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Perché non lo facciamo per la strada? Le donne del Rock

Creato il 04 dicembre 2014 da Zambo
Perché non lo facciamo per la strada? Le donne del Rock

Quello del rock, ed in generale della musica, è un mondo al maschile. C’è stato un tempo in cui le donne sul palco neanche potevano salirci. Fino al seicento a teatro le parti femminili erano affidate a uomini travestiti (il teatro stesso in effetti fu a lungo considerato un’esperienza poco edificante: alla compagnia di William Shakespeare era proibito recitare nella città di Londra e quello è il motivo per cui il Globe Theatre fu costruito sulla sponda opposta del Tamigi). Nella musica lirica le cantanti erano voci bianche, maschi castrati alla bisogna. La donna sul palco era equivoca, associata alla femmina di malaffare: attrice, ballerina, cantante di cabaret, spogliarellista, era un tutt’uno. Billie Holiday prima di esordire nella musica fu una baby prostituta, e tutte le cantanti blues e jazz si confrontarono con un mondo duro e ambiguo. 

Ancora oggi il ruolo femminile principale è quello di cantante, molto più spesso che di musicista, compositore o direttore d’orchestra. Di celebrate chitarriste, tastieriste e batteriste, nel rock se ne sono viste poche o nessuna. A dirla tutta le strumentiste più celebri, come Maureen Tucker, alla batteria dei Velvet Underground, e Tina Weymouth, al basso dei Talking Heads, hanno più un aspetto androgino da adolescente maschio liceale che da vamp. Avrebbero pareggiato il conto Runaways e Bangles, ma entrambe le formazioni ebbero vita breve.  

In America il ruolo delle musiciste femminili fu più accettato che nel Vecchio Mondo. Joan Baez, la regina del folk, Janis Joplin, la cattiva ragazza scappata di casa dal Texas, dalla personalità tale da mettere in ombra chiunque suonasse dopo di lei, Grace Slick, l’angelo del flower power, Joni Mitchell, la poetessa del nord innamorata del jazz, divennero superstar rispettate quanto e più dei colleghi. Potremmo giocare a trovare un contraltare maschile alle quattro in Dylan, Jim Morrison, Jerry Garcia e Neil Young. 

Ne risulterebbe una bella mano di poker. 

In Inghilterra, viceversa, le ragazze simbolo della Swinging London furono vissute più in relazione ai loro compagni maschili. La magnetica Marianne Faithfull rimase per il pubblico e la stampa l’eterna fidanzata di Mick Jagger anche quando scalava le classifiche con As Tears Go By, e la sua vita subì un tracollo quando Mick sposò la sudamericana Bianca. 

Altrettanto affascinante, Julie Driscoll fu per un paio d’anni il simbolo della summer of love londinese, dotata di una potente voce soul e del perfetto look. Eppure per la stampa era la segretaria di Giorgio Gomelski, che la impose al tastierista jazz Brian Auger per il disco di successo dei Trinity, Open. Auger, forse infastidito dall’apparire in un ruolo subalterno, preferì registrare in fretta e furia il secondo disco del gruppo senza convocarla, per scontrarsi con l’amara realtà che il long playing fu ignorato dal pubblico. 
Jools fece il rientro nel successivo doppio Streetnoise, che divenne il disco più celebrato dei Trinity. Auger se ne sarebbe andato a formare gli Oblivion Express, gruppo fusion che stentò a trovare seguito mainstream, mentre la Driscoll si innamorò del pianista jazz Keith Tippett, si sposarono e vissero felici e contenti. Lei mutò il proprio nome in Julie Tippetts e scelse di sacrificare una promettente carriera pop per viverla all’ombra del marito. Ben altri onori avevano tributato i francesi al loro personale simbolo della rivoluzione dei figli dei fiori, l’attrice Brigitte Bardot (la donna più bella del mondo), e volendo anche noi italiani ad una cantante della personalità di Mina. 

Anche Andy Warhol aveva imposto agli esordienti Velvet Underground di New York una cantante femminile, sotto forma della conturbante Nico, della cui algida immagine di femme fatale si innamorarono tutti, da Lou Reed a John Cale, da Brian Jones a Bob Dylan, da Tim Hardin a Jackson Browne fino a Leonard Cohen (ne rimase immune forse il solo Bowie) e che mantenne per anni una carriera molto rispettata nonostante fosse coinvolta in una pesante dipendenza dalle droghe. 

A due cantanti inglesi di grande talento, Sandy Denny e ­Linda Thompson, fu negato da soliste il successo di classifica che ottennero solo nella compagnia maschile di Fairport ­Convention e di Richard Thompson. 

