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Peter Sis , La conferenza degli uccelli, il nostro libro del cuore della settimana

Creato il 28 marzo 2013 da Atlantidelibri
“Il filo conduttore presente in tutti i miei libri è il fatto che qualcuno sta sognando  luoghi o sta cercando di raggiungere un posto, e percorrerà molta strada. Penso che se non avrei lasciato Praga miei libri sarebbe stato diverso. E penso che tutto quello che ho fatto nei miei libri in questo Paese deriva dal sentimento di lasciare un altro luogo e venire in un nuovo posto. “

Lo dice Peter Sis, autore del libro che presentiamo e che caldeggiamo. Le sue opere precedenti potevano essere collocate nello scaffale dei ragazzi (i premiati Il muro, L’albero della vita..), questo potrebbe sembrare di più difficile collocazione: tra i ragazzi? Insieme ad altri graphic novel? insieme ai libri di poesia orientale? Sicuramente tra i libri consigliati! L’autore comunque lo definisce il suo primo lavoro per gli adulti.

Peter Sis, autore cecoslovacco, ha lasciato la sua nazione per stabilirsi negli States, e nel 2012 si è meritato l’ Hans Christian Andersen Award per l’illustrazione: onorificenza ben meritata! In questa sua rappresentazione de LA CONFERENZA DEGLI UCCELLI ispirata all’opera del poeta sufi Attar Din la sua immaginazione, elaborata ed originale, abbraccia alcuni stilemi orientali, ben adattandosi allo spirito del testo, sempre in linea con la sua ispirazione colma di poesia. Un libro fantastico per chi ama la beltà!

“Per me l’arte dell’illustrazione è pari alla letteratura. Ci sono vari livelli di significato. Il mio modo di creare poesia è l’illustrazione. Non so se, rimasto a Praga, avrei fatto le stesse cose, ho deciso di mostrare alle persone quale era la mia vita là. A volte mi sento di aver mostrato qualcosa di molto o forse troppo intimo, come quando qualcuno va a spifferare dei segreti. Ma probabilmente questo meccanismo è alla base di molte storie e film e molte opere d’arte”.

peter sis

Peter Sis
La conferenza degli uccelli
Traduzione di Livia Signorini
i cavoli a merenda, Adelphi

La conferenza degli uccelli è un poema persiano del dodicesimo secolo che racconta come, per sottrarsi al caos e alla disperazione che opprimono il mondo, l’Upupa raccolga la moltitudine degli uccelli e la guidi alla ricerca di un re perduto, Simurg, che si dice abbia tutte le risposte. È l’inizio di un viaggio meraviglioso e tremendo verso la dimora di Simurg, protetta da sette misteriose valli. In ognuna, gli uccelli dovranno affrontare insidie mortali: ma chi riuscirà a superarle otterrà una rivelazione inattesa. I versi di Farīd ad-Dīn ‘Attār – di cui quasi nulla si sa, tranne che a un certo punto della vita intraprese un lungo viaggio dalla Persia fino alla remota India – incantano da sempre chi li legge o li ascolta, e hanno ispirato a Peter Brook uno dei suoi spettacoli più sorprendenti: ma solo Peter Sís poteva trasformarli in questa stupefacente partitura visiva.

Peter Sis è nato a Brno, in Cecoslovacchia, ed è cresciuto a Praga. Ha studiato pittura e cinema all’Accademia delle Arti Applicate di Praga e al Royal College of Art di Londra. Ancora giovane, ha lasciato l’Europa per stabilirsi negli Stati Uniti, dove vive da anni con la famiglia. Vincitore di moltissimi premi, è l’autore di L’albero della vita: Charles Darwin e il muro.

qui, un bell’articolo articolato sul suo lavoro:

http://topipittori.blogspot.it/2012/05/un-disegno-esatto.html

ecco qualche notizia invece sulla sua fonte di ispirazione, LA CONFERENZA DEGLI UCCELLI di ATTAR DIN:

Farid al-Din Attar, è stato un mistico sufi e un grande poeta persiano.  (da wikipedia)

Era figlio di un ricco speziale (la parola attar significa per l’appunto in arabo e persiano “speziale”, “preparatore di rimedi medici, erbe medicamentose o profumi”, “profumiere”, ma di fatto equivaleva quasi alla professione del medico) e ricevette un’eccellente educazione. Studiò l’arabo, la medicina e le scienze religiose. Da giovane aiutò il padre in bottega e alla sua morte la ereditò. Da speziale, i clienti che si rivolgevano a lui gli confidavano tutti i loro problemi ed egli ne era profondamente toccato. Infine decise di abbandonare la sua attività e viaggiò moltissimo. Durante la sua permanenza a Kufa, a Mecca, a Damasco, in Turkestan ed in India, ebbe l’occasione di incontrare numerosi maestri (shaykh) sufi. Al suo ritorno promosse il Sufismo.

