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Pirro Giacchi, Firenze – Rappresentazione del Teatro della Quarconia: Tragedia

Da Paolorossi

Firenze - Duomo -  Immagine tratta da Guida di Firenze di A.Bettini - 1864.Firenze – Duomo – Immagine tratta da Guida di Firenze di A.Bettini – 1864.

Ma ormai è tempo di gustare in parte una rappresentanza della Quarconia.
S’alza il sipario, e sta per recitarsi il Buondelmonte, tragedia del signor Corsi, emulo fortunato del signor Quaratesi perchè riscossa ognora più fischi e più patate addosso. Alle prime parole gli spettatori si risolvevano ad ascoltare o no. Quella sera si risolsero pel si, a cagione degli schiamazzi e delle insinuazioni della minoranza, che impose a tutti la stessa opinione. Da ciò si arguisce, che gli onorandi appaltati della Quarconia conoscevano il suffragio universale assai prima di Luigi Buonaparte.
Il Corsi autore, secondo il solito declamava da sé le sue tragedie, e sosteneva la parte di protagonista. In quella tragedia egli rappresentava Buondelmonte in persona, vestito da guerriero in corazza di fogli da impannata, dipinta a rabeschi, schinieri di cartone, cosciali di cartone, bracciali di cartone, ed elmo di cartone, ornato di penne di galletto. Si sentiva di lontano come un serpente a sonagli, e se in quella guisa avesse attraversato i boschi dell’ Imalaja, i selvaggi per terrore, l’avrebbero data a gambe : noi al contrario sapevamo che era un animale innocente.

Il primo atto piacque pe’suoi spropositi sino alla sesta scena; ma poi diventando spropositi comuni e già ripetuti, l’udienza non ne volle saper altro, e cominciarono i fischi e il batter delle mazze.
Il Corsi allora, così incartonato com’ era, anche col pericolo di una combustione, venne alla ribalta de’lumi, e disse.
— Signori! un poco di pazienza: il bello viene al terz’atto.
— Bravo ! bene ! (gridava 1′ udienza) al terz’atto, al terz’atto.
— Ma vedon bene lor Signori, che si salterebbe il secondo.
— Non importa: al terz’atto, al terz’atto.
— Mi pare però…
— Al terz’ atto, al terz’atto.

Era un inferno.
Fu forza dunque calare il sipario, e dopo un trescone del Masoni, rialzarlo al terz’atto. Il terz’atto spiccava per una lunga descrizione del Consiglio tenuto nel Palazzo della Signoria, sulla quale il Corsi fondava le sue più vive speranze. Se non che un verso ebbe a guastare ogni cosa, verso divenuto celebre, avvegnaché, come proverbio, sia restato in bocca di tutti. Dopo aver rammentato i diversi Ottimati, che entravano nel Salone de’Cinquecento, l’attore terminava l’elenco dicendo:  « L’ultimo a comparir fu Gambacorta. »
— Lo credo se fu l’ultimo ! con una gamba più corta! Fuori Gambacorta.
— Signori ! (esclamò fieramente il Corsi) sappiano che il Gambacorti, o il Gambacorta era un casato.
— Non è vero; era uno zoppo — Fuori Gambacorta: fuori, fuori.
— Ma (soggiungeva il Corsi) Questo personaggio non c’è tra i personaggi della mia tragedia.
— Non importa: si stacchi una Carrozza, e si mandi a pigliare in Palazzo Vecchio.
— Fuori Gambacorta, fuori Gambacorta , o si rompono i lumi.

L’impresario sapeva con che gente aveva da fare, e come era uomo di bei trovati e di buoni compensi, cacciò fuori dalle Quinte una brutta comparsa, che zoppicando fece il giro del palco scenico tra i più vivi applausi dell’ uditorio.
La tragedia potè quindi procedere liberamente sino in fondo.

Ma appunto in fondo saltò in capo al pubblico un’ altro ghiribizzo. Si era notato che Mosca Lamberti tramava insidie contro Buondelmonte; e siccome quanto questi era simpatico altrettanto riusciva odioso il Mosca, fu deliberato che Buondelmonte non fosse ammazzato né da lui, né da altri ; sicché dopo un’accesissima discussione, il buon Corsi, si dovette uccidere, a uso Saul, colla sua spada di legno inargentato.
Finita la tragedia, i bravo e i viva ebbero a sfondare il soffitto, e fu richiesta per la sera seguente.
Il Corsi, nonostante le varianti che era stato costretto a fare, gongolava di poter mettere sul cartellone « A richiesta universale. »
Egli fu chiamato agli onori del proscenio; e ci andò col restio, perchè sapeva come per lo più la faccenda andava a finire : pure questa volta non rilevò che un colpo di mela nel petto, il quale squarciò soltanto la corazza di foglio.
Cosi terminò l’esecuzione di quel capolavoro.

( Pirro Giacchi, “Reminiscenze notturne fiorentine” tratto da “Il Guazzabuglio ossia varietà di poesie e saggio di prose” , Firenze, 1875 )


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