Le band inglesi erano roba da uomini: Beatles, Stones, Who, Kinks, Animals, Cream, Led Zeppelin. Le donne al massimo erano le compagne dei musicisti. Quando si innamoravano, gli inglesi preferivano farlo di cantanti americane, come la pantera nera Tina Turner e la streghetta Stevie Nicks. Anche in epoca di new wave, nessuna cantante a Londra raggiunse lo status di culto che toccò in America a Patti Smith (Bob Dylan ne restò folgorato e le offrì di accompagnarlo nel ruolo di first lady nel circo della Rolling Thunder Revue - ma lei declinò l’offerta, che fu poi accettata dalla Baez, che Bob lo portava ancora nel cuore), a Debbie Harry dei Blondie, Chrissie Hynde dei Pretenders, Exene Cervenka degli X di Los Angeles, e persino Cindy Lauper, la ragazza che voleva solo divertirsi. 

Anche ai concerti il pubblico è più maschile. Certo, dipende dalla band. Quelle rock blues hanno il sex appeal di una squadra di hockey. Ai concerti dei Gov’t Mule non ci si va con la speranza di rimorchiare. A quelli degli Yes o dei Marillion è più probabile far amicizia con dei nerd. Naturalmente ci sono le coppie, quelli che vanno agli show con la fidanzata e si dondolano per tutto il concerto, baciandosi con trasporto quando arriva la loro canzone. Quanto ho detestato / invidiato tutte quelle coppie abbracciate ai concerti di Springsteen, mentre io di solito ero con qualche scalmanato sudato in coda per il pit. E non mancano mai quelli che accendono il telefono per far ascoltare la canzone in diretta alla ragazza a casa, come se non esistesse un buon motivo se lei ha preferito non venire. 

A parte le coppie, le ragazze ai concerti sono tutte nelle prime dieci fila, a strillare nella direzione di Mick Jagger, Iggy Pop o David Bowie. In effetti il modo migliore di conoscere una ragazza ad un concerto rock è quello di essere il cantante solista, o quanto meno il batterista. A fermarsi dopo lo show, invece di affrettarsi in cerca dell’ultima pizzeria ancora aperta, all’uscita degli artisti si forma un capannello di ragazze di regola decisamente giovani. 

Sono le groupie, e sono (state) il sale della musica rock. 
Sono sorpreso quando ancora oggi vedo formarsi file di ragazze in attesa dopo gli show di Tom Petty o Roger Daltrey, perché le groupie, quelle storiche, erano un fenomeno degli anni sessanta. Ragazzine scappate di casa, alla ricerca di un sogno o semplicemente attirate dallo stardom. 
Non che le groupie fossero un fenomeno esclusivo del rock. Le gare automobilistiche americane hanno laureato groupie famose come Jungle Pam, che con la camicia annodata, shorts e go-go boots mostrava il seno nelle gare di dragster, o Lauren Vickers, coniglietta di Playboy appassionata di motoGP, oggi sposata ad un pilota francese . Mi raccontava un amico pilota, un blue collar di Le Mans raramente approdato al podio e mai alle copertine delle riviste, che le ragazze in cerca di celebrità nei paddock erano disposte a insidiare anche lui, dopo essersi assicurate che fosse un pilota e non un meccanico. Persino ai rodeo ci sono groupie che attendono i cowboy dopo gli show, le chiamano le buckle bunnies. 
Una razione di sesso non è mai mancato al servizio d’ordine ed ai roadie, quei maschi poco profumati che spostano colonne di altoparlanti pesanti come elefanti, e che hanno sempre in tasca qualche backstage pass. Cosa spingesse una ragazza giovane a cercare sesso rubato ad una rock star ubriaca non lo so, ma probabilmente era legato al desiderio di diventare coprotagoniste del paese dei balocchi del rock’n’roll. 

Le groupie viaggiavano con la band e assumevano a volte il ruolo di fidanzata part-time per la durata del tour. Innumerevoli sono le canzoni che le star hanno dedicato alle groupie, e a loro è ispirato il film Almost Famous del regista Cameron Crowe. Diverse groupie degli anni sessanta sono diventate celebri e/o hanno alla fine sposato una rock star. Nel 1969 la rivista Rolling Stone dedicò alle groupie una copertina. A quanto pare fra i musicisti di quegli anni erano popolari groupie dal nome di Lacy, Margaret e Trixie. 

