articolo tratto da "Il Lavoro" del 1952
La proposta da me annunciata al recente Congresso dei Sindacati chimici - diprecisare in uno Statuto i diritti democratici dei lavoratori all’interno delleaziende - ha suscitato un enorme interesse fra le masse lavoratrici d’ognicategoria. Il Congresso della Camera del Lavoro di Mantova, per esempio, hachiesto che lo Statuto stesso venga esteso anche alle aziende agricole. E qui è bene precisare che la nostra proposta, quantunque miri sopratutto arisolvere la situazione intollerabile che si è determinata nella maggior partedelle fabbriche, si riferisce, naturalmente, a tutti i settori di lavoro, senzanessuna eccezione.
Le prime reazioni padronali alla nostra proposta sembrano, invece, per lomeno incomprensibili. "Il Globo", infatti - giornale notoriamente ispiratodagli ambienti industriali - pretende che io, avanzando la proposta delloStatuto, avrei dimenticato "troppe cose". Che cosa? Ecco: "che gli stabilimentinon sono proprietà pubblica, ma ambienti privati di lavoro nei qualil’attività di tutti, dirigenti e imprenditori compresi, è vincolata ecoordinata al fine produttivo da raggiungere"; che esistono i contratti dilavoro, "nei quali sono previsti i doveri e i diritti dei lavoratorinell’ambito del rapporto contrattuale"; che esistono le Commissioni interne,ecc. ecc. E' giusto. Tutte le cose che ricorda "Il Globo" esistono; e nessunolo ignora.
Il giornale degli industriali, però, dimentica un’altra cosa, che pureesiste: è la Costituzione della Repubblica, la quale garantisce a tutti icittadini, lavoratori compresi, una serie di diritti che nessun padrone ha ilpotere di sopprimere o di sospendere, nei confronti di lavoratori. Non c’è enon ci può essere nessuna legge la quale stabilisca che i diritti democraticigarantiti dalla Costituzione siano validi per i lavoratori soltanto fuoridall’azienda. E' vero che le fabbriche sono di proprietà privata (non è quiil caso di discutere questo concetto), ma non per questo i lavoratori divengonoanch’essi proprietà privata del padrone all’interno dell’azienda. Illavoratore, anche sul luogo del lavoro, non diventa una cosa, una macchinaacquistata o affittata dal padrone, e di cui questo possa disporre a propriocompiacimento.
Anche sul luogo del lavoro, l’operaio conserva intatta la sua dignitàumana, con tutti i diritti acquisiti dai cittadini della Repubblica italiana.Se i datori di lavoro avessero tenuto nel dovuto conto questa realtà, chiara eirrevocabile - e agissero in conseguenza - la necessità della mia proposta nonsarebbe sorta; non avrebbe dovuto sorgere.
Il fatto è, invece, che numerosi padroni si comportano nei confronti deipropri dipendenti come se la Costituzione non esistesse. Si direbbe che la parte piùretriva e reazionaria del padronato (la quale non ha mai approvato la Costituzione, ma l’hasubita, a suo tempo, solo per timore del "peggio"), mentre trama persopprimerla, l’abolisce, intanto, all’interno delle aziende.
L’opinione pubblica ignora, forse, che in numerose fabbriche s’è istauratoun regime d’intimidazione e di terrore di tipo fascista che umilia e offende ilavoratori. I padroni e i loro agenti sono giunti al punto d’impedire ailavoratori di leggere il giornale di propria scelta e di esprimere una propriaopinione ai compagni di lavoro, nelle ore di riposo, sotto pena dilicenziamento in tronco. Si è giunti ad impedire ai collettori sindacali diraccogliere i contributi o distribuire le tessere sindacali, durante il pasto oprima e dopo l’orario di lavoro.
Se durante la sospensione del lavoro, l’operaio legge un giornale nongradito al padrone, o l’offre a un collega, rischia di essere licenziato. Si èosato licenziare in tronco un membro di Commissione Interna perché durante lacolazione aveva fatto una comunicazione alle maestranze. Si pretende persinoche la Commissione Interna sottoponga alla censura preventiva del padrone iltesto delle comunicazioni da fare ai lavoratori. Peggio ancora: si è giuntiall’infamia di perquisire gli operai all’entrata della fabbrica, perassicurarsi che non portino giornali o altri stampati invisi al padrone.
Tutto questo è intollerabile. E tutto questo non è fatto a caso, né persemplice cattiveria. Tutto questo è fatto per calcolo; è fatto per affermaree ribadire a ogni istante, in ogni modo, l’assolutismo padronale onde piegareil lavoratore a uno sforzo sempre più intenso, a un ritmo di lavoro semprepiù infernale, alla fatica più massacrante, sotto la minaccia costante dellicenziamento. E tutti sono in grado di misurare la gravità di questaminaccia, in un Paese di disoccupazione vasta e pertinente come il nostro.
E' un fatto che l’instaurazione di questo assolutismo padronale nellefabbriche è accompagnata da un aumento crescente del ritmo del lavoro. Ilsupersfruttamento dei lavoratori è giunto a un tale punto da determinare unaumento impressionante degli infortuni sul lavoro (anche mortali) e dellemalattie professionali, come abbiamo ripetutamente documentato. Soltanto nelleaziende della Montecatini abbiamo avuto 35 morti per infortuni in un anno!Questa situazione non è tollerabile. Bisogna ripristinare i dirittidemocratici dei lavoratori all’interno delle aziende e porre un limite a questeforme micidiali di supersfruttamento.
Intendiamoci bene: noi non siamo contro la necessaria disciplina in ognilavoro; ma deve trattarsi della disciplina normale, umana. Non contestiamoaffatto che il lavoratore, durante le ore di lavoro, abbia lo stretto dovere diadempiere al suo compito professionale. E noi sappiamo bene che la generalitàdei lavoratori concepisce l’adempimento scrupoloso del proprio dovere comeprimo fondamento della propria dignità professionale.
Ma fuori delle ore di lavoro durante il pasto, prima dell’inizio del lavoroe dopo la cessazione, i lavoratori sono, anche all’interno dell’azienda, libericittadini, in possesso di tutti i diritti garantiti agli altri cittadini, percui hanno l’incontestabile diritto di parlare, di esprimere liberamente le loroopinioni, di distribuire le tessere della propria organizzazione, di collettarei contributi sindacali, ecc. ecc., così come hanno il diritto di farlo fuoridella fabbrica. Il "vincolo contrattuale" con l’azienda - di cui parla "IlGlobo" - è un vincolo di lavoro, non di coscienza. Ottenuto il lavoro dovutodall’operaio, il padrone non deve pretendere null’altro.
Naturalmente, le minacce e gli abusi di cui sono vittime quotidianamentenumerosi lavoratori, danno spesso luogo a proteste collettive, ad agitazioni, ascioperi. Se si continuasse ad andare avanti nel senso deplorato, questeagitazioni sarebbero destinate a moltiplicarsi e a generalizzarsi, dato che lasituazione è giunta al punto estremo della sopportabilità. Dalle fabbriche eda altri luoghi di lavoro si leva una protesta unanime, accorata, come sorgenteda un bisognodi respirare, di sentirsi liberi, anche all’interno delle aziende.
La nostra proposta tende a risolvere la questione in modo pacifico enormale, mediante l’adozione d’uno Statuto che, ribadendo i dirittiimprescrittibili dei lavoratori, non dia luogo né agli abusi lamentati, néalle agitazioni che ne conseguono. E poiché si tratta d’un interesse vitale egenerale di tutti i lavoratori, senza distinzioni di correnti, riteniamoperfettamente possibile un accordo con le altre organizzazioni sindacali, sianella formulazione dello Statuto che propugniamo, sia nell’azione da svolgereper ottenerne l’adozione.