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Petrolio fritto

Creato il 28 novembre 2014 da Albertocapece

fracking-protestA volte devo darmi dei pizzicotti per essere ben sicuro di non stare sognando. Solo un delirio onirico potrebbe giustificare il fatto che alcuni giornali, in testa The Press, organo della Chrysler corporation, nella sua edizione provinciale intitolata La Stampa, possa interpretare la decisione dell’Opec di non diminuire la produzione di petrolio, come una sorta di complotto contro gli Usa. In realtà questa decisione, imperniata su quella dell’ Arabia Saudita, è stata da mesi suggerita e anzi forzata proprio da Washington per colpire la Russia la cui economia dipende fortemente dall’export di petrolio e gas, ma anche quella di nemici minori come Venezuela e Iran.

Né si può seriamente sostenere che questa scelta di lasciare intatta la produzione e quindi di stabilizzare o diminuire i prezzi degli idrocarburi è anti americana perché mette in difficoltà le aziende Usa che si sono buttate sullo shale gas  e che ora navigano in mezzo ai debiti: è ovvio, Opec o non Opec, che quando si aumenta la disponibilità di un bene, come è avvenuto per gli idrocarburi da fracking, i prezzi tendono a calare. E questo ovviamente mette in crisi chi estrae petrolio e gas con costi doppi rispetto alle tecnologie tradizionali, aspettandosi che da un aumento della produzione globale sortisca un aumento dei prezzi.

E’ anche difficile pensare che gli Usa vogliano castrarsi per far dispetto alla Russia. Il fatto è che Washington sta cogliendo l’opportunità di crearsi un alibi esterno per sganciarsi dalla promessa di un nuovo eden  che  è stata assieme una decisione politico – strategica, sostenuta da promesse di occupazione, mai realizzate e  una bolla speculativa promossa dalla collaterale Wall Street, sostenuta da una enorme oltre che fraudolenta sovrastima delle quantità e da una sottostima dei costi. La realtà è un’altra: i giacimenti sono piccoli, poco efficienti e si esauriscono presto, richiedendo investimenti maggiori dei ricavi per mantenere la produzione. Inoltre le devastazioni ambientali, l’inquinamento delle falde e l’enorme sottrazione di acqua necessaria all’estrazione, stanno cominciando a suscitare l’opposizione delle popolazioni locali  immesse in una sorta di guerra per le risorse  idriche. Così è venuto il tempo di ridimensionare la bolla, come del resto ha già fatto Wall Street che ha congelato la breve ma intensa stagione di acquisizioni, fusioni e investimenti, chiedendo invece aiuto alla mano politica per tentare di esportare a prezzi convenienti per le neo corporation dello shale. Magari nella disgraziata Europa, spinta a privarsi dell’energia russa.

Come si vede le cose sono diametralmente opposte alla narrazione presentata dal foglio marchionnesco: la decisione Opec è in perfetta linea con i desiderata della Casa Bianca in funzione antirussa. Tuttavia è impossibile non vedere che i maggiori Paesi produttori e segnatamente l’Arabia Saudita stanno sfruttando il caos geopolitico creato dagli Usa stessi e le irrazionalità di mercato per ottenere una nuova autonomia e una centralità ben più marcata rispetto al passato. In due parole per mettere in crisi l’ordine internazionale i cui fili sono tirati da Washington: con rapporti di forza profondamente mutati negli ultimi vent’anni le logiche di azione sono diventate contraddittorie. Così l’Opec sembra fare un favore alla politica statunitense, ma fa soprattutto un favore a se stessa e nel sottolineare il ruolo più forte e autonomo fa un favore anche al grande rivale degli Usa, la Cina, che certo ha tutto da guadagnare da prezzi del petrolio insolitamente bassi nonostante le guerre che coinvolgono da vicino le più grandi riserve rimaste di greggio. E la Cina farà a sua volta un favore alla Russia comprendo gigantesche quantità di gas aggirando completamente il dollaro. Il mondo è sempre più multipolare e la resistenza di Washington a questa realtà, rischia il naufragio nell’incongruenza, nelle vittorie di Pirro di breve momento: la vicenda dello shale illustra magnificamente come sia ormai impossibile ottenere vantaggi univoci e come sia assurdo pensare di non subire le spiacevoli ripercussioni strategiche delle proprie tattiche .

Ecco perché gli Usa sono letteralmente terrorizzati dal fatto che l’Europa e/o i suoi maggiori Paesi possano svolgere un ruolo autonomo dentro questo cambiamento di paradigma e attraverso il trattato transatlantico stanno cercando di fare del continente una propria appendice economica e culturale, lasciando alle multinazionali – che del resto già determinano le politiche di Washington – il compito di spezzare le ultime resistenze.

 


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