Cynthia Plaster Caster negli anni sessanta divenne famosa perché creava calchi del pene delle rock star infilandoli eretti nell’arginato (il più grande pare essere stato quello di Jimi Hendrix). Frank Zappa produsse nel 1969 un gruppo, le GTOs (Girls Together Outrageously, ragazze oltraggiosamente assieme) formato da Miss Pamela, Miss Sparky, Miss Lucy, Miss Christine, Miss Sandra, Miss Mercy e Miss Cynderella, le cui performance aprirono qualche show delle Mothers of Invention. Registrarono anche un disco prodotto da Lowell George.
Miss Pamela era Pamela Des Barres, l’autrice del libro I’m Am With The Band, dove raccolse le memorie di quegli anni. La Des Barres frequentava la scena di Los Angeles del Whiskey A Go Go con Captain Beefheart ed i Byrds. Frequentò gli Stones e fu la preferita di Jimmy Page. Sposò il (secondo) cantante dei Power Station, Michael Des Barres. 
Miss Mercy frequentò la scena psichedelica di Haight-­Ashbury dei Grateful Dead, dove conobbe Charles Manson, prima di spostarsi a Laurel Canyon, la mecca degli artisti di Los Angeles. Sposò un musicista, il figlio del cantante Johnny Otis. 
Miss Christine faceva da baby sitter a Moon Unit, la figlia di Zappa, nella casa di legno di Laurel Canyon. Compare sulla copertina di Hot Rats di Frank Zappa e per lei Gram Parsons scrisse la canzone Christine’s Tune, sul primo album dei Flying Burrito Brothers: 
«Tutto quello che una donna come lei sa fare è odiarti, non capisce quello che fa di un uomo un uomo. Parla di quello che fa con te a tutti quelli con cui riesce, perché è un diavolo travestito, lo puoi vedere dai suoi occhi. Ti racconta sporche bugie, perché è il diavolo travestito…». 
Non quello che si dice un buon ricordo. Morirono entrambi di overdose. 

Miss Cinderella era Cynthia Cale, perché sposò John Cale, che aveva già avuto il cuore spezzato da Nico, origine dei suoi dissapori con Lou Reed e forse della sua uscita dai Velvet Underground. Il primo giugno 1974 Cale iniziò un tour organizzato dalla Island Records assieme a Nico, Kevin Ayers, Brian Eno, Robert Wyatt e Mike Oldfield, che avrebbe dovuto portare finalmente al successo tutta la squadra. Purtroppo la sera prima dell’unico show, John colse la moglie Miss Cinderella a letto con Ayers, per cui del tour non se ne fece più nulla (e neppure del successo). Cindy morì nel 1997. 

Devon Wilson fu la groupie a cui Jimi Hendrix dedicò la canzone Dolly Dagger. Morì un mese dopo Hendrix volando da una finestra del Chelsea Hotel. 
Bebe Buell era fotografata nel paginone centrale del numero di novembre 1974 di Playboy. È la madre dell’attrice Liv ­Tyler che ebbe dal cantante degli Aerosmith Steven Tyler. Nella autobiografia Rebel Heart, sostiene che Jagger commentò la sua relazione con Tyler con le parole: «Perché vuoi stare con il falso Mick Jagger se puoi avere quello vero?». 
Fra le sue conquiste enumera Iggy Pop, David Bowie, Jimmy Page e Keith Richards (che annota essere il più dotato degli Stones). Negli anni settanta fu la partner di Todd Rundgren, che riconobbe la figlia Liv pensandola sua. Fu rivelato ad entrambi la vera paternità quando la bambina compì nove anni. Alla fine degli anni settanta Bebe fu l’amante di Elvis Costello, che ne riversò l’amaro ricordo nelle canzoni di album come Get Happy e Blood and Chocolate. Costello commentò sulle note di una ristampa: «Ero troppo stupido e vanitoso per resisterle». 

In Blues From Laurel Canyon, John Mayall dedica più di una canzone alla groupie Catherine James: «Ho letto di lei su una rivista, chi ne parlava come una regina, chi parlava male ed io ero curioso di scoprirlo da me...» «La prima volta solo con te, il tuo letto così soffice, il tuo respiro delicato, le tue dita che esplorano leggere come una farfalla la mia pelle abbronzata».

