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“Perché la guerra?” E soprattutto: intanto noi che facciamo?

Creato il 23 gennaio 2016 da Abattoir

REW. Riavvolgiamo il nastro:
Le guerre sono affari, lotte di denaro che si fanno con le armi perché si devono vendere armi per ricavarne soldoni. Se il magnate di sto c**** dice: “guerra!”, le azioni in borsa schizzano e questo è bello: genera ricchezza! Mentre la gente muore. “Effetti collaterali!”, direbbe sempre lo stesso magnate, impastato di “cultura dell’avere”. Di questo sono fatti la sua carne e il suo cervello. La sua logica è quella dello scambio commerciale, in cui l’Altro non ha un valore di per sé e ognuno è “niente”. D’altronde, il mercato “è la relazione di vita più impersonale che gli individui possano stringere tra loro” (Weber M.), è egoismo “radicalmente estraneo ad ogni affratellamento”, “interesse nei confronti dei beni scambiati e solamente di questi”, non per le persone. Perché? Perché questo è strumentale a far girare l’economia! Perché è fondamentale NON che io pensi a te, ma che io sia meglio (vestito, preparato, formato) di te, che io acquisti l’Iphone20 prima di te anche a costo di acchianarti in capu, che io sopravviva a te. Competitor e distruttività Io-Altro: questo è l’ethos capitalistico post-moderno. Osceno! 
Ma bisogna dare la parola all’Osceno”. E non soltanto quello televisivo o feisbukkiano!
Facile, troppo facile commentare un postettone anti-immigrati che gira sulle bacheche dei nostri “amici” …e poi buttare la cicca della sigaretta su un marciapiede qualunque, come se anche quel marciapiede non fosse la TUA patria, la TUA città, la TUA casa. Facile, troppo, criticare le guerre lontane e poi trattare gli amici come conoscenti da cercare solo quando se ne ha voglia, come fossero oggetti da supermarket.

Però, pare che la colpa non sia tutta nostra. Perché se possiamo vivere in un mondo di guerre senza fare niente – se non denunciare ogni tanto sui social quanto questo sia ingiusto – è perché l’indifferenza è comoda per l’economia, e così ce l’hanno messa dentro la testa.
Pare inoltre che, pur volendolo (perché ci sono gli uomini di buona volontà, è giusto dirlo!), non possiamo aprirci il cervello, togliere la sezione “egoismo” e metterci quella “altruismo/etica/Altro” (A maiuscola).

Una cosa però la possiamo fare: PENSARE!
Possiamo usare la mente, mentalizzare, che non è altro che il tenere a mente la mente propria e quella altrui. …’Sti cazzi! Finché si parla di noi stessi, beh… E comunque a noi stessi possiamo pure raccontare tutte le bugie che vogliamo, no? Tanto chi lo verrà mai a sapere? Ok, e questa è fatta… Andiamo avanti: per gli altri però come si fa? Mah, difficile. Pure lì possiamo raccontare qualche piccola bugia, ignorare i loro veri bisogni, cosa può fare felice o infelice un amico… Piuttosto che coltivare sul serio la nostra relazione e coltivare LE relazioni, guardare all’Altro per ciò che è (non come ad uno strumento utile a me): riconoscerlo nella sua individualità, nei suoi bisogni, nelle sue felicità/infelicità, per quello che sente, che ama, che sa/può fare o non fare.
Non è forse questo il problema con gli immigrati del tanto amato-biasimato Salvini? O di quegli imprenditori che festeggiavano per il terremoto all’Aquila? Loro questi esercizi non sanno proprio farli…!

“Perché la guerra?”  E soprattutto: intanto noi che facciamo?
La banalità del male” è allora la catastrofe del “non pensiero”: quella dell’Eichmann del terzo Reich, nazista natomorto&cresciuto che rappresenta l’umanità che ha rinunciato alla funzione del pensare. Eichmann non ha un pensiero personale: segue il senso comune, è un automa! Eichmann non possiede un pensiero riflessivo, creativo; rinuncia con esso ad essere soggetto e si omologa all’organizzazione di riferimento: “io sono un funzionario, io ho obbedito agli ordini!”, dice al processo. Eichmann, allora, non è un uomo: è un morto in vita; questo è il rischio della rinuncia alla soggettività in favore dell’omologazione, comoda per quanto essa sia. E noi? Quando e quanto noi siamo uguali a lui? “L’ho letto su facebook!” è la nostra giustificazione attuale.
Anche qui, però, pare che la colpa non sia tutta nostra: tutti gli uomini possono essere Eichmann, se esiste un’organizzazione che promuove l’automatizzazione poiché tramite essa si fa i soldoni!

Ma… intanto noi… che facciamo?
Ancora una volta, Cartesio ci viene in aiuto, ricordandoci che “r-esistenza” è “pensiero”. “Cogito, ergo sum”: la possibilità di sfuggire all’egemonia guerrafondaia dell’economia risiede nell’acquisizione di strumenti di pensiero per interrogarsi sul capitalismo e su tutta la perversione che esso può comportare.
In saecula saeculorum, in urbi et orbi, la soluzione è una e una sola: ci tocca pensare, capire cosa abbiamo veramente nel cervello. Gnòti seautòn, diceva Socrate, che per questa rivelazione è una star da molte centinaia di anni.
Pensare è immunitario, è rivoluzionario, è l’unico strumento anti-guerra che può scardinare la grande presa per il culo econocratica; l’unico mezzo per approdare dall’essere “assoggettati” all’essere “soggetti di pensiero” in grado di opporsi all’esistente. Per questo dall’alto il Grande Fratello brama e trama affinché NESSUNO PENSI e occupa le nostre menti con Barbara D’Urso.

Pensare, dunque; e poi raccontare l’osceno, narrarlo, condividerlo. Nel mondo dei pinocchi, c’è necessità di narrazioni oneste, bisogno di svelamento; perché la Narrazione onesta cura; e cura il soggetto, la relazione e, attraverso essa, la comunità.
La sopravvivenza da “uomini” impone quindi il dramma del pensiero costante; e però l’esercizio del pensiero non va in ferie, non prende tredicesima né TFR, è gratuito ma anche scomodo e faticoso, ed ha come costo la disponibilità a soffrire.
Cercheranno di ucciderci, di farci sentire fuori posto. Che non è cool!
Possiamo quindi non farlo, giustificarci e nasconderci dietro narrazioni false, politicanti, utilitariste, capitaliste, guerrafondaie. Possiamo relegare le cose importanti negli interstizi attuali delle Marie-De-Filippi-anti-parola-di-massa.

Sì, possiamo. Tutti possiamo essere Eichmann.
Solo così può esserci un mondo peggiore. O semplicemente questo qui.

(Continua)


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