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Percezioni artificiali

Creato il 17 aprile 2011 da Gifh

Percezioni artificialiLa percezione della realtà come tutti la conosciamo, passa attraverso i cinque sensi tradizionali, quelli che nella letteratura Buddista venivano identificati come le “cinque facoltà materiali” (pañcannaṃ indriyānaṃ avakanti) e apparivano in una rappresentazione allegorica già nel Katha Upanishad (approssimativamente nel VI secolo p.e.v.), con cinque cavalli alla testa di un  ”carro” (il corpo) guidato dall’auriga, l’incarnazione iconica della mente.

Un’immagine atavica si forma immediatamente nei nostri pensieri, i cinque cavalli scalpitanti come formidabili interfacce multisensoriali per il mondo circostante, consentono al carro di procedere in sicurezza nel suo percorso grazie all’abile supervisione del conduttore, in parallelo nella nostra realtà compongono uno straordinario laboratorio fisico-chimico dotato di strumenti sofisticati, pronti all’uso e privi di libretto di istruzioni, ma che tutti riusciamo facilmente a sfruttare per archiviare le nostre esperienze percettive, migliorando giorno per giorno la sicurezza delle nostre azioni.

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Considerato che ogni tipo di percezione, al limite del riduzionismo, può essere sintetizzata come uno specifico fenomeno fisico o chimico che viene rilevato da un sensore dedicato e predisposto per riferire le misure effettuate, non appena il progresso scientifico ne ha concesso la possibilità, l’impegno nella ricerca per la risoluzione di infiniti dettagli tecnici per sviluppare la tecnologia sensoria non è mai venuto meno, alimentando i due settori principali in cui si applica: sostituti e surrogati dei sistemi percettivi di cui gli esseri viventi sono dotati.

Ed è così che schiere di scienziati e tecnici specializzati nelle più svariate discipline in fruttuose ed armoniose collaborazioni sono riusciti a replicare artificialmente tutti e cinque i sensi, e forse anche qualcuno in più, seguendo un percorso tanto arduo quanto decisamente … stimolante!


Udito artificiale

La scoperta che la stimolazione elettrica del sistema uditivo poteva generare una percezione del suono risale alla fine del 1700, quando un coraggioso Alessandro Volta applicò nelle proprie orecchie due elettrodi metallici collegandoli ad un circuito da 50 volt, ricavando così una bella scossa che tuttavia gli fece udire un rumore descritto come “una densa zuppa che bolle”. Da allora, passando per numerose versioni di microfoni sempre più sofisticati, la tecnologia attuale promette impianti cocleari semi-permanenti in grado di distinguere i rumori provenienti dall’esterno da quelli interni, come la masticazione o il battito cardiaco.

Alcuni fra i problemi tecnici che sono stati affrontati comprendono la natura dei materiali utilizzati. Graeme Clark e il suo team inizialmente utilizzarono elettrodi di platino rivestito in teflon, per l’elevata resistenza ai fluidi corporei e la bassa tossicità. La schiera di elettrodi trova alloggio in una struttura che avrebbe potuto essere composta da resine epossidiche, come per i pacemaker, tuttavia i ricercatori hanno ritenuto che una struttura metallica sarebbe stata più leggera, mantenendo le caratteristiche di biocompatibilità, indirizzando la scelta verso componenti a base di titanio purissimo, attualmente sostituite da composti a base di gomma siliconica, di manifattura molto più pratica e ben tollerata dall’organismo.

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Le connessioni elettriche d’altra parte necessitano di un isolamento pressoché perfetto, e una soluzione ideale era rappresentata da ossidi ceramici di alluminio, con particolari proprietà donate dal processo di sintesi ad altissime temperature. [1]

Sebbene in questo campo non siano state raggiunte le aspettative che prometteva il popolare serial degli anni ’70, la donna bionica, con il suo sensibilissimo orecchio bionico, i risultati ottenuti fino ad oggi sono molto soddisfacenti, con circa 200.000 persone che in tutto il mondo possiedono un impianto cocleare per rimediare a diverse tipologie di sordità non congenite.

