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“Petite” di Geneviève Brisac, Piemme

Da Federicapizzi @LibriMarmellata

pettite

Recensione di Fulvia

Due genitori intellettuali, due sorelle più piccole, l’ingresso nell’adolescenza e quel desiderio di non crescere, evitando di nutrirsi.
Ha tredici anni Geneviève Brisac, l’autrice del romanzo autobiografico “Petite“, quando diviene anoressica. «Non crescerò più, mi ero detta. Mangerò soltanto l’indispensabile. Quel che serve per sopravvivere».

Sono i primi anni Sessanta del secolo scorso, e questo disturbo non è ancora conosciuto come tale. Forse è per questo motivo che i genitori tardano ad accorgersi del crescente dimagrimento della figlia, chiamata Nouk. E si allarmano solo quando raggiunge i 34 chili.
I medici a cui si rivolgono non sono in grado di affrontare il disagio della ragazza, si appellano alla sua volontà di mangiare, come se fosse possibile interagire in questo modo con un’anoressica.
Scesa sotto i 30 chili e in reale pericolo di vita, i genitori decidono di portarla in una casa di cura dove i metodi appaiono brutali: viene tenuta in una sorta di isolamento e privata di qualsiasi distrazione, anche dei suoi amati libri di cui si è nutrita in modo ossessivo, come se volesse alimentare solo la sua mente purificandosi così dai bisogni del corpo. Ma la terapia sortisce un certo effetto, e, riconquistato un peso accettabile, viene affidata a una coppia prima di poter tornare in famiglia.

Ovviamente lo spettro dell’anoressia le farà compagnia anche negli anni a venire; Nouk impara a dosare un minimo di nutrimento ricorrendo sistematicamente al vomito e rimanendo così magrissima, ossessionata dalle calorie da ingerire, bloccata per un’ora davanti a uno yogurt alle pesca.
«Convivo con la fame, la domo, la domino, l’addomestico, l’addormento. Dopo essersi sfogata crudelmente si calma da sola, basta aspettare… Credo che la fame mi dia un’energia inesauribile, una leggerezza speciale…Se non mangio niente, mi dico, niente mi mangerà…». E ancora i libri, quei compagni di vita che comincia a rubare, una al giorno, fino a quando non viene scoperta.
La marea crescente del Sessantotto, l’amore per un ragazzo e il rapporto ritrovato con il nonno faranno quello che i medici non sono riusciti a fare e la traghetteranno verso una nuova dimensione di vita in cui fare pace con se stessa.

Il romanzo ha una scrittura singolare: alterna una narrazione al tempo passato con brani al presente, riflessioni in tempo reale e considerazioni frutto della distanza generata dal tempo. Ci conduce con rudezza in quel tunnel autodistruttivo rappresentato dall’anoressia, e Nouk suscita rabbia, vorremmo scuoterla, vorremmo chiederle perché. Come desidereremmo conoscere nel profondo i motivi di tante azioni dolorose e insensate degli adolescenti di ieri e di oggi.

In Francia il libro è uscito nel 1994 (una trentina di anni dopo i fatti narrati), mentre in Italia è stato pubblicato solo nel 2014 ed è stato inserito nella terna finalista del premio Andersen 2015 per i migliori libri mai pubblicati.
Dice l’autrice nel libro:
« Scrivo queste righe, ho paura, lo faccio con parsimonia, con eccessiva prudenza. Scrivo perché mi sembra necessario».

Geneviève Brisac, in Italia semisconosciuta, in Francia è quasi un’istituzione sia nella letteratura per ragazzi che in quella per adulti. Oltre che autrice, dirige una collana di libri per la casa editrice L’école de loisir.  È stata insignita della carica di cavaliere delle Legion d’onore e ed è Comandante dell’ordine delle arti e della lettere.

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