei grandi sostenitori della valle di Susa, il prete ribelle don Andrea Gallo, l’amico fraterno di Fabrizio De André: «Io sto con chi protesta contro la Tav, sto con i “partigianì della valle” che hanno scelto la democrazia e la difesa della salute contro affari e cricche», ribadisce, sulle pagine del “Manifesto”, schierandosi dalla parte delle persone che «lottano per la verità contro un’opera inutile, pericolosa e disastrosa». E aggiunge: «Nelle catacombe del convento dei frati di Susa c’era la sede del comitato di Liberazione nazionale: questa è una vera e propria resistenza per il futuro dell’ambiente e della democrazia». Cresce la rabbia? Naturale, se i cittadini non ottengono risposte: «Perché il governo non ascolta i veri comitati della val di Susa? Come si fa a non sentire la voce del popolo e poi andare a Bruxelles a difendere questa cattedrale inutile dell’alta velocità? Monti e i suoi ministri dovevano fare il punto con la popolazione e gli esperti, e invece non hanno ascoltato nessuno. Il grido al governo è forte: fate una tregua, e ascoltate i comitati».

«Signor Bersani, noi non siamo le Brigate Rosse», dice il portavoce No-Tav Alberto Perino al segretario del Pd: «Voi che siete politici di mestiere dovreste saperlo: se c’è un disagio sociale, è doveroso ascoltarlo». Lo stesso Travaglio, in un passaggio della memorabile orazione civile No-Tav a “Servizio pubblico”, ricorda: «Il movimento operaio in Italia è nato proprio coi blocchi stradali e l’occupazione delle terre». Imbarazzante? Evidentemente sì, se neppure un sacerdote prestigioso come don Luigi Ciotti, primo firmatario di un accorato appello a Monti, ha ottenuto uno straccio di risposta. Bersani, Alfano, Napolitano e Monti: tra loro e i valsusini ci sono soltanto duemila poliziotti, nessun canale di dialogo. Fino a quando? Nichi Vendola e Antonio Di Pietro hanno ora aperto una crepa nel muro blindato della Torino-Lione: rompendo l’unità del centrosinistra, si sono decisi a dire che non è possibile imporre un’opera simile senza dare spiegazioni. E’ con loro anche Michele Emiliano, sindaco di Bari ed esponente di spicco del Pd, così come il sindaco napoletano Luigi De Magistris, dell’Idv.

Se finalmente qualcuno si ribella all’unanimismo omertoso dell’ex Ulivo, allineandosi con la richiesta di ragionevolezza avanzata da Beppe Grillo e Paolo Ferrero, dalla Fiom e dai Cobas, anche nel centrodestra il sismografo rileva qualche dissenso: il primo a parlare è l’“eretico” Fabio Granata, parlamentare finiano: «Dopo il Ponte sullo Stretto, per fortuna definitivamente archiviato, la Tav è il nuovo dogma italiano: non può essere messo in discussione, nonostante risulti oggettiva la sua inutilità e del tutto fuori dalla realtà la spesa che lo Stato dovrà sostenere». Ferma restando la condanna verso metodi violenti di protesta, aggiunge Granata nel suo blog, «la risposta di Monti è apparsa, al di là dei soliti toni distaccati e sobri, come una provocazione e una minaccia. Infatti, se si apre un dialogo, si deve voler approfondire le questioni e, appunto, metterle in discussione: Monti invece ha già deciso e finge di voler dialogare ma solo per lanciare avvertimenti ai manifestanti».

«Sarò certamente espressione di una minoranza, anche nel mio partito – aggiunge Granata – ma questa maggioranza trasversale e conformista che parla per slogan e che non vuole discutere il dogma delle magnifiche sorti e progressive della Tav non è degna della tradizione italiana di dialogo per il bene comune. Per quanto mi riguarda, piena solidarietà agli irriducibili cittadini della val di Susa che difendono territorio, paesaggio, qualità della vita e dignità». Parole consonanti con quelle di Ugo Mattei, paladino della val Susa e leader del movimento dei referendum per i beni comuni, imposto nel giugno scorso ai grandi partiti riluttanti, sempre più spaventati dalla volontà popolare: trincerati nei loro palazzi, al riparo dei ministri “tecnici” imposti alla nazione, scoprono dai sondaggi che ormai solo un italiano su due andrebbe ancora a votarli. «Caro Monti – dice Alberto Perino – il tuo è il peggior governo della storia della Repubblica». Volevano spegnere i No-Tav, come fossero un branco di violenti? Gli è andata male: nonostante i media, gli italiani hanno capito. Il paese è stanco di disinformazione e ha diritto a una nuova politica, dignitosa e trasparente, di cui la valle di Susa sta scrivendo, per tutti, un capitolo sempre più importante.


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