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Piccola storia della WertKritik

Creato il 06 marzo 2014 da Francosenia

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Sono ormai passati quasi trent'anni, da quando la Scuola della Wertkritik (critica del valore) ha cominciato a sviluppare il suo progetto di terza teoria critica, pertinente alla terza rivoluzione industriale, a partire dalla relazione fra teoria e crisi. Quando la crescita del capitale - o, più precisamente la socializzazione del valore (Wertvergesellschaftung) - inizia a fermarsi, anche se lo fa solamente per un breve periodo, questo non equivale solo ad una crisi "economica", ma anche ad un'incipiente decomposizione di tutta la "pseudo-natura" che si è storicamente costituita intorno alla forma-valore ed all'espansione di tale forma immanente. Le crisi pertanto coinvolgono il lavoro, la politica, le nazioni, l'arte, la ragione e tutte le categorie della metafisica realizzata. Se poi la crescita raggiunge quello che è il suo limite assoluto, allora questo significa che tutte le categorie summenzionate sono condannate e si trovano, a lungo termine, al di là di ogni possibilità di salvezza. E, cosa più importante di tutte, non sono in grado di fornire alcun tipo di orientamento che possa contribuire alla ricerca di una via d'uscita.
La crisi crea un divario fra il feticcio e l'esperienza: la teoria del carattere di feticcio della merce, venne sviluppata da Marx nel primo libro del Capitale, mostrando come la forma-merce svolga il ruolo di mediare le relazioni umane rendendole relazioni fra cose, "cosificandole". Il feticismo non va inteso come una sorta di ossessione per le merci in sé, bensì come un'esperienza in cui intendiamo la società produttrice di merci come naturalmente data. Ciascuno interiorizza nella propria coscienza il suo ruolo di soggetto sul mercato delle merci al fine di poter sopravvivere in un mondo basato sul lavoro salariato. Quando si manifesta la crisi, avviene allora che i feticci non sono più in grado di spiegare le situazioni quotidiane. Il pensiero riesce a riconoscere la crisi in due modi: o come ideologia o come critica. Entrambe possono essere comprese come una risposta all'esperienza della sofferenza, all'esperienza di una "vita danneggiata".
Ideologia significa affermazione: un pensiero che instaura una relazione affermativa rispetto ad una, o più categorie feticizzate. Di solito, queste categorie vengono giocate le une contro le altre: politica contro economia, lavoro contro capitale, arte contro industria, e via dicendo. L'ideologia interviene come abbondanza di visioni positive del futuro; nondimeno ogni ideologia è ideologia della crisi, l'ideologia stessa è un sintomo specifico alla situazione di crisi di una società costruita, o cresciuta, sull'auto-valorizzazione del valore.
L'alternativa all'ideologia si chiama critica. La precondizione di ogni pensiero critico è quella di assumere l'impossibilità a rimanere un soggetto, che immagina una comunità insieme agli altri, senza ricorrere a categorie feticizzate. La critica può cominciare solamente con quello che Adorno chiamava "non-identico", per cui non può essere assorbita dal feticismo. E non può essere ridotta né alla forma di pura teoria, né a quella di pura pratica: anche quando appare come teoria, lo fa solo nel tentativo di sostenere la propria negatività, una negatività che deve far fronte alla categoria stessa di "teoria": qualsiasi partecipazione alla competizione sul mercato della "teoria", la farà capitolare davanti all'ideologia. Per altro verso, se prova immediatamente a trasformarsi in pratica - facendo della teoria, la giustificazione di una certa pratica - perverrà allo stesso genere di capitolazione. La critica richiede, allo stesso tempo, distanza e vicinanza, nei confronti dell'oggetto della critica. La distanza può essere ottenuta solo per mezzo di una storicizzazione radicale, perciò la critica radicale è innanzitutto critica del feticismo, mentre la critica dell'ideologia è secondaria, sebbene sia indispensabile. Questo porta al fatto, per esempio, che non ci può essere nessuno spazio per una vera e propria critica della "ingiustizia", in quanto questa può essere formulata solo facendo ricorso alla categorie feticizzate; trasformando così sé stessa in ideologia.
Pur non definendo sé stessa come rappresentante di una "terza" teoria critica, la WertKritik fa comunque riferimento ad una tradizione nella quale i due precursori sono Karl Marx e Theodor W. Adorno che avrebbero formulato, schematicamente, una "prima" e una "seconda" teoria critica, corrispondente, rispettivamente, alla prima e alla seconda rivoluzione industriale. In quele due epoche, i teorici critici si confrontavano con una modernità in espansione: il capitale funzionava come valore auto-valorizzante, anche se saltuariamente veniva colpito da periodi di crisi che, dopo un po' di tempo, erano seguiti da nuovi cicli di crescita che facevano apparire il capitalismo come l'eterno ritorno dello stesso, anche agli occhi di quei critici che lottavano per superarlo.
Nessuna delle due precedenti teorie critiche ha dovuto però confrontarsi con la realtà che si è materializzata a partire dalla terza rivoluzione industriale, basata sulla microelettronica e sulla digitalizzazione. Negli anni 1980, ci sono stati marxisti come Fredric Jameson e David Harvey che si sono riferiti a questo, descrivendo tale realtà come "post-modernità"; la WertKritik preferisce definirla come "crollo della modernizzazione".

