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Perché il contribuente italiano deve stare attento alla crisi greca

Creato il 24 febbraio 2015 da Capiredavverolacrisi @Capiredavvero

“La crisi economica e politica in corso in Grecia non mi riguarda direttamente”: sbaglierebbe qualunque cittadino italiano che pensasse una cosa simile. Quanto sta accadendo ad Atene ci interessa eccome, non soltanto per le ricadute politiche di un’eventuale uscita del piccolo paese dalla moneta unica, ma anche per le possibili conseguenze economiche della vicenda.
Nessuno può prevedere con precisione l’ondata di panico che seguirebbe all’uscita del paese dall’euro, dicono in molti. E hanno ragione. I mercati impazzirebbero, facendo schizzare all’insù pure il costo del nostro debito pubblico, oppure non si accorgerebbero di nulla, visto che nel frattempo la Banca centrale europea ha dispiegato un ombrello protettivo sopra la moneta unica? Nell’attesa, si può fare però qualche calcolo sulle risorse dei contribuenti italiani a rischio.

Tutti abbiamo prestato soldi alla Grecia, ma forse non lo ricordiamo. Nel dicembre 2009, quando la crisi dell’Eurozona era appena agli inizi, le banche europee erano tra i principali creditori di Atene. Il paese cioè si era indebitato, come è normale che sia, seppure in quantità maggiori del dovuto, emettendo titoli del debito pubblico. Alla fine del 2009, circa 150 miliardi di euro di questi titoli del debito greco erano nelle mani delle banche europee – principalmente tedesche e francesi – che li avevano acquistati. Nel 2010, quando si capì che i conti pubblici greci erano messi peggio di quanto era stato fino ad allora rilevato e che l’architettura istituzionale dell’Eurozona non era adatta a parare l’urto di una crisi finanziaria, cominciò la gara a chi riusciva prima degli altri a mollare quei titoli del debito; tutti avevano paura che Atene infatti non sarebbe riuscita a rimborsarli. A quel punto il governo del paese dovette fronteggiare costi troppo alti per indebitarsi, si avvicinò pericolosamente al default, e chiese l’aiuto dei partner internazionali. Gli Stati dell’Eurozona, assieme al Fondo monetario internazionale, hanno deciso così di prestare dei soldi alla Grecia; di fatto, mentre le banche private scappavano, arrivavano gli Stati a sostituirle. Risultato: se nel 2009 circa 150 miliardi di euro di titoli del debito greco erano nelle mani di banche private europee, alla fine del 2014 gli Stati dell’Eurozona (Germania, Francia, Spagna, Austria, Paesi Bassi e Belgio) avevano acquistato 204 miliardi di euro di debito greco e soltanto 18 miliardi di debito restavano nei bilanci delle banche. Ecco come i cittadini europei sono diventati, quasi all’improvviso, creditori della Grecia.

Il debito greco con l’Italia è cresciuto del 500% in 5 anni. Se le banche italiane prima della crisi non erano troppo esposte sul debito greco, all’opposto lo Stato italiano non si è potuto (o voluto) tirare indietro nel momento in cui si è trattato di “salvare” Atene. Così oggi il nostro paese è diventato il terzo principale creditore della Grecia: la Germania ha il 26,3% del debito greco, la Francia il 20,7%, l’Italia il 18%. Di quanti soldi parliamo? Secondo i calcoli degli analisti di Barclays, istituto finanziario inglese, l’Italia ha prestato 61,2 miliardi di euro alla Grecia, cioè quasi il 4% del proprio Pil nazionale: 10 miliardi in prestiti bilaterali, 27,2 miliardi tramite il Fondo salva stati europeo, 4 miliardi come quota parte delle operazioni di acquisto di titoli da parte della Banca centrale europea, 19,2 miliardi come passività derivanti da Target 2 (sistema di compensazione dei pagamenti fra Banche centrali nazionali e Bce). Anche se non conteggiamo le passività di Target 2, ci fermiamo sopra i 40 miliardi di euro, cioè il 500% in più rispetto ai 7 miliardi che le nostre banche private dovevano alla Grecia prima dello scoppio della crisi.

Perché ancora oggi i contribuenti italiani non sono fuori pericolo? Se domani Atene decidesse di non restituire i prestiti ottenuti in questi ultimi anni dagli altri Paesi dell’Eurozona, l’Italia perderebbe dunque un ammontare pari a quasi il 4% del proprio Pil. Non è poco.
E’ legittimo chiedersi perché Atene dovrebbe decidere di non onorare i suoi debiti. Una risposta piuttosto banale, ma non così inverosimile, è che la Grecia potrebbe presto non riuscire più a pagare tutto il suo debito pubblico, anche se lo volesse. Complice infatti l’aggravarsi della crisi, il rapporto tra debito pubblico greco e pil del paese ha superato il 170 per cento. Non a caso il nuovo Governo greco ha proposto, durante la campagna elettorale, di ridurre unilateralmente lo stock di debito, infliggendo perdite ai suoi creditori. Dopo le recenti trattative a Bruxelles tra i ministri delle Finanze, questo scenario sembra sventato. Per i prossimi quattro mesi la Grecia dovrebbe continuare a ricevere assistenza finanziaria condizionata ad alcune riforme economiche. Se però la ripresa non fosse sufficientemente vigorosa, la mole di debito continuerebbe a crescere, ricadendo ancora una volta sulle spalle degli Stati europei, cioè dei contribuenti europei, italiani in primis.

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