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Per il creatore di Private Eye, la VR è un viaggio creativo

Creato il 09 ottobre 2014 da Oculusriftitalia

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Abbiamo già parlato più volte di Private Eye. Si tratta di uno dei casi più interessanti di esperienza costruita intorno a Oculus Rift e la realtà virtuale, descritta dalle parole dello sviluppatore come “un thriller cinematografico e psicologico, dove il voyeurismo incontra il mistero, sullo sfondo di una New York del 1950″. Intrigati da questa premessa, abbiamo deciso di contattare il direttore creativo del progetto, Jake Slack, che ha risposto a tutti i nostri dubbi e ci ha raccontato l’esperienza di sviluppare in VR.

Come vi è venuta l’idea di Private Eye?
L’idea si è evoluta in maniera piuttosto organica. Il concept originale di costruire un intero gioco sullo spiare le persone attraverso le finestre è stato chiaramente ispirato dal film La finestra sul cortile, ma anche dai suoi eredi spirituali come Omicidio a luci rosse di Brian De Palma, Le verità nascoste, Disturbia, etc. È un’idea che funziona così bene in un film, e abbiamo pensato che anche la transizione a videogioco avrebbe potuto funzionare bene. Inizialmente avevo pianificato di creare un gioco mobile/tablet, ma quando è arrivata la rivoluzione VR è stata una conseguenza naturale sviluppare per questo medium. La successiva espansione delle meccaniche di gioco, la lotta interiore del protagonista e l’esplorazione delle sue memorie mi è venuta in mente dopo una profonda riflessione mentre facevo il bagno, è stato il mio personale momento “Eureka”.

Puoi descrivere che tipo di sensazione avvertiranno gli utenti giocando a Private Eye?
Spero che possiamo evocare un senso di presenza nel giocatore. Abbiamo fatto uno sforzo considerevole, in termini visivi, di design e di controlli, con lo scopo di accentuare la sensazione di presenza. Il corpo del giocatore è quasi sempre visibile, se vi sporgete in avanti o vi muovete anche il vostro corpo si muoverà di conseguenza. Le ambientazioni che abbiamo usato provengono dal mondo reale e sono familiari, tutti conoscono la sensazione di sedersi a una scrivania o essere il passeggero di una macchina che corre su strada di notte. Lo schema di controllo è molto fisico e dà una forte sensazione tattile, permettendo al giocatore di sentirsi in connessione e di provare attraverso il controller quello che fa il personaggio. Ci siamo anche sforzati parecchio a minimizzare le meccaniche di gioco base: per esempio, se ispezionate un oggetto non fluttuerà magicamente di fronte a voi, ma il giocatore si avvicinerà a esso, lo afferrerà e lo terrà fisicamente.

Com’è stato influenzato il vostro processo creativo da Oculus Rift?
Penso che in parte ho già risposto nella domanda precedente. Tutto sta nell’offrire il senso di presenza, ma a parte questo volevamo creare un gioco d’esplorazione che non si concentrasse sul muoversi intorno a un ambiente, dal momento che pensiamo che questo sia un qualcosa che rompe il senso di immersione. Sapevamo che non potevamo creare un intero titolo incentrato su un’unica posizione statica, e quindi per questo ci è venuta l’idea di viaggiare nella mente del personaggio. Questo permette al giocatore di sbloccare lentamente le sue memorie, accompagnando di pari passo il protagonista mentre scopre la sua storia. Con la VR in prima persona si avverte una sensazione più forte di immedesimarsi in un personaggio rispetto al gaming tradizionale, ma introduce un problema, ossia che non conoscete niente su di voi, quindi ha senso che anche il personaggio sia all’0scuro di tutto. Dovete imparare insieme.

Quali tecniche avete usato per creare un senso di immersione nell’utente?
Una delle decisioni più profonde e consapevoli che abbiamo fatto è quella di modellare la situazione personaggio su quella del giocatore: siete entrambi limitati, nel senso che non potete alzarvi e muovervi. Questa transizione fisica dal personaggio al giocatore permette di aumentare il senso di immersione. Come già detto, ci siamo assicurati che il corpo del personaggio si muova con il giocatore, e che non si abbia quell’effetto di “incorporeità” che si avverte in parecchi titoli dove si possiede un corpo ma questo rimane statico. Anche se adesso non è ancora implementato, aggiungeremo presto un intero sistema audio binaurale, che aggiungerà immersione dal punto di vista del sonoro. Penso che stiamo messi bene per quanto riguarda suono, vista e tatto: ora manca solo la smell-o-vision per aggiungere gli odori!

