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Perché si crede? Le "domande fondamentali sul senso della vita"

Creato il 05 settembre 2010 da Andream
Perché crede? Qualche tempo fa ho avuto modo di avere uno scambio di opinioni con un amico sulle domande fondamentali della vita e sulla risposta teistica ad esse.
Fondamentalmente, credo di poter riassumere la sua posizione in questo modo: per conoscere il trascendente, non si può usare la logica o la scienza, ma bisogna ricorrere necessariamente al "cuore", a ciò che ciascuno sente dentro di sé. Solo in questo modo sarebbe possibile accorgersi che l'unica risposta possibile è quella teistica. In altre parole, se si ascolta il "cuore" ci si rende conto che la risposta alle "domande fondamentali sul senso della vita" è Dio.
Naturalmente persone differenti giungono spesso a risposte differenti, ma, secondo questo mio amico, il fatto che molte persone, in tutto il mondo e in tutte le epoche, si siano poste le stesse domande, sta proprio ad indicare che una verità trascendente esiste e va trovata.
La sua argomentazione non mi ha convinto e vorrei spiegarne la ragione.
Il "come" e il "perché"
Peter Atkins è professore di chimica ad Oxford. Una volta tenne una lezione al castello di Windsor, di fronte alla famiglia reale inglese. Alla fine della lezione, il principe Filippo di Edimburgo gli disse che la scienza era in grado di rispondere alle domande sul "come", ma non poteva dire nulla riguardo alle domande sul "perché"; Atkins rispose che le domande sul "perché" sono stupide.
Se si evita di saltare subito alle conclusioni e si dà ad Atkins in beneficio del dubbio, si può capire il senso della sua risposta. Esistono delle domande che non hanno senso: credo che questo sia condivisibile da chiunque e, nel caso vi fossero dei dubbi, basterebbe pensare ad una domanda del tipo «di che colore è la gelosia». Ma lo stesso discorso vale per le domande cui facevano riferimento Atkins e il principe Filippo?
Le domande sul "perché" sono praticamente universali. Le fanno i bambini, ponendo una catena interminabile di perché cui gli adulti hanno ad un certo punto difficoltà a rispondere. Ma se le pongono anche gli adulti. In passato si credeva che gli animali esistessero per mantenere fresca la carne finché l'uomo non ne avesse avuto bisogno! Questa spiegazione oggi ci fa sorridere, ma è un indizio importante: ci si domandava perché esistessero gli animali, e una risposta "finalistica" era assolutamente accettabile.
Mano a mano che la scienza ha fatto passi da gigante nella spiegazione del mondo attorno a noi, le domande sul "perché" sono state spinte sempre più verso i margini della conoscenza umana: oggi se si chiede "perché" gli animali esistano si intende, in generale, "come" sono giunti ad esistere nella loro forma.
Oggi, in effetti, le domande sul "perché" sono solo quelle che riguardano solo il trascendente e i fini ultimi della vita. Ma hanno un senso, almeno queste, o sono anch'esse domande "stupide", come diceva Atkins? Per rispondere a questo, vorrei prima citare una peculiare caratteristica umana: il riconoscimento dei volti.
Vedere volti dappertutto
Perché crede? Ciò che gli scienziati hanno imparato da tempo è che il nostro cervello è in grado di riconoscere le fattezze umane anche in condizioni di visibilità difficili, in cui l'immagine è parzialmente coperta da degli ostacoli o in condizioni di oscurità. Siamo davvero bravi a fare questo, tanto che ci bastano pochi indizi visivi per ricomporre e riconoscere un volto o una figura umana; nessun programma per computer è in grado di replicare con la stessa affidabilità questa capacità di ciascun essere umano, tanto che la ricerca in questo campo, che ha ovvie applicazioni di sicurezza, sta cercando di comprendere come il cervello operi per copiarlo.
Questa capacità ha però ha l'effetto collaterale che vediamo volti anche lì dove non ce ne sono. Ognuno di noi ha avuto l'esperienza di riconoscere figure o volti umani nelle macchie di umidità sulla parete, nei profili delle montagne o delle nuvole. Si tratta di un fenomeno ben noto, detto «pareidolia», ampiamente sfruttato nell'arte; si veda ad esempio il ritratto di Rodolfo II, opera di Giuseppe Arcimboldo, in cui sono raffigurati vari ortaggi, ma in cui il nostro cervello, addestrato a "vedere" volti umani, riconosce le fattezze di un uomo.
Non è difficile comprendere la ragione per la quale questa capacità estremamente vantaggiosa di riconoscere volti e figure umane si sia evoluta; basti pensare che è alla base di ogni comportamento sociale. Ma non è l'unica capacità di questo genere che abbiamo.
I volti delle nuvole e la religione
Perché crede? Ma il riconoscimento dei volti è solo un aspetto collaterale di una capacità umana che ha effetti ben più ampi: l'invenzione del trascendente.
«Se siamo in un bosco e vediamo un profilo scuro che potrebbe essere un orso o una roccia, è intelligente "vedere" un orso. Se abbiamo torto, perdiamo poco; se abbiamo ragione sopravviviamo. Questa strategia concettuale porta a "vedere" spiriti e divinità all'opera attorno a noi». Così Austin Cline esemplifica la tesi sostenuta da Stewart Guthrie nel suo libro Faces in the Clouds riguardo l'origine della religione.
Anche in questo caso, non è difficile comprendere la ragione per la quale questa capacità estremamente vantaggiosa di riconoscere l'esistenza di un'intenzione dietro dei fatti si sia evoluta. Anche in questo caso, la capacità vantaggiosa dal punto di vista della sopravvivenza comporta un effetto collaterale: l'invenzione del trascendente, appunto. Secondo Guthrie, infatti, «la religione è un "antropomorfismo sistematico" — l'attribuzione di caratteristiche umane a cose o eventi non-umani. Interpretiamo informazioni ambigue nel modo più rilevante per la sopravvivenza, vale a dire vedendo esseri viventi».
Spiegare fenomeni naturali ipotizzando l'intervento di esseri dotati di uno scopo, di un'intenzione, è una pratica molto antica e frequente. In tutto il mondo e in tutte le epoche, fenomeni naturali come la pioggia e la grandine o il ciclo delle stagioni, l'insorgere di epidemie e carestie, le invasioni di cavallette e parassiti, malattie e morti, le vittorie in guerra o i raccolti fecondi, le allucinazioni e gli stati ipnotici, eccetera, in maniera praticamente universale, ricevevano spiegazioni che coinvolgevano, appunto, entità dalla caratteristiche umane: divinità, fantasmi, spiriti dei morti, folletti, ninfe e demoni di ogni sorta.
Mano a mano che, grazie alla scienza, questi fenomeni ottengono una spiegazione, una risposta alla domanda "come", per essi la domanda "perché" non ha più senso. Il confine tra "perché" e "come" si sposta sempre più ai margini del mondo che ci circonda.
Le domande fondamentali sul senso della vita non sono altro che la sublimazione di questa nostra capacità di chiederci "perché", nata per motivi di sopravvivenza durante l'evoluzione umana: ce le poniamo perché siamo umani, non perché vi sia effettivamente qualcosa da spiegare. Forse un giorno conosceremo abbastanza per convertire queste domande sul "perché" in risposte sul "come", o forse no: in ogni caso, sono un retaggio del passato, non una poetica ma falsa scintilla di immortalità in noi.
La foto di apertura è «good question», di e-magic (cc-by-nd).

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