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Piuttosto perdonare un brutto piede che delle brutte scarpe!

Creato il 23 settembre 2014 da Tiziana Zita @Cletterarie

manolo_blahnikCittà di Vigevano. A ridosso della rinascimentale Piazza Ducale, è possibile ammirare uno dei più grandi complessi fortificati d’Europa: il Castello Sforzesco. Questa è la prestigiosa sede del Museo Internazionale della Calzatura “Pietro Bertolini” che è l’industriale di fama mondiale, ideatore del progetto e donatore di una consistente fetta della collezione qui esposta.
Vigevano è nota per la imponente mole di scarpe annualmente prodotta e esportata in tutto il mondo. Basti pensare che nel 1930, epoca del suo boom economico, venivano realizzate 90 mila paia di scarpe al giorno.
Quattro sale – etnica, storica, stile e design e la Wunderkammer, o galleria delle meraviglie – tutte per esporre un unico gioiello: la scarpa. 

Nella sala etnica è possibile ammirare calzature provenienti da ogni continente, dalle scarpine cinesi per piedi rattrappiti, imposte alle donne di ceto elevato fino

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alla metà del secolo scorso per contenere la crescita dell’arto (un piedino di dimensioni ridotte induce a muovere piccoli passi, conferendo un’andatura fluttuante, estremamente seducente) ai sandali giapponesi “geta” – infradito con suola poggiata su elementi in legno, corredate da “tabi”, ovvero i calzini tipici – che immediatamente riportano alla mente gli esemplari indossati dalla splendida Zhang Ziyi nel film Memoirs of a Geisha.

Ma ci sono anche pittoresche babucce indiane con la punta all’insù, appartenute ai dignitari di corte e sandali africani dalla suola tanto piatta da far percepire la terra a contatto col piede nudo. Invece scaldano perfino il cuore gli stivali esquimesi in pelle di foca e le scarpette lapponi di renna.

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Scarpetta coreana

Stivaletti cinesi in seta per piedi loto d’oro, ovvero fasciati e deformati.
La lunghezza del piede doveva restare tra i 7 e i 12 centimetri.
A destra, Kotshin coreane rosse

Modello Carlo IX
Nel castello trascorse un periodo della sua vita Beatrice D’Este, adorata moglie del duca Ludovico Maria Sforza, detto il Moro. Inebriata d’arte e icona di stile della sua epoca, a lei è stata attribuita la pianella risalente al 1495, ritrovata nel corso di una ristrutturazione dell’edificio. Si tratta di un’esemplare con zeppa di legno, rivestito in pelle (antesignana dell’omonimo modello anni Sessanta) tipica calzatura in voga presso le corti europee del ‘400 e appannaggio unicamente di donne di alto rango.

Chanel
La sezione storica prosegue con l’esposizione di delicate scarpine veneziane di epoca settecentesca. Si possono chiudere gli occhi e immaginare candidi piedini comodamente avvolti da tanta armoniosa maestria. Luci di saloni in festa, dame dagli strabilianti costumi, torrioni di capelli e tessuti pregiati ricamati a mano dai tenui colori pastello: celeste chiaro, salvia, malva e seta grezza. E’ proprio il biancore della seta grezza il colore prescelto da Paul Poiret (che è stato il primo disertore del busto femminile) per le sue scarpe con fibbia, profilate in rosso cardinale.

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André Perugia, Hommage à Georges Braque 1931

Direttamente dal XIX secolo arrivano le scarpette da ballo e da passeggio per nobildonne. Strepitosi gli stivaletti in seta celeste con tacco a rocchetto tenuti allacciati da una fila di bottoncini di una tonalità superiore. Davvero da perderci la testa!

Avanzando è possibile ammirare le calzature in camoscio blu di Maria Josè del Belgio; i polacchini con ghetta del Duce, le scarlatte scarpette papali (gli esemplari appartenuti a Papa Ratzinger, a Giovanni Paolo II, a Papa Pio XI), e le deliziose scarpine da neonato del principe Umberto di Savoia.

Amatissimo dal fotografo Helmut Newton e protagonista dei suoi servizi fotografici in tandem col nudo femminile, è lo stiletto a cui è dedicata una importante sezione del museo. Un esemplare tra tutti: le décolleté in raso verde, appartenute a Marilyn Monroe.

New Look Dior 1947

New Look, Christian Dior, 1947

Ma come nasce lo stiletto? Siamo nel dopoguerra, non ci sono soldi per acquistare metri e metri di stoffa per realizzare abiti femminili e cosa fa il francese Christian Dior? Accorcia le gonne delle donne. E’ il new look 1947. Vite strizzatissime e gonne sotto al ginocchio necessitano di calzature adeguate. Viene così ideato un tacco sottile ed elegante. Inizialmente è in legno, facile a spezzarsi, ma è ben presto sostituito (nel 1953) da un tacco per metà in metallo.

Nella sezione dedicata allo stile e al design, si contendono il posto a colpi di creatività, i maggiori designer mondiali dal 1900 ad oggi.
Dallo storico André Perugia (primo celebre shoes designer) allo spagnolo Manolo Blanhik, molto amato dal jet set internazionale (tra i preferiti di Carrie Bradshaw), artefice della collezione indossata da Kirsten Dunst nel film Marie Antoinette di Sophia Coppola. A lui è stata donata nel 2009 la “scarpetta d’oro”, massima onorificenza cittadina per aver contribuito allo sviluppo del bacino calzaturiero.

Christian Loubotin
Christian Louboutin

Ancora, esemplari del parigino Christian Louboutin, rinomato per la suola rossa scarlatta delle sue scarpe, e del malaysiano Jimmy Choo Yeang Keat, molto apprezzato dalla principessa Diana d’Inghilterra.

Jimmy Choo
E poi Yves Saint Laurent, Giorgio Armani, Emilio Pucci con le sue vivaci figure geometriche, Marc Jacobs, Tokio Kumagai e le sue scarpette fiabesche con musetti di topolini e macchinine, Coco Chanel col classico paio di décolleté bianche e nere.
Seguono Roger Vivier, Andrea Pfister, Karl Lagerfield, Hubert de Givenchy (strepitosi i sandali in pitone arancione) e Christian Lacroix.

Jimmy Choo Yeang Keat

Degno di nota, il lavoro che il curatore artistico del museo, Armando Pollini, (shoes designer vigevanese di fama mondiale) svolge con competente dedizione. Correda il museo una fornita biblioteca a tema dov’è possibile trovare mirabilia in fatto di materiale storico e fotografico su ”scarpelandia”.

Museo Internazionale della Calzatura “Pietro Bertolini”


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