Gusto e olfatto elettronici

Stimoli di natura prettamente chimici come l’odore, il sapore e la loro intima combinazione, l’aroma, vengono percepiti tramite un complicato sistema di chemiosensori che trasducono i segnali in potenziale d’azione neuronale e si distinguono in due classi principali, a percezione a distanza (olfatto e organo di Jacobson) e diretta (gusto, corpi aortici e carotidei).

Ben lungi dal disporre di questo tipo di organi bionici, la cui migliore speranza sembra provenire dalle future applicazioni con cellule staminali e terapie geniche, la ricerca su nasi e lingue elettronici negli ultimi venti anni ha ricevuto un’attenzione considerevole. Infatti le applicazioni dell e-nose, hanno beneficiato della progettazione di nuovi tipi di sensori, miglioramenti dei materiali, innovazioni software e progressi nella progettazione di microcircuiti e integrazione dei sistemi. Questi dispositivi trovano impiego in una gran varietà di settori industriali come in quello biomedico, in agricoltura, cosmesi, ambientale, alimentare, manifatturiero, militare, farmaceutico e in molti campi della ricerca scientifica.

I primi studi sulla rilevazione degli aromi risalgono al 1920, quando Zwaardemaker e Hogewind si concentrarono sulla misura elettrica di uno spray acquoso, scoprendo che l’aggiunta di sostanze volatili consentiva “la rilevazione di piccole quantità di composti aromatici con un mezzo diverso dall’olfatto” . Ma il primo vero sensore per la rilevazione di un aroma fu sviluppato da Hartman nel 1954 con un microelettrodo, un semplice filo di platino dal diametro di 0,8 mm, che misurava il flusso di corrente tramite un millivoltmetro molto sensibile. Hartman fu anche il primo a proporre l’idea di un sistema funzionante con elementi sensibili aventi diversi rivestimenti che sarebbero stati in grado di fornire risposte differenziate per vari composti, in modo da discriminare anche aromi semplici e complessi.

Il termine naso elettronico fu coniato da Gardner e Barlett nel 1988, che in seguito lo definirono come uno strumento che comprende una schiera di sensori elettrochimici con specificità parziali e un sistema adeguato di riconoscimento schematico, in grado di riconoscere odori semplici e complessi.

I principi sui quali si basano questi sensori elettrochimici implicano interazioni tra le molecole gassose e i materiali che compongono i rivestimenti, generando una modulazione del segnale che tramite un trasduttore viene convertito in un dato interpretabile. Esistono numerosi tipi di sensori elettrochimici (sensori di gas metallo-ossido,  transistor a effetto di campo, sensori a polimeri conduttivi, sensori a onde acustiche, cristalli di quarzo, pellistori, fibre ottiche, ecc) e molti tipi differenti di materiali per il rivestimento dei sensori che sono classificati a seconda del drogaggio,  della natura delle interazioni chimiche e della loro reversibilità o dalla temperatura di esercizio. Nella tabella seguente sono evidenziati i principali tipi di sensori olfattivi elettronici e i loro meccanismi. [2]

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imagecredit: DOI 10.3390/s90705099

Il gusto, essendo una percezione diretta necessita di un contatto, generalmente in un mezzo acquoso, tuttavia il principio sul quale si basa la lingua elettronica essenzialmente è molto simile all’olfatto artificiale, e anche in questo caso sensori elettrochimici si occupano di rilevare i sapori tramite metodi potenziometrici, voltammetrici, ottici oppure misurando le variazioni di massa tramite cristalli di quarzo.

