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Platini e Di Bartolomei – Punizioni dagli anni Ottanta (By Bruce Wayne)

Creato il 17 novembre 2013 da Simo785

Platini e Di Bartolomei – Punizioni dagli anni Ottanta (By Bruce Wayne)

Si è di fronte al possibile puro, quando il calcio di punizione deve essere battuto da distanza propizia. In primo luogo perché chi si incarica di eseguirlo può scegliere se impostare un’azione offensiva o se puntare dritto alla porta. Ed in secondo luogo perché, in entrambi questi casi, gli esiti possono essere diversissimi: gol, palla tra le mani del portiere, barriera che salta e salva la situazione, manovra offensiva stoppata dal buon funzionamento della difesa, manovra offensiva che beffa tutti e gonfia la rete, palla in fallo di fondo ecc. Non è lineare come un rigore, un calcio di punizione. Lì sai che c’è un ventaglio di possibilità tutto sommato limitato: qui no. Ed è per questo che gli specialisti, in questo genere di calci piazzati, hanno sempre un che di artistico, che li ha fatti rimanere nella memoria dei loro tifosi ben più di quanto non lo siano i grandi rigoristi.

Michel Platini? Non era la potenza il suo forte. Quando la distanza dalla rete superata i venti metri era abbastanza difficile che provasse ad infilare il pallone alle spalle del portiere. Ma quando aveva modo di puntare la porta c’era da tremare.

Ne sa qualcosa Franco Tancredi, il portiere della Roma di Nils Liedholm, che nel match Roma-Juventus dell’83-84 vide il pallone roteare leggero sopra le teste di tutti e viaggiare come una navicella spaziale che punta ad approdare su un solido terreno. Fu un volo quasi angelico, quello di Tancredi – una roba che un pittore avrebbe potuto dipingerci una pala d’altare per quanto era notevole –, ma non servì a nulla. La palla, dopo essersi innalzata fino a dare l’illusione di essere diretta sul fondo del campo, si abbassò quasi improvvisamente, regalando alla Juventus il 2-2 che le evitava la sconfitta.

E non tutti avevano la tenacia di Tancredi. Talvolta accadeva che il portiere rimanesse come esterrefatto, immobilizzato da un gesto artistico che si può solo contemplare ma sul quale non si può in alcun modo intervenire. È quel che accadde, ad esempio, a Giordano Negretti quando, durante Juventus-Lecce, nel 1985, vide Platini infilare un 3-0 (la partita si sarebbe conclusa 4-0) con una punizione che lo lasciò letteralmente impalato.

In questo era diversissimo, Roi Michel, dal compianto Agostino Di Bartolomei, capitano della Roma. A lui era infatti estraneo il gesto, la piacevolezza estetica dell’esecuzione. Il suo tiro era, semplicemente, l’esplosione di un candelotto di dinamite. La palla la vedevi prima che il calcio di punizione venisse battuto e riappariva alla tua vista quando si era spenta a fondo campo oppure in rete, alle spalle del portiere, ma nel lasso di tempo compreso tra questi due momenti si trasformava in una specie di luce bianca che attraversa l’area di rigore.

Ma questi sono solo due esempi di quel che può accadere di fronte ad un calcio di punizione. Mille altri se ne potrebbero fare, da Mihajlovic a Roberto Carlos, passando per “non-specialisti” comunque molto ferrati in materia come Totti e Zidane, sui quali sarà interessante soffermarsi in un’altra occasione…


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