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Pietà

Creato il 13 settembre 2014 da Jeanjacques
Pietà
Una delle cose che ricorderò maggiormente di quella triste esperienza che è stato il recensire film per il sito UpperPad, è stato quando ho [vanamente] cercato di imprimere una certa ottica nello scegliere i film. Perché ero stufo di recensire i soliti blockbuster o le stesse commedie indie americane che venivano proiettate per chissà quali ragione, volevo spostare l'attenzione verso il mio amato oriente, verso una cinematografia più 'autoriale' - termine che solitamente non amo, ma capitemi - che potesse mostrare a chi ci leggeva un panorama ben diverso da quello che ci veniva proposto dalla tv o dai quotidiani con spot e pubblicità martellanti. Che se The Avengers o Il cavaliere oscuro - il ritorno  - ma anche, orrore degli orrori, Biancaneve e il cacciatore - erano usciti nelle sale tutti lo sapevano, ma di certe pellicole rimaneva sempre una strana ombra di vaghezza nonostante fossero stati diretti da grandi registi. Avevo quindi fatto tappa verso il miglior cinema della mia zona per poter parlare del controverso Cosmopolis, poi di Amour e, infine, di questo Pietà di Kim Ki-duk, il primo film del regista sudcoreano che vedevo al cinema. Motivo per cui lo attendevo con una certa ansia, perché vedere al cinema le pellicole dei tuoi autori 'feticci', specie se sono le prime alle quali riservi questo trattamento, hanno quel nonsoché.

Kang-do è un corpulento sicario che lavora per conto di uno strozzino, se una persona non riesce a ripagare il suo capo, lui li 'spiezza' in modo da fare dei soldi con l'assicurazione. Un giorno operò una donna di mezza età entra nella sua vita, affermando di essere la madre che non ha mai conosciuto. Ma è davvero così...?

Parlare di questo film per me è molto difficile. Il plot è qualcosa di estremamente intrigante, con quella sua ambientazione degradata e un protagonista così borderline che a me fa sempre effetto. Ammetto, con tutta la modestia possibile, che mi sarebbe piaciuto molto scrivere una storia simile, perché ha tutte le cose che per me ci vogliono per fare una sana storia. Delle implicazioni morali estremamente delicate, un personaggio che deve mettersi continuamente in discussione, il rapporto coi genitori e una dose di violenza abbastanza estrema che non fa mai male, se usata dignitosamente. Eppure c'è qualcosa che, una volta che hanno iniziato i titoli di coda, ha iniziato a rodermi dentro il cervello e a non farmi promuovere a pieni voti questo film. Che non è un brutto film, sia chiaro, è solo che non tutti gli elementi hanno una loro circolarità - o per dirla alla carlona, non tutti i nodi vengono al pettine. Anche se non devono averla pensata come me i giudici del Festival del Cinema di Venezia, che nel 2012 gli hanno dato il Leone d'Oro come miglior film, suscitando però molte polemiche in merito. La cosa mi consola, perché dimostra che forse [e ripeto, forse] non sono un tale cane nel dare giudizi cinematografici. Eppure il film rimane lì, con la sua storia bellissima ma che però continua a non funzionare, perché avere una bella storia fra le mani non basta, anzi, è il primissimo step di molti processi creativi che portano la risultato finale. Qui invece abbiamo un film che non convince per l'eccessiva estremità dei suoi elementi, immessi però in un contesto così realistico e sporco, unito a una narrazione che non porta al risultato sperato. Pensiamo a quel capolavoro assoluto che è stato Old boy - ma quello di Park Chan-wook, non l'Old boy di Spike Lee - che con questa pellicola ha in comune il tema della vendetta, tema che sembra ossessionare i coreani da sempre: lì la storia era estrema e tutto quanto, ma era pervasa da un'ironia perversa e da una messa in scena irrealistica ed estremamente manierista, cosa che si sposava bene con l'orrore che il regista voleva raccontare. Qui la telecamera del buon Kim ha sempre la solita grazie e il solito taglio registico semplice e delicato, ma con quello che vuole raccontare c'azzecca ben poco. Anzi, posos dire che in alcuni punti si entra addirittura nel ridicolo e nel buonismo? Perché quell'ironia cruda in certi momenti mi è sembrata davvero fuori luogo, messa un po' a forza per smorzare una tensione che doveva rimanere costante e non alleggerita in alcuni punti, così la soluzione finale, a mio modesto parere, avrebbe avuto maggiore effetto. Senza contare che qui si parla di un uomo che sta per trovare una propria redenzione, anche dopo aver fatto una vita di malefatte. Certo, lo dico sempre, giudicare è come galleggiare e quindi tipico degli stronzi, però tra il non giudicare e il perdonare un qualcosa totalmente c'è una bella differenza. Posso comprendere che una persona agisca in un certo modo per come ha influito l'ambiente in cui  vissuto, ma queste sono attenuanti, non totali elargizioni di grazia. Se commetti un crimine, devi pagare. E qualunque danno ti sia stato fatto, agire in certe maniere è solo da malati di mente. Quello che si viene a creare alla fine è un circolo vizioso senza né vinti né vincitori, che forse in un altro contesto avrebbe potuto essere la carta vincente di una storia dura e cruda, ma che qui - forse per limiti morali miei, ammetto - non ha l'effetto che l'autore voleva.

Comunque, un film che non mi sento di sconsigliare, perché Kim Ki-duk è sempre un autore che non scende a compromessi e che ha il suo innegabile stile fascinoso. E questo non è da tutti.

Voto: ★ ½

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