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Poesie d'estate - Otto poeti letti da Rita Pacilio

Da Ellisse

Il tocco abarico del dubbio – Angela Caccia – Fara Editore, 2015Poesie d'estate - Otto poeti letti da Rita Pacilio

Molta poesia ha interesse a trasformarsi in un dialogo vivo e profondo tra le persone e le cose attingendo alla natura e ai valori esistenziali. I contenuti, quindi, diventano fatti tangibili che rievocano la memoria cogliendo sentimenti e necessità. Alcuni testi poetici passano dalla riflessione alla narrazione in modo ininterrotto così come accade per Il tocco abarico di Angela Caccia. Il contributo ideologico della silloge, divisa nelle cinque sezioni, approda in un universo poetico che sfida le tendenze creative, ma mira a evidenziare la propria fedele visione del mondo/poesia con l’utilizzo armonioso e intimista della voce ritmata/musicale. La scelta del racconto, in quanto movimento, consente a chi versifica di avere una locazione di privilegio rispetto a chi legge: infatti l’autrice cristallizza ciò che è mutevole nel nostro tempo, affinché tutto possa essere accessibile all’essere umano moderno. Tutto è incarnabile: le forme comunicative del dubbio corteggiano il grave peso del silenzio e della solitudine esistenziale e molto spesso ciò accade perché l’essere umano vive l’orfanità o l’abbandono del Mistero.

Fantasie

Lo stesso copione: piove.

È un tempo che strina a

puntino le piume

e poi le tarpa

serrate le porte

che il dolore non vada oltre.

Su di lui

come sciacalli

un girotondo di mosche.

Lo sguardo su una cartolina

profana il reticolo di falso

mi perdo nel notturno di un paesaggio

una carezza la colatura della sera

– quant’è quieta la luce di una finestra accesa! –

sono io quell’orma nel vicolo cieco?

io l’ammasso di venti senza scampo?

Anche qui

ulula un randagio

prega la sua luna

resta la notte.

*

E non è la mia pena

a mia madre

C’è un paese in me

che non conosci

periferia

fessure di cielo

si dimena

un vento di conchiglia che

maledice le sbarre.

Dove cadi nelle tue secche,

cosa popola la mente limosa,

difficile raggiungerti

esserti mano voce sguardo

si scioglie il grumo

– l’ultimo che ti tempesta –

e non è questa la mia pena.

Sei il verso già scritto

che ritorna,

un’ossessione

la mia compagna di viaggio

ma non è la mia pena.

Nell’ultima stesura del racconto

la tua penna scrive a tratti,

nel solco bianco le piume

di un’aquila che muore

e non è la mia pena

chi reggerà fino a lì il tuo passo?

*

Scemerà il vento

non riempirai più la