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L'inizio della WertKritik può essere fatto risalire al 1986, con il primo numero di Marxistische Kritik, una rivista che dopo pochi anni avrebbe cambiato il suo nome in "Krisis". Quel primo numero conteneva un saggio programmatico firmato da Robert Kurz e nel quale veniva affermato che il capitalismo stava per entrare nella sua crisi finale. La semplice ragione per cui questo avveniva, era data dal fatto che la terza rivoluzione industriale aveva incrementato la produttività nella produzione di merci ad un tale grado che la creazione di plusvalore relativo non poteva più aumentare, ed avrebbe cominciato a cadere. Il capitalismo diventava impossibile, a meno che non si scavasse la fossa emancipandosi dal lavoro. La fuga di capitale dal settore dell'accumulazione reale verso la speculazione finanziaria era solo il sintomo di una generazione di plusvalore in stallo (si può notare il fatto che il 1986 non segna solo l'inizio della WertKritik, ma è anche l'anno in cui i mercati finanziari di tutto il mondo si connettono in un solo singolo sistema: un evento che è stato definito "Il Big Bang", e a cui David Harvey ha riservato la sua attenzione in una recente opera sulla teoria della crisi - L'enigma del capitale (2010) - Feltrinelli 2011).
Già prima della caduta del blocco dell'Est, la WertKritik non considerava l'Unione Sovietica e gli altri stati "socialisti" una fallita alternativa al capitalismo, bensì un tentativo, risoluto e tardivo, da parte degli Stati, di ottenere una più forte posizione sul mercato mondiale della competizione capitalista. Ad ovest. come ad est, "socialismo" rimane essenzialmente un aggettivo da apporre a tutti i tipi di categorie feticizzate, in modo da legittimare il fatto che continuino ad esistere: politica socialista, economia socialista, cultura socialista, stato socialista, crescita socialista, lavoro socialista, ecc.
La rottura definitiva, fra la Wertkritik ed il marxismo esistente, avviene nel 1989, quando Robert Kurz pubblica un articolo dal titolo "Der Klassenkampf-Fetisch" (Il feticcio della lotta di classe), in cui sostiene che sì, c'è un antagonismo fra lavoro e capitale, ma questo antagonismo è quello del prodotto e  del mercato, che è essenziale per il capitale, allo stesso modo per cui gli è essenziale l'antagonismo fra capitalisti in competizione fra loro. La lotta di classe è solo una manifestazione della competizione universale dentro il capitalismo, e perciò non è capace di portarcene fuori. La WertKritik, piuttosto, è alla ricerca di una via d'uscita dalla società costruita sul lavoro astratto , e questo, intorno al 1990, diventa un tema centrale per il gruppo costituitosi intorno alla rivista Krisis, che, nel 1999, raggiungerà una certa fama, con la pubblicazione del loro "Manifesto contro il lavoro".
La critica del lavoro viene ampliata, attraverso una critica delle forme feticizzate di anti-capitalismo che cercano di contrapporre un "lavoro decente" ad un "capitale indecente", e queste includono non solo una critica del marxismo tradizionale, ma anche quella delle varie idee a proposito di una "economia alternativa", basate sull'abolizione dell'interesse e sull'abolizione del copyright. In questo contesto, Kurz affronta la relazione fra ideologie antisemite e la forma-valore.
La WertKritik si caratterizza per una posizione strettamente anti-politica, laddove nella politica si verifica un cortocircuito della critica. La ragione politica intende definire obiettivi e rappresentare interessi, ma questi obiettivi e questi interessi possono essere espressi solo all'interno della categorie immanenti alla metafisica del valore e, alla fine, la politica non può avere altro obiettivo se non quelli della totalizzazione della forma-merce e della trasformazione di tutte le relazioni umane in relazioni fra soggetti legali.
Formulata la critica fondamentale del lavoro e della politica, Kurz cerca di radicalizzare ulteriormente la WertKritik nei termini di critica fondamentale della soggettività, della ragione e dell'Illuminismo, abbandonando alcuni rimasugli del pensiero hegeliano (come il concetto di Aufhebung) e, in nome della negatività, rigetta l'idea di "dialettica dell'illuminismo: così come la prima teoria critica degenera nell'ideologia quando si gioca lo Stato contro il Capitale, la seconda teoria critica si caccia in un vicolo cieco quando approccia l'Illuminismo e si gioca i suoi ideali contro la realtà.

