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Perché gli intellettuali amano i pettegolezzi?

Creato il 30 agosto 2011 da Ghostwriter

Henri-LevySe siete deboli di stomaco è meglio che non leggete questo articolo. Stiamo per smontare uno dei miti più coriacei della psiche femminile (quella maschile è dubbio se esista o meno): l'intellettuale non è profondo, nella migliore delle ipotesi è mondano. Sempre. Non credete a quelli che si drappeggiano con le tele del Beato Angelico e che dicono di ascoltare musica di Anton Webern: quando si tratta di gusti sinceri, divorano gossip e serie televisive, amano orinare nei vasi delle piante e conoscono le dicerie più labili sull'ultimo amore di Kemp Muhl. Questo è il mondo, una metafisica divagazione sui cetrioli, più o meno come nel famoso The Importance of Being Earnest (Wilde).  Cinismo a parte, perché l'intellettuale amano così tanto il gossip? Forse è, in primo luogo, una fissazione legata al troppo rimuginare idee “profonde”? In effetti, rimuginando molto si può finire col fare scelte di dubbio gusto, basti pensare a che cosa ha potuto scrivere Heidegger quando scambiò il regime nazista con la difesa della sacra Terra germanica (facendo discutere tutti i suoi epigoni, che si sono scannati sulla questione ben registrata nel “libro nero” di Victor Farias, pubblicato anni fa da Bollati Boringhieri). Oppure le grandi cantonate di Sartre, mondano come pochi al punto di scrivere al caffè tutte le mattine, sui regimi sovietico e cinese (e se non fosse stato per Bernard Henri-Lévy che ha fatto giustizia dei pettegolezzi, appunto, sul suo conto nel mirabile Il secolo di Sartre non ci sarebbe più una goccia di inchiostro per parlarne bene). E ancora mille esempi si potrebbero fare di come pensiero elevato e gossip stratosferico convivono bene e, probabilmente, si sostentano a vicenda. D'altra parte, chi non vorrebbe posare davanti a un fotografo come ha fatto Sean Lennon- con quell'aria da zia addormentata, ma pur sempre cool-, discutibile erede del grande John, accanto a una modella da capogiro come la summenzionata Kemp? Chi non vorrebbe essere, almeno per un giorno, il compagno di giochi di Andy Warhol (non pensate male, parlo di Arte)? Di certo, molto c'entrano le donne nella perdizione degli intellettuali. Kemp o Camp? E magari Kitsch, tra un'etichetta e l'altra ci sono abissi teorici, sapete. Anche se, in questo caso, ben poco metafisici. Susan Sontag sul Camp ha scritto: “l'essenza del Camp è il suo amore per l'innaturale, per l'artificio, per l'eccesso. In più Camp è esoterico, una specie di cifrario privato, addirittura un distintivo di riconoscimento tra cricche urbane” (Contro l'interpretazione, ed. Mondadori). Se il gossip è un prodotto che somiglia a ciò che è Camp, com'è probabile, allora deve qualcosa a questa definizione. In effetti, il “cifrario privato” e il contesto urbano hanno molte somiglianze con questa cultura da magazine unisex che stiamo descrivendo; come scrive Sontag si tratta di “una sensibilità che, tra le altre cose, tramuta il serio in frivolo”. D'altra parte, tutto ciò è difeso spesso e con ostentazione a spese del contenuto, per “mettere in rilievo lo stile”. Non avete mai incontrato certe professoresse di greco e latino che durante un party soporifero, dopo aver passato il pomeriggio a tradurre Sallustio o Cicerone, vi confessano di adorare l'ultima canzone di Marylin Manson? Non vi è capitato? Ma dove vivete? Il gossip aggiunge al Camp qualcosa come un ritmo, un'intensità di cui l'artificio – questa categoria che risale almeno a Baudelaire, padre di tutti i dandies- ha bisogno per resistere alla pressione del Vuoto, del Nulla. Anche il Nulla, senza una certa chiacchiera adeguata, non sarebbe possibile (i puri di cuore credono, invece, che il Nulla li dispensi da “questo mondo insensato e loquace”).  Un bell'esempio di Camp in campo musicale sono le canzoni di Dorothy Collins, una cantante degli anni Cinquanta. Ascoltate oggi fanno schiattare, come si vuol dire. Descrivono gite amene sulla spiaggia con bell'imbusti dal sorriso smaltato, perfette casalinghe dal fiocco rosso che aspirano ad essere, come dice in una celebre canzone, clear out of this world. Come dire che anche la purezza ha il suo lato kitsch, ma queste canzoni sono ricercatissime tra i collezionisti che non apprezzano soltanto i 45 giri, ma anche...la musica. La cultura dell'effimero lascia strati profondi nella psiche di ognuno di noi, a volte persino commuove vedere come resiste alle carezze corrosive del tempo. E' così che, alla fine, una canzonetta fa vibrare la memoria mentre Wagner lo seppellite fin troppo bene a Bayreuth. Come tutti gli intellettuali sanno bene, “il più profondo è la pelle” (Valèry), qualunque sia il regime di senso in cui li fanno vivere: Foucault amava i cartoni animati, Wittgenstein passava certi pomeriggi di depressione guardando film western. Due grandi menti, certo, due grandissimi filosofi che non si trovavano bene nell'ambiente in cui vivevano...Ma almeno non avevano il cattivo di voler sembrare gente seria.        

Pubblicato da Remy71 | Commenti Tag: cultura, libri, divagazioni, arte, memoria, baudelaire, attualità, andy warhol, artisti, dandy
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