George Harrison scrisse una canzone intitolata Miss O’Dell e Leon Russell Pisces Apple Lady e Mockingbird, ed entrambi cantavano di Chris O’Dell, l’impiegata americana della Apple Records che si accompagnò a Leon, Ringo Starr, Mick Jagger e Bob Dylan. La voce di Chris è nel coro di Hey Jude, ed era sul tetto della Apple Records al 3 Savile Row il 30 gennaio del 1969 all’ultimo concerto dei Beatles
Harrison dedicò la canzone Apple Scruffs (torsoli di mela) a tutte le ragazze che stazionavano fuori dagli studi di registrazione dei Beatles. I Grand Funk Railroad cantarono in un verso di We’re An American Band: «Sweet sweet Connie» dedicato ad una celebre groupie chiamata Connie Hamzy. Anche Pamela Anderson di Baywatch fu una groupie e finì per sposare Kid Rock. 
Nancy Spungen era una groupie della scena del punk. A quindici anni le era stata diagnosticata la schizofrenia. Lasciò l’America per raggiungere Londra, dove si legò a Sid Vicious, che era più disturbato di lei. Erano entrambi eroinomani e quello che facevano assieme era drogarsi e cercarne dell’altra. Nell’ottobre del 1978 Sid la accoltellò a morte nell’addome. Pochi mesi la seguì, ucciso da un’overdose. 
Ian Dury ebbe due figli, fra cui il cantante Baxter Dury, dalla moglie Elizabeth, sua compagna fin dall’adolescenza, ma passò la vita a fianco di Denise Roudette, una groupie nera che aveva conosciuto anche Jimi Hendrix, a cui dedicò canzoni come Wake Up and Make Love With Me (svegliati e fai l’amore con me). 

Le famous groupies non erano ragazzine sprovvedute che pendevano dalle labbra (o dalla patta) delle rock star. Spesso è successo il contrario, rock star che si struggevano per una groupie che se ne n’era volata su un altro palco. Nella canzone Summer ’68 dei Pink Floyd, Rick Wright canta: «Vuoi dire qualche cosa prima di andare, ci salutiamo ancora prima di dirci ciao, e ci siamo conosciuti solo sei ore fa. Nel tuo letto ho guadagnato un giorno ed ho perso un dannato anno, domani sarò in un’altra città e ci sarà un’altra ragazza come te… Hai ancora un po’ di tempo prima di andare da un altro uomo? Come ti senti? Buonanotte a te, è stato abbastanza per un giorno». 

La giornalista Eleonora Bagarotti raccontò la propria esperienza nel libro Magic Bus, diario di una rock girl. 
La maggior parte dei musicisti ha delle buone parole da spendere sulle groupie che non ha sposato. Il discorso si complica per le donne con cui hanno diviso la vita. I Beatles, si sa, si sono sciolti per le donne. George aveva avuto un problema con Pattie Boyd,  una modella londinese che George aveva conosciuto sul set di A Hard Day’s Night, dove lui le aveva chiesto: «Mi sposeresti? O almeno, verresti a cena con me?»
Si sposarono due anni dopo, ma George non fu un marito affettuoso. Nel frattempo si era innamorato di lei uno dei migliori amici di George, Eric Clapton, che perse letteralmente il sonno e la ragione. Sentendosi colpevole nei confronti di George, si inventò una identità segreta come Derek, una fantasia in cui Pattie si chiamava Layla. Avrebbe inciso il suo migliore disco come Derek & the Dominos, dove Layla era il titolo della più bella canzone che compose. Pattie lasciò penare Clapton per anni, e mollò Harrison solo dopo il suo flirt con Maureen Starkey, la moglie di Ringo Starr. Nonostante tutta la sua saggezza orientale, George aveva spezzato il karma di due famiglie dichiarando a Ringo «Mi sono innamorato di tua moglie». Ringo accusò il colpo ma non perse il suo humor britannico replicando: «Meglio tu di uno che non conosco»
Ringo e Maureen avevano tre figli ed erano assieme dai tempi di Liverpool, quando lei aveva solo 16 anni e lavorava come parrucchiera. Il matrimonio non si salvò, e la storia con ­Harrison non decollò. Maureen sarebbe morta di leucemia a 48 anni.
Fu forse in seguito a quell’incidente che Harrison regalò a Ringo le canzoni Photograph e It Don’t Come Easy, che Ringo firmò e che risultarono, naturalmente, i suoi migliori pezzi di sempre. Prima di fidanzarsi con Clapton, Pattie uscì persino con Ron Wood, ma si lasciò infine convincere ad andare a vivere da Eric / Derek, anche se i due non si sposarono che nel 1979. 
Non fu una luna di miele, anche per la dipendenza del chitarrista per alcool e droghe e i due si lasciarono nel 1984. L’anno successivo Clapton ebbe il figlio Connor dall’attrice italiana Lory Del Santo. Al figlio, che perse, Eric dedicò i versi della toccante canzone Tears In Heaven. George e Lory si vendicarono anni dopo restando a letto assieme per tre giorni in un hotel a Hiroshima in Giappone nel corso di una tournée. 
Harrison aveva dedicato a Pattie la canzone Something. Clapton le dedicò Layla e Wonderful Tonight. Donovan aveva dedicato a Jenny Boyd, sorella di Pattie, la canzone Jennifer Juniper, ma Jenny sposò ugualmente Mick Fleetwood, il batterista dei Fleetwood Mac, e 14 anni più tardi Ian Wallace, il batterista dei King Crimson. Quando si dice che il batterista non ha fascino. 