Nall’ambito dell’apprezzamento del cibo, la nostra percezione si basa principalmente sull’interazione del gusto e olfatto, ma anche di vista, tatto e udito. La prima impressione è fornita dall’aspetto estetico, quindi dal peso e dalla sensazione tattile della superficie del commestibile. Solo in seguito si procede alla percezione dell’odore, temperatura, rumore durante la masticazione, proprietà di fusione, resistenza e consistenza, ecc. prima di arrivare al gusto vero e proprio il gusto di base, ovvero la percezione sinergica dei cinque gusti fondamentali:

amaroasprodolcesalato e umami

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Al fine di riprodurre il senso del gusto nella sua completezza, si rendono quindi necessari approcci che tengono conto di tutti i vari contributi sensoriali, ipotizzando algoritmi di riconoscimento con elevati livelli di astrazione, in modo da combinare i diversi stimoli sensoriali percepiti. Sistemi di questa complessità, in grado di gestire una moltitudine di segnali provenienti da altrettante schiere di sensori artificiali muovono i loro primi passi grazie alle numerose applicazioni che richiedono un interessato sviluppo per un dispositivo robotico munito di una testa di sensori biomimetici in grado di distinguere e caratterizzare obiettivamente un prodotto. [3]

Tatto elettronico e pelle sintetica

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Imagecredit: iStockphoto

Gli scienziati hanno a lungo cercato di costruire un sistema sensorio che rendesse i dispositivi robotici capaci di regolare la quantità di forza necessaria per manipolare  un oggetto con precisione e soprattutto senza romperlo. Il senso del tatto infatti, nonostante la sua apparente semplicità, è uno strumento molto complesso che sfrutta almeno cinque tipi di recettori diversi per altrettante sensazioni: freddo, caldo, uniformità della superficie, variazioni di pressione  e dolore tutti collegati alle rispettive terminazioni nervose. La nostra pelle è dotata di centinaia di recettori tattili per ogni centimetro quadrato, raggiungendo la massima densità in corrispondenza del palmo della mano.

Su Nature Material qualche mese fa sono stati pubblicati i risultati di una ricerca che dimostra l’efficacia di una matrice di sensori flessibili a bassa tensione basati su nanotubi ultrasottili ricavati da una lega di germanio e silicio. Questo materiale viene quindi applicato sulla parte esterna di un tamburo cilindrico, che imitando un sistema di stampa offset viene depositato su una pellicola adesiva, ottenendo un’elevata riproducibilità per un modello uniforme.

Percezioni artificiali

doi: 10.1038/nmat2834

I fogli di questo film semiconduttore sono stati poi rivestiti con uno strato di gomma sensibile alla pressione, rendendo il materiale capace di rilevare e gestire una vasta gamma di forze, dalla digitazione su una tastiera alla sensibilità necessaria per prendere un oggetto. [4]

Un secondo team guidato da Zhenan Bao ha utilizzato un diverso approccio, producendo un materiale talmente sensibile da rilevare il peso di una farfalla. Tale materiale consiste in uno strato di gomma molto elastica ricoperto da una griglia di elettrodi a forma di minuscole piramidi. Nello strato di gomma rimangono racchiuse anche piccole sacche di aria che garantiscono un “rimbalzo” che fa tornare il dispositivo nel suo stato originario e la differenza di spessore può venire agilmente misurata per fornire informazioni sulle sollecitazioni meccaniche subite. La speranza dei ricercatori è rivolta al futuro ripristino delle funzioni tattili nelle persone in possesso di mani o arti protesici, ma sono ancora necessari ulteriori approfondimenti per comprendere come integrare il sistema di sensori con il nostro sistema nervoso. [5]

Vista digitale

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L’abilità di restituire la vista tramite un occhio bionico dipende dalle circostanze che hanno accompagnato la perdita e dalla degradazione del nervo ottico. Le protesi retiniche attualmente sono le soluzioni più sviluppate, forse anche le più promettenti, tuttavia almeno fino a qualche tempo fa sembrava quasi impossibile riprodurre fedelmente la perfezione e la complessità di un organo come l’occhio.

Di recente una squadra di oftalmologi tedeschi diretti da Eberhart Zrenner, sono riusciti a ripristinare parzialmente la vista di un paziente utilizzando un dispositivo elettronico subretinico in sostituzione della retina danneggiata. I risultati sono pubblicati dalla Royal Society in un documento a consultazione libera.

