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Perchè non conviene dormire, soprattutto di notte, soprattutto d’estate

Creato il 12 luglio 2013 da Giulianoguzzo @GiulianoGuzzo

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«Cosa ha a che fare la notte con il sonno?», si chiedeva John Milton in una delle sue opere. Quesito caro a molti, soprattutto d’estate, quando l’afa accetta di rarefarsi solo nottetempo, regalando alla veglia di chi tarda ad assopirsi una tregua vera, rigenerante, quasi surreale. Emerge così, in molti, la preferenza al riposo vigile, quasi che il sonno fosse una perdita di tempo e non, invece, la sospirata occasione d’un riposo. Lo sanno bene gli studenti e gli appassionati di lettura, che mentre il mondo dorme possono dare il meglio di loro, per una volta senza irritanti rumori di sottofondo.

La notte, col suo caratteristico silenzio, così profondo e duraturo, è l’ideale anche per conversazioni impossibili col ritmo frenetico, il traffico automobilistico e le suonerie perenni dei telefonini che di giorno subiamo. Ma oltre alle conversazioni, le tenebre propiziano pure inaspettate confessioni. Si, perché col buio le persone cambiano, libere come sono da maschere di pirandelliana memoria. Pensiamo, per stare alla letteratura, al celebre caso dell’Innominato, che, grazie a fecondi tormenti notturni, passa da una vita malvagia e relative tentazioni suicidarie, alla necessità di convertirsi, che esploderà, il giorno seguente, nel commovente abbraccio col cardinale Federigo Borromeo.

Ma anche chi non avverte alcuna nostalgia divina, dinnanzi all’incanto d’una volta stellata, non può non chiedersi se tutte quelle stelle, in realtà, non siano le impronte digitali di un Dio che gioca a nascondino, ma non troppo.«Di notte un ateo crede quasi in un Dio», annoterà in proposito Edward Young, nei suoi fortunati “Pensieri notturni”. Non è una novità, dopotutto, che la notte sia il palcoscenico prediletto da Dio per la Sua azione salvifica; basti pensare, su tutte, alla notti di Natale e Pasqua, massime epifanie divine per i cristiani.

Paradossalmente, se di notte, da un lato, a molti non credenti capita di sbirciare tra le pieghe della religiosità, dall’altro accade anche che dei credenti possano sperimentare, stanchezza permettendo, l’inquietudine che alberga nei cuori di chi non crede e trema al solo pensiero di dover fare un giorno i conti – il più tardi possibile, ci si augura – con la morte. Perché quando te ne vai e cala il sipario, non c’è la possibilità di sperare in proroghe, gentili concessioni o tempi supplementari: quel che è fatto è fatto, e rimane appena il tempo – a volte solo pochi istanti – per tracciare il bilancio della propria vita.

Quella che Manzoni chiama la «quiete solenne della notte» è anche il paradiso degli amanti, finalmente liberi di unirsi – e non più solo con la mente-, di coronare il loro affetto con intimità ininterrotta, sogni e la speranza che l’incantesimo notturno possa sopravvivere all’alba e accompagnarli ancora. Ma la notte, per tanti, è anche il territorio delle paure, il momento in cui gli incubi si fanno reali, in cui vorresti che tutti improvvisamente si svegliassero così da consentirti di tornare già a lavorare, a sudare, a correre. E in quel caso, in effetti, dormire conviene.



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