Paul McCartney aveva trovato la donna della sua vita in Linda Eastman. Linda era americana di New York ed il padre era l’avvocato del cantautore Jack Lawrence che, quando lei aveva un anno, le dedicò una canzone intitolata, per l’appunto, ­Linda. La Eastman si sposò in prime nozze con un compagno di scuola, che anni dopo il loro divorzio sarebbe morto suicida. 

Linda diventò una fotografa di concerti rock e lavorò per la rivista Rolling Stone. Conobbe il Macca a Londra nell’anno di Sgt.Pepper ma in un primo momento ebbe un flirt con John Lennon. A sentire Bebe Buell, Linda si era in effetti portata a letto tutti gli Stones. In ogni caso Paul e Linda si sposarono nel 1969 ed ebbero tre figli: Mary, Stella e James. Fu grande amore fino alla morte di lei. 

John aveva trovato la donna della sua vita in Yoko Ono. L’aveva conosciuta nel 1966 all’Indica Gallery di Londra, dove rimase colpito dal suo approccio artistico, da un’opera che si riassumeva nella parola Yes (che tornerà come ispirazione nel film Yellow Submarine) e dal fatto che lei non sapesse (o almeno mostrasse di non sapere) chi fossero i Beatles. Nel 1968 John e Yoko si misero assieme e per lei John si separò dalla moglie Cynthia. Divennero inseparabili: registrarono assieme Two Virgins e John la portava abitualmente alle session di registrazione del White Album, cosa che gli altri tre detestarono di cuore. John sembrava relazionarsi in studio più con lei che con i compagni. Yoko non si tirava indietro dall’esprimere un parere su ogni cosa ed ebbe un ruolo in un brano sperimentale intitolato Revolution 9, oltre a cantare in un paio di brani fra cui Birthday. Durante le registrazioni del successivo Abbey Road, per Yoko John fece portare in studio un letto matrimoniale perché potesse riposare. 

Tennero ovunque del bed-in per la pace e nel ’69 registrarono assieme il singolo Give Peace A Chance con il nome di ­Plastic Ono Band. Nello stesso anno registrarono lo show di Live ­Peace in Toronto assieme a Clapton. I Beatles fecero il singolo The Ballad Of John And Yoko, scritta da Lennon durante il viaggio di nozze a Parigi, in realtà eseguita solo da John e Paul.
Dopo le difficili esperienze di Let It Be e Abbey Road, nel settembre del ’69 Lennon annunciò ai compagni l’intenzione di lasciare la band per continuare la propria carriera musicale con Yoko, ma la notizia non fu lasciata trapelare al di fuori della band. D’altra parte sia Ringo che George avevano in altre occasioni parlato di lasciare il gruppo. Il disco Abbey Road fu accolto molto bene, vendendo quattro milioni di copie, anche se il singolo Something, che aveva fatto il numero 1, portava la firma di George. Il 10 aprile del 1970 fu Paul ad annunciare alla stampa che lasciava i Beatles. Insegnò a Linda a suonare le tastiere e fondò un proprio gruppo, i Wings, in cui la moglie era libera di stonare nei cori. 
Gli Stones ebbero la loro porzione di contese a causa delle donne. Come scrisse Keith, era uno scontro fra maschi alfa, far capire chi si portava a letto una pollastrella. Keith si innamorò dell’attrice Anita Pallenberg mentre lei era la compagna di Brian Jones. I due fuggirono assieme nottetempo durante una vacanza in Marocco della band, lasciando Jones a leccarsi le ferite dell’ego. Poi Jagger recitò al fianco di Anita nel film Performance del regista Donald Cammell. Mentre giravano una scena di sesso (l’unica decente di tutto il film), Richards era, decisamente infastidito, in compagnia di Marianne ­Faithfull, la celebre fidanzata di Mick in quegli anni. È Keef a raccontare che i due si consolarono facendo l’amore. In ogni caso quando Jagger rientrò, Richards preferì evitare discussioni svignandosela dalla finestra. Si infilò le scarpe ma dimenticò nella stanza da letto le calze, che non saltarono mai più fuori. 
Quello fra Richards e Anita fu un grande amore, ma fu anche una storia sofferta e faticosa a causa della dipendenza di entrambi dall’eroina. La storia finì quella volta che Richards rientrando a casa trovò nel letto matrimoniale il cadavere di un uomo (che come si scoprì si era sparato alla testa con un revolver, forse giocando alla roulette russa). 
Jagger non coronò la sua storia d’amore con Marianne, per sposare invece, fra i dubbi dei compagni Bianca, a St.Tropez nel corso dell’esilio francese. Durò poco, ma evidentemente il cantante aveva un debole per le donne latine: un flirt con la modella Luciana Giminez Morad gli costò il secondo matrimonio, quello con Jerry Hall. «La scopata più cara della storia» pare sia stato il commento di Keith Richards. A dispetto del suo successo con le donne, Jagger non fu fortunato. La fidanzata L’Wren Scott si tolse la vita nella casa di New York mentre lui era in tour con gli Stones in Australia. 

