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Perché gli “indignati”, perché i black bloc

Creato il 20 ottobre 2011 da Dailyblog.it @daily_blog

Di Gianni Pardo il 20 ottobre | ore 09 : 22 AM


La manifestazione di Roma, con le sue assurde violenze, ha forse una spiegazione. Tanto i manifestanti pacifici quanto i black bloc, se pure gli uni con metodi civili e gli altri con metodi barbarici, protestavano per la società com’è e per i suoi riflessi sulla loro personale condizione. E bisogna dunque vedere se la protesta avesse un fondamento razionale.
Se, per fare un’ipotesi peggio che azzardata, questi giovani avessero individuato nella quasi impossibilità del licenziamento la causa di un ingessamento del mercato del lavoro e se – sempre per ipotesi – essi avessero richiesto in coro l’abrogazione dell’art.18 dello Statuto dei Lavoratori, in modo da depurare le imprese dai cattivi dipendenti e creare nuove opportunità di lavoro, la manifestazione avrebbe avuto un contenuto discutibile, forse, ma certo concreto. Analogamente si sarebbe compresa una protesta contro i farraginosi iter burocratici che rendono difficile il lancio di nuove piccole imprese: anche in questo caso si sarebbe richiesto qualcosa di plausibile. Invece a Roma come altrove si è visto che la manifestazione aveva obiettivi vaghi e per così dire metafisici. I giovani – anche se sono stati arrestati “giovani di quarant’anni” – non sono contro un obiettivo particolare e definito, sono “anti tutto”. Contro la finanza, contro le nuove linee ferroviarie, contro le banche, contro le centrali nucleari, contro i “padroni” (delle imprese), contro il governo, contro i termovalorizzatori, contro la polizia, contro i ricchi… la lista è troppo lunga per essere esauriente. E questo fa intravedere una spiegazione del fenomeno.
Se i giovani sono “indignati” è perché si sentono infelici: ecco il dato “metafisico”. E però, invece di cercare in sé la causa del loro disagio esistenziale, credono che il male venga dall’esterno. Con questa diagnosi si incoraggiano gli uni gli altri, si assolvono da ogni colpa e infine, non dovendo combattere contro se stessi, combattono “contro tutto ciò che non è loro stessi”. Non dicono: “Se fossimo diversi staremmo bene in questa società”; dicono: “Staremmo bene in questa società se fosse diversa”. E alcuni, per cercare di modificarla, vorrebbero intanto distruggerla.
Il fatto che tutto questo avvenga nel mondo contemporaneo – e non sia mai avvenuto nei secoli passati – ha una spiegazione. Un tempo la società era costituita dagli adulti attivi. Gli altri contavano poco: i pochi vecchi vivevano dei loro risparmi o del sostegno dei figli, i giovani imparavano un mestiere fino a divenire anche loro adulti. Dall’inizio del secondo dopoguerra le cose sono cambiate. Il continente è divenuto prospero come mai prima e i genitori, usciti dalla miseria, hanno potuto finalmente permettere ai figli tutti i vantaggi che loro stessi non avevano avuto: di mangiare a volontà, di vestirsi bene, di andare a scuola fino al diploma, di avere il motorino e di considerare un diritto la pizza con gli amici. Guidati dall’amore e da un certo spirito di rivincita, li hanno viziati con mille giocattoli, mille libertà, mille “lussi”. Anche la scuola si è piegata alla nuova moda: la promozione è divenuta facile e all’esame di Stato del liceo classico si è passati da “tutte le materia, scritte o orali, col programma di tutti e tre gli anni”, a “quattro materie, praticamente tutte a scelta dell’alunno”, e il programma dell’ultimo anno. E tuttavia questi ragazzi sono infelici. Addirittura indignati.
Il fenomeno è contraddittorio ma non incomprensibile. L’estrema facilità della vita induce i giovani ad essere solo dei fruitori. Sanno solo consumare. Hanno molto, non danno quasi niente e non sono preparati ad “essere” ma solo ad “avere”. E alla fine sono impreparati alla vita. Alla prima seria difficoltà – e Dio sa se il passaggio dalla condizione di studente a quella di disoccupato lo è – non sanno come reagire. Adottano dunque il comportamento che li ha fatti vivere bene fino a quel momento: se gli adulti “si procurano” le cose, i bambini “le chiedono”. Magari pestando i piedi.
Ciò che avvelena la vita dei giovani è l’eccesso di aspettative. Non era mai avvenuto prima che lo Stato e la collettività instillassero tante illusioni nella mente dei ragazzi. Il loro condizionamento li ha convinti che la società deve loro tutto e dunque non è strano che essi si sentano defraudati se sono disoccupati, disorientati, emarginati. La retorica pubblica non cessa di esprimersi a loro favore, di emettere continue dichiarazioni di amore e rispetto nei loro confronti, ed è anche prodiga di promesse di ogni genere. Il risultato è che l’emarginato non considera mai la propria situazione come una conseguenza delle proprie incapacità: la attribuisce alla cattiveria altrui.
Per disinnescare la retorica è necessario uno spirito critico che i giovani non possono avere, per età e per mancanza di strumenti culturali. I black bloc saranno dei criminali ma sono stati spinti a divenire tali da una società che li rincitrullisce. Abbiamo seminato vento e raccogliamo tempesta.
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