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"Perché andiamo a frugare nell'Universo quando non conosciamo niente di noi stessi?"

Creato il 02 giugno 2011 da Samuelesestieri

Rivedendo "Solaris" di Andrej Tarkovskij nella versione originale e non in quella mutilata vergognosamente dall'Italia rimango di nuovo estasiato e inquietato dalla sequenza più potente frastornante e aliena del film. La galleria - passaggio ideale terra/Solaris o, forse, Solaris/Solaris. Una partenza tra passato e presente, cinema puro scandito da suoni impuri, migliaia di fotogrammi atemporali in quieta fibrillazione. In questa memorabile sequenza la scultura del tempo di Tarkovskij incontra il post-moderno e la futura alienazione di Godfrey Reggio: Kelvin è in procinto di partire, qualcuno è già partito prima di lui. E' un viaggio nel passato che ritorna al futuro, è il colore che irrompe e squarcia il bianconero. E' il rosso accecante e disturbante dei fari delle automobili ammucchiate nella loro corsa inevitabile (inutile?) contro il tempo.
Quale tempo? Quello interno all'inquadratura, che la fa respirare e vivere di una scansione temporale propria. Tarkovskij riinventa il tempo e plasma lo spazio.
Quale spazio? Lo spazio della galleria o lo Spazio dove viene spedito Kelvin?
Il magma pensante della solaristica esiste già qui, a pochi decine minuti dall'inizio del film. I mostri del passato - immagini mentali divenute fisiche - trovano la loro partenza ideale in questi (non)luoghi di passaggio.
Al viaggio nello Spazio dell'uomo risponde il viaggio nell'uomo.
"Perché andiamo a frugare nell'Universo quando non conosciamo niente di noi stessi?"
Magma pensante, cervello oceanico, creazione in Solaris. Il Tempo non ha più importanza. E lo Spazio siamo noi.

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