Al grande Willy DeVille le donne diedero del filo da torcere, o chissà, forse al contrario fu lui a darlo a loro. La sua compagna Tootsie, il cui vero nome (come appare sul primo album) era Susan Berle, mezza francese e mezza indiana Pima, aveva un look da Ronnie Spector, con il ciuffo, l’abito a tubino ed i tacchi a spillo. Che fosse bella non si poteva dire. Sua è la spalla con il tatuaggio del gatto blu ritratta sulla copertina del disco Le Chat Bleu. 

Sarebbe stata lei a fargli tagliare i lunghi capelli da hippie e dargli l’aspetto da portoricano da West Side Story. La band che prese il nome di Mink DeVille ebbe un inizio travagliato, che comprende un periodo passato a suonare nei club gay di San Francisco, fino a che Toots e Willy trovarono il loro ambiente naturale nel CBGB nel Village sulla Bowery, a fianco dei gruppi dell’emergente new wave newyorchese, come Television, Patti Smith, Talking Heads e Blondie. Toots ebbe un ruolo importante in quei primi giorni, e c’è chi sostiene che senza la sua influenza Billy Borsey non sarebbe mai diventato Willy DeVille e la band non sarebbe nata. 
Si racconta però che con il suo carattere invadente ed estremamente geloso finì per procurargli più guai che aiuto. Ad ogni concerto lo accompagnava sul palco e lo aspettava fino alla fine: un deterrente per le groupie. Si fece una fama di attaccabrighe con ogni altra ragazza che a suo vedere potesse mettersi fra lei e Willy, comprese giornaliste ed addette stampa. Voleva avere l’ultima parola su ogni accordo fra Willy e la casa discografica, e la cosa non procurò simpatie a nessuno dei due. Il peggio è che secondo alcuni fu Toots a portare Willy nel tunnel dell’eroina. Resta il fatto che quando Willy alla fine la lasciò per Lisa, i due amanti erano terrorizzati di finire accoltellati o peggio. Cambiò musicisti, cambiò casa discografica ed alla fine cambiò anche città. Toots aveva avuto il figlio Sean da Willy, a cui aveva dedicato la propria esistenza. Morì di cancro nel 2005. 
La seconda moglie si chiamava Lisa Leggett. Non volendo essere seconda a nessuno, si improvvisò sua manager. Al pari di Toots era molto presente nella vita artistica di Willy. Era ai concerti, assisteva alle interviste, in cui interveniva, e si diede anche parecchio da fare per ripulirlo da eroina e alcool. Come Toots, anche Lisa fu immortalata sulla copertina di un disco, quella di Miracle, la ragazza bionda sdraiata sul letto. Sulle note di Loup Garou si legge: «Dedicated to Lady Lisa D. Amore della mia vita», in italiano. 
I due trovarono casa a New Orleans nel French Quarter a due passi da Bourbon Street, e qualche anno più tardi acquistarono una fattoria a Picayune nello stato del Mississippi, dove allevavano cavalli, compreso quello ritratto sulla copertina di Horse Of A Different Color. Fu probabilmente il periodo più tranquillo nella vita di Willy, anche se non il più fecondo. Nel 1996 rilasciò un’intervista in cui raccontava della sua felicità finalmente trovata. Ma il destino volle che si innamorasse di un’altra donna, Nina. Rientrando a casa un giorno trovò che Lisa si era suicidata impiccandosi. 
Willy ebbe un incidente automobilistico nel New Mexico e da allora gli fu difficile camminare senza bastone o restare in piedi durante un concerto. Cambiò look, assumendo quello decisamente inquietante di un nativo americano con i capelli rapati. Alla fine tornò a vivere a New York con Nina, fino a che lui morì di cancro. 