Alcuni studiosi ritengono che Attar fu ucciso durante la distruzione della città da parte degli invasori Mongoli. Sulla sua morte si narra il seguente aneddoto: Un soldato mongolo lo catturò e, avendo scoperto chi egli fosse, lo voleva condurre dal suo ufficiale superiore quando si presentò un uomo, offrendo denaro per comprare il prigioniero. Il soldato stava per accettare ma Attar disse al soldato che valeva molto di più di quanto pattuito. Continuarono il tragitto e poco dopo si presentò un altro uomo che offriva una somma maggiore per comprarlo, ma egli convinse il soldato a rifiutare poiché valeva molto di più anche della cifra proposta. Poco dopo un vecchio si presentò offrendo, in cambio di Attar, un fascio di legna. Il poeta, in genuino spirito sufi, disse al soldato di accettare l’offerta poiché Non c’è nulla che valga più di questo. Il soldato s’infuriò e uccise Attar all’istante.

Attar è uno dei più famosi poeti mistici iraniani. Le sue opere furono d’ispirazione per Jalal Rumi e per molti altri poeti mistici. Attār, insieme a Sana’i di Ghazna, fu colui che influenzò maggiormente Rumi nelle sue concezioni sul sufismo. Rumi li cita entrambi numerose volte nelle sue opere e con la più alta stima. Rumi lodò Attār nel seguente modo:
« Attār percorse errante le sette città dell’amore – Siamo ancora nella stessa Via. »

Fu uno degli autori più prolifici della letteratura persiana. Scrisse più di un centinaio di opere di varia lunghezza: si va da poche pagine a grossi tomi. Solo una trentina delle sue opere è giunta fino ai giorni nostri.

Nello stile caratteristico dei poeti sufi, Attār esalta l’amore terreno come metafora e preludio dell’amore divino: sebbene quello umano fosse una forma d’amore lontana dalla perfezione, esso ha comunque un riflesso spirituale, poiché l’”amato” diventa l’Essere supremo. Una delle sue parabole metaforiche preferite è l’amore tra il sultano Mahmud di Ghazna per il suo schiavo Malik Ayaz. Nella sua opera Ilāhī-Nāme (Il poema Celeste) troviamo otto storie riguardanti il loro amore e la loro devozione reciproca.

La sua opera più conosciuta è tuttavia il Manṭiq al-ṭayr (Il Verbo degli uccelli).

LA CONFERENZA DEGLI UCCELLI (Diverse edizioni italiane, Mediterranee e Se)

L’opera si configura come una sorta di magistrale favola esoterica che ha per oggetto il tema del viaggio, al tempo metaforico e reale, che l’anima intraprende perché si distacca dal mondo transeunte della materialità per tuffarsi nell’oceano senza rive del mistero divino.

La lingua degli uccelli – il cui titolo originale è Mantiq al-Tayr – è una summa del migliore e più raffinato misticismo islamico e insieme un messaggio universale di apertura al trascendente.

L’opera – che è un classico nel suo genere – si configura come una sorta di magistrale «favola esoterica», che ha per oggetto il tema del «viaggio», al tempo metaforico e reale, che l’anima intraprende perché si distacca dal mondo transeunte della materialità per tuffarsi nell’oceano senza rive del mistero divino. Protagonista un gruppo di volatili (l’upupa, il pappagallo, il falco, il pavone, ecc.) che, riunitisi a convegno, spiccano il volo alla volta del loro bramato sovrano, il Simorgh (o «Fenice») della mitologia iranica, posto agli estremi limiti della terra conosciuta.

Per raggiungerlo, dovranno, tra molti pericoli, attraversare «sette valli», che rappresentano altrettante «tappe» o «stazioni» di un vero e proprio itinerario iniziatico, che si ammanta di simboli universali, suscettibili di interpretazioni plurime. Dei centomila uccelli avventuratisi alla ricerca del loro Signore, a non più di «trenta» (in persiano: si morgh) sarà però dato il privilegio di raggiungere la tanto agognata meta.

Questi, difatti, finiranno per specchiarsi nel volto accecante del Re, alla vista del quale, inceneriti, scopriranno – paradossalmente – di essere tornati al punto di partenza.



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