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Come sviluppatore, quali sono le cose che puoi fare in realtà virtuale che altrimenti non potresti fare?
Penso che incoraggi a pensare creativamente, oltre a dare la libertà di prendersi un po’ di rischi e provare cose nuove. Il sistema di controllo in Private Eye, per esempio, è qualcosa che non funzionerebbe mai con i giochi tradizionali, sarebbe troppo intricato e macchinoso. Al contrario, in VR è del tutto intuitivo (una volta che vi abituate!). È qualcosa che non avrei rischiato in un gioco normale: tutti conosciamo la maniera standard per controllare un punta e clicca e, anche se trovassimo un nuovo e interessante schema di controller, i giocatori hanno delle aspettative e se queste vengono disattese si sentono subito frustrati. Quello in VR è un viaggio creativo, dove le regole non sono state ancora scritte, quindi penso che i giocatori saranno più aperti e inclini a provare cose nuove.

E, al contrario, quali sono gli ostacoli e le sfide che derivano dalla realtà virtuale?
Purtroppo mi tocca citare l’infausta motion sickness: può davvero trasformare un’esperienza meravigliosa e bellissima in qualcosa da cui volete uscire immediatamente. Può essere la barriera che fa la differenza tra abbracciare completamente la VR o denunciarla senza pietà. Penso che Oculus stia facendo davvero un fantastico lavoro, e che faranno tutto per minimizzare questo effetto; starà a noi sviluppatori creare giochi intelligenti da questo punto di vista. Abbiamo visto con titoli come Radial-G che anche giochi iperveloci e frenetici, che potrebbero indurre la motion sickness, possono essere ideati e costruiti in modo tale da minimizzare quest’effetto.

Quali giochi pensate che siano più adatti per Oculus Rift?
Pensiamo che le esperienze guidate dalla narrazione, con un feeling cinematografico, saranno quelle più efficaci. Penso che ogni titolo che può davvero raggiungere il senso di presenza, sia attraverso la connessione al proprio avatar che attraverso un’ambientazione meravigliosa, può avere successo, a prescindere dal genere. Penso che questo debba essere il punto di partenza per la maggior parte dei giochi.

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Pensi che i giochi in VR diventeranno popolari come i giochi tradizionali in futuro?
Penso che il livello di assorbimento da parte del pubblico sarà alto, e penso che vedremo dei giochi genuinamente fantastici che avranno la qualità e la longevità per essere alla pari con quelli tradizionali. Questa sarà la differenza tra la VR e gli altri “grandi fenomeni”, come il Kinect, il Wii e il 3D, che alla fine non sono riusciti a compiere il loro dovere fino in fondo.

Qual è il tuo progetto dei sogni per Oculus Rift?
Penso che l’interazione con i personaggi in particolare potrebbe essere estremamente interessante, è qualcosa che mi piacerebbe esplorare in futuro. Penso che un progetto con l’attenzione al dettaglio nei personaggi come Heavy Rain e L.A. Noire, combinato con la sempre sorprendente direzione narrativa dei giochi Telltale, sarebbe grandioso. Penso che sarebbe fantastico un progetto che riesca a evocare un senso assoluto di presenza e a suscitare l’empatia nei personaggi virtuali, combinato con un sistema di narrazione procedurale non lineare generato dalle vostre scelte e personalità.

Quale futuro vedi per la realtà virtuale? Pensi che sia qualcosa che può cambiare la vita delle persone? Se sì, come?
Spero che sarà presa più come uno strumento di intrattenimento, come le console o la televisione, e come qualcosa su cui le persone spenderanno solo una piccola quantità del loro tempo libero. Con questo non voglio dire che le esperienze non possono cambiare il modo in cui vivete: i film, la musica, l’arte hanno tutti l’abilità di cambiare il modo in cui una persona osserva il mondo e non vedo perché un’esperienza in realtà virtuale non potrebbe fare lo stesso. Non mi piacerebbe comunque vedere la VR rimpiazzare esperienze che le persone svolgono tradizionalmente in compagnia l’uno dell’altro, come l’apprendimento, la TV, le attività all’aperto, le interazioni sociali, etc.

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