In qualche modo pare che i musicisti diano il loro meglio quando attraversano delle crisi sentimentali, mentre scrivano le loro canzoni peggiori quando sono sposati e tranquilli. Ovviamente può essere un’effetto legato al fatto che scrivono le cose migliori quando sono giovani e selvaggi, mentre trovano la tranquillità anche familiare nell’età in cui la creatività scarseggia. 

Bob Dylan ebbe le sue difficoltà con il matrimonio. Sposò segretamente la coniglietta di Playboy Sara Lownds alla fine del 1965, mentre nell’ambiente erano convinti che stesse vivendo una relazione con Edie Sedgwick, la ex protégé della Factory di Andy Warhol. Sarebbe stato Warhol ad informare Edie che Dylan si era sposato, dettaglio che a quanto pare lei ignorava. 
In quei giorni Dylan era il musicista americano numero 1. Aveva fatto uscire la seminale Like A Rolling Stone ed il doppio long playing Blonde On Blonde, che influenzò tutti i musicisti della scena. Subito dopo subì un incidente in moto, su una Triumph Tiger 100, che a quanto pare gli costò la frattura di alcune vertebre cervicali. Si ritirò a vivere la convalescenza a Woodstock, nella campagna di New York, dove finì invece per rimanere per anni, lontano dal music business, dai concerti e dai dischi. A quanto pare a Woodstock Dylan viveva da recluso, una specie di conservatore lamentoso, geloso della propria privacy e infastidito dall’attenzione dei fan. 
Di giorno si trascinava fino alla casa rosa dei suoi amici di The Band (forse a Sara non faceva piacere avere musicisti in casa), nel cui scantinato registrarono le canzoni dei leggendari Basement Tapes. Quando nel ’69 a Woodstock fu organizzato il più famoso dei festival musicali rock, Dylan se ne scappò con la famiglia in Inghilterra, accettando un invito dell’amico George Harrison a suonare un timido show al festival dell’Isola di Wight. A quanto scrive nella sua autobiografia, temeva di aver smarrito l’ispirazione ed in quegli anni registrò alcuni fra gli album più deboli della sua carriera. 
Nel ’72 gli capitò di assistere ad uno show dei grandi Stones di Exile On Main Street, i migliori di sempre, che gli iniettò la voglia di tornare sulla scena. Accettò un invito del regista Sam Peckinpah di spostarsi a Durango nel Messico per un piccolo ruolo nel film Pat Garrett & Billy The Kid, per il quale registrò Knockin’ On Heaven’s Door. Mentre il matrimonio con Sara andava a rotoli, a Dylan tornava la voglia di suonare. O viceversa. Fece un disco e tornò in tour con The Band, dopo di che intraprese forse una relazione con Ellen Berstein, segretaria della casa discografica. Registrò un disco sulla fine del matrimonio con Sara, intitolato significativamente Blood On The Tracks, sangue sui solchi, che risultò il miglior lavoro da Blonde On Blonde. Tornò a frequentare i club del Village, dove incontrò la violinista Scarlet Rivera e con lei registrò l’album Desire, che comprendeva fra le altre la bella canzone d’amore intitolata Sara, dedicata alla moglie. Partì per un incredibile tour con un circo musicale viaggiante che battezzò Rolling Thunder Revue. Sara ascoltò la canzone e lo raggiunse, ma nella sua roulotte non lo trovò solo. Fine del matrimonio. 

Negli anni del successo di Transformer e R’n’r Animal, Lou Reed era un omosessuale dichiarato. Disse in un’intervista a Lester Bangs che molti musicisti si spacciavano da bisessuali perché era di moda, ma che al momento di dover prendere in bocca un membro, beh, le cose allora andavano diversamente. Diceva che non puoi improvvisarti gay, così come un vero gay non può fingersi etero: a tu per tu con una ragazza era ben necessario riuscire ad avere un’erezione. All’epoca la sua compagna era Rachel, un transessuale di origini messicane e pellerossa. È la Coney Island Baby del disco di Reed. D’altra parte anche la Candy di Take A Walk On The Wild Side era un travestito della Factory, Candy Darling. 

Dopo il capolavoro di Street Hassle, Reed cominciò a stancarsi dell’omosessualità. In un club S&M di New York conobbe Sylvia Morales e nel 1980 la sposò, intraprendendo una deliberata ascesa alla normalità, che purtroppo corrispose anche ad una parallela discesa della qualità dei dischi: il Reed minore di Growing Up In Public e The Blue Mask, insipido su Legendary Hearts, pop in New Sensations e Mistrial. 
Per ritrovare l’ispirazione dei vecchi tempi ci volle la morte del vecchio amico nemico Andy Warhol, per il quale registrò i capolavori di New York e Songs For Drella. L’amore della vita lo incontrò però con la cantante Laurie Anderson. Le chiese di sposarlo in una canzone, Trade In sull’album Set the Twilight Reeling del ’95: 
«Ho incontrato il mio nuovo me alle otto del mattino, l’altro si era perduto, ho pianto dicendogli addio e sono diventato qualcun altro. Voglio cambiare per la quattordicesima volta in vita mia, ho incontrato la donna dai mille volti e voglio che diventi mia moglie».
Reed era un soggetto difficile, diffidente, spigoloso ed irascibile, ma come ogni giornalista ha scoperto, bastava la presenza di Laurie per renderlo un agnello. Non voleva essere sgradevole né maleducato in sua presenza, e si trasformava in una persona addirittura cordiale. Il suo matrimonio con Laurie fu uno storybook love da favola, fatto di amore, rispetto e comprensione fino alla serena morte del cantante fra le sue braccia. L’unica cosa che faceva difetto in quei giorni era la qualità dei dischi. 

Una storia di relazioni andate a male che contribuì a realizzare uno degli album maggior successo di tutti i tempi fu quella dei Fleetwood Mac e del loro Rumours. Una band dalla storia improbabile, che comprende quella volta in cui tutti i membri abbandonarono all’inizio di un tour americano ed il manager li sostituì con un gruppo di session man, che furono naturalmente presi ad ortaggi nei posti dove si presentavano a suonare. Peter Green minacciò il manager con una pistola perché non voleva che gli versasse i diritti d’autore, in quanto riteneva di essere Gesù Cristo. Un altro chitarrista, Jeremy Spencer, non si presentò sul palco ad uno show a Los Angeles perché nel tragitto a piedi aveva incontrato degli attivisti dei Bambini di Dio ed era entrato all’istante a far pare della setta senza prendersi il disturbo di avvisare nessuno. Un terzo chitarrista, Danny Kirwan, fu licenziato perché invece di salire sul palco guardava suonare la band dalla sala per criticare la performance. Bob Weston, ancora un chitarrista, fu licenziato, impacchettato di forza dai roadie e caricato su un aereo perché scoperto a farsela con Jenny Boyd, moglie di Mick Fleetwood e sorella di Pattie. Nel frattempo Christine, la tastierista moglie di John McVie, aveva un flirt con il tecnico del suono. Bob Welch, anche lui chitarrista, si sarebbe fatto saltare il cervello con un colpo di pistola a Nashville. 

Quando i Fleetwood Mac proposero ad uno sconosciuto ed affamato Lindsey Buckingham di entrare nel gruppo, questi per lealtà mise come condizione che fosse assunta anche la sua fidanzata e partner musicale Stevie Nicks. Quando i Fleetwood si trovarono fianco a fianco in studio ai Record Plant di Sausalito per registrare Rumours, il disco che finì per vendere più di quaranta milioni di copie, Stevie Nicks aveva lasciato Lindsey Buckingham ed anche il matrimonio fra John McVie e Christine era definitivamente naufragato, quando lei aveva avuto un flirt questa volta con il tecnico delle luci. La ex moglie di Mick Fleetwood, Jenny, stava con il suo migliore amico e più tardi anche Mick e Stevie avrebbero vissuto un flirt. Pare che i testi delle canzoni di Rumours non parlino che di questo. 


10 canzoni di groupie

Rolling Stones: Star Star 

King Crimson: Ladies Of The Road 
Mott The Hoople: Rock’n’roll Queen 
Ian Hunter: Once Bitten Twice Shy 
Rainbow: All Night Long 
Frank Zappa: Crew Slut 
Leon Russell: Groupie (Superstar) 
George Harrison: Apple Scruffs 
Pink Floyd: Summer Of 68 
Michael Jackson: Billy Jean 
Grand Funk Railroad: We’re An American Band 
Sly and the Family Stone: Jane Is a Groupee
Spirit: Sweet Stella Baby 
Lynyrd Skynyrd: What’s Your Name
Jackson Browne: Rosie
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