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Come la critica del lavoro vede un doppio Marx, così ci sono due Adorno; uno che afferma la soggettività e uno che rimane fedele alla critica negativa. La soggettività è, secondo Kurz, la forma in cui l'individuo umano viene condizionato dal feticismo delle merci. Nella misura in cui le persone agiscono come soggetti, esse sono prigioniere all'interno di una dialettica fra il soggetto e l'oggetto che può essere distrutta solo da "individualità organizzate", le quali possono essere in grado di intensificare la critica fino al punto di una "rottura ontologica" che possa mettere fine alla modernità nella sua interezza. Oltre questo punto, la teoria critica non può dare altre indicazioni. La distruzione della forma-valore non libera alcuna forma incatenata, né il "lavoro, né la "vita". Tuttavia, Kurz ha parlato, qualche volta, di come immagina un processo che vada oltre il capitalismo. La liberazione - questo è fondamentale - non può mai essere costruita sulla proibizione, perché la proibizione del feticcio porterebbe essa stessa ad una degenerazione nel feticismo. La distruzione dell'esistente può solo avvenire per confutazione pratica, ed il processo non consiste nel distruggere tutto quello che di vecchio esiste. La liberazione viene descritta piuttosto come un faticoso percorso di selezione, basato su criteri che non possono essere definiti in anticipo, ma solo nel corso processo di abolizione del capitalismo. Le individualità organizzate dovranno venir fuori e giudicare tutta la storia della potenza produttiva e delle tecniche culturali, di cui si potranno appropriare o decidere di rigettare. L'origine storica di qualsiasi cosa - che sia un'opera d'arte, un'innovazione tecnologica, una figura di pensiero - non può essere alla base del giudizio. Nel momento della trasformazione, tutte le cose vanno giudicate secondo il medesimo standard emergente, senza aver cura se esse siano sorte nel corso di una qualche fase del capitalismo o se siano state ereditate da una formazione sociale pre-capitalista. Questa trasformazione, con ogni probabilità, implicherà la resurrezione di alcune delle potenzialità delle società agrarie che sono state annullate dal capitalismo.
Intorno alla fine del secolo, la Wertkritik è diventata una critica fondamentale della civiltà esistente. A questo punto, alcuni membri del gruppo intorno alla rivista Krisis hanno cominciato a pensare che Robert Kurz fosse andato troppo lontano e i conflitti nel gruppo si sono intensificati, finché, nel 2004, la scissione è diventata un fatto, ed il gruppo che si era costituito intorno a Kurz ha lasciato Krisis ed ha fondato una nuova rivista, Exit!.
A livello teorico, questo conflitto si è principalmente giocato in quanto disputa circa lo stato del femminismo. Per Exit! diventava necessario andare oltre la semplice WertKritik, al fine di cercare di sviluppare una meta-teoria critica: la Wert-Abspaltungskritik (traducibile, più o meno, come "critica del valore-secessione"). Mentre la forma-valore è di per sé totalizzante, essa non riesce però a diventare totale. Per esistere, ed espandersi, il valore deve avere il supporto della sua propria ombra, che consiste in tutto ciò che viene escluso dall'essere scambiato. La precondizione, per la vita umana sotto il capitalismo, è che ad alcune attività - quelle associate all'amore, alla cura di sé e alla sensualità - venga concesso uno speciale tipo di statuto. Questa sorta di riserva appare essere largamente coincidente con quanto viene considerato "femminile". Sebbene questa teoria funzioni ad un alto livello di astrazione, ci dà effettivamente una spiegazione per il perdurante dominio di un dualismo dei sessi nel contemporaneo ordinamento di genere: è davvero una meta-teoria che sottolinea come il valore e la sua secessione vada inteso allo stesso livello di astrazione. Di conseguenza, non è un'altra teoria su come dietro il patriarcato ci sia il capitalismo ma, piuttosto, si tratta di uno sviluppo della critica del femminismo marxista, così come è stato formulato da Roswitha Scholz (scrittrice, prima in Krisis, poi in Exit!). In seguito, Kurz ha fatto anche una serie di tentativi di capire come anche l'attività artistica attui una "secessione" dal capitale. Un simile "upgrade" teorico ha fatto sì che Exit! rimanesse sempre un progetto sperimentale e radicalmente in continua costruzione, dove anche la polemica contro gli ex-compagni conferisce allo stesso tempo più ruvidezza e più brillantezza, cui ha contribuito la radicale estraneità di Kurz agli ambienti radicali dell'arte, dell'attivismo e dell'accademia.


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