L’impianto consiste in un piccolo pannello dalle dimensioni di 3 x 3,1 mm, contenente una matrice di 1520 microfotodiodi (38 x 40) sensibili alla luce. Questi sensori rilevano la luce, e controllano il segnale sotto forma di una corrente di impulsi elettrici. Maggiore è l’intensità della luce, più forte è la corrente risultante. Ad ogni sensore corrisponde un microelettrodo, che una volta messo in contatto con le cellule nervose della retina, le cellule bipolari, completa il primo passo sulla via che dall’occhio va verso il cervello, imitando il modo in cui le cellule visive proprie dell’occhio espletano normalmente le loro funzioni, trasformando la luce in uno schema definito di impulsi elettrici. [6]

Altri ricercatori sono riusciti a ottenere risultati interessanti con un impianto di tipo epiretinico, un approccio che consiste nell’applicazione di una telecamera esterna che trasmette le informazioni a un sistema digitale posizionato sulla retina, come le protesi Argus di Second Sight. Inoltre fra gli altri progetti in corso,  cito l’impianto retinico Harvard/MIT, uno dei primi intrapresi, la retina artificiale in silicio, la protesi retinale optoelettronica, l’occhio di Dobelle, la protesi visuale intracorticale, il Virtual Retinal Display e l’impianto visivo corticale del Dr. Mohamad Sawan.

Tuttavia queste tecnologie risentono ancora di molti limiti, i colori non vengono acquisiti e il livello di dettaglio è ancora molto basso. La risoluzione di 38 x 40 pixel è ancora lontana da una visione normale, inoltre spesso l’alimentazione viene fornita dall’esterno, con la conseguenza di uno spiacevole cavetto che fuoriesce da un lato della testa.

Forse la chiave risolutiva verrà trovata solo quando si consolideranno questi sforzi con approcci biomimetici e verranno coniugati con le innovative terapie geniche piuttosto che tecniche di stimolazione profonda del cervello, ma anche con lo sviluppo di interfacce cervello-computer via via più evolute, che renderanno il confine tra macchina e sistema nervoso sempre più labile.

Concludo con un interessante slideshow curato da Luca Ascari, che ben riassume le frontiere della percezione artificiale al servizio dell’uomo, e mi auguro che sia di vostro gradimento.

Fonti:

[1] Cochlea implant: research and development process – Powerhouse museum

[2] Wilson, A., & Baietto, M. (2009). Applications and Advances in Electronic-Nose Technologies Sensors, 9 (7), 5099-5148 DOI: 10.3390/s90705099

[3] Winquist, F., Krantz-Rülcker, C., & Lundström, I. (2002). Electronic Tongues and Combinations of Artificial Senses Sensors Update, 11 (1), 279-306 DOI: 10.1002/seup.200211107

[4] Takei, K., Takahashi, T., Ho, J., Ko, H., Gillies, A., Leu, P., Fearing, R., & Javey, A. (2010). Nanowire active-matrix circuitry for low-voltage macroscale artificial skin Nature Materials, 9 (10), 821-826 DOI: 10.1038/nmat2835

[5] Boland, J. (2010). Flexible electronics: Within touch of artificial skin Nature Materials, 9 (10), 790-792 DOI: 10.1038/nmat2861

[6]Zrenner, E., Bartz-Schmidt, K., Benav, H., Besch, D., Bruckmann, A., Gabel, V., Gekeler, F., Greppmaier, U., Harscher, A., Kibbel, S., Koch, J., Kusnyerik, A., Peters, T., Stingl, K., Sachs, H., Stett, A., Szurman, P., Wilhelm, B., & Wilke, R. (2010). Subretinal electronic chips allow blind patients to read letters and combine them to words Proceedings of the Royal Society B: Biological Sciences, 278 (1711), 1489-1497 DOI: 10.1098/rspb.2010.1747

Altre fonti:

Electronic Tongue: A Review

Wikipedia: Sense

Wikipedia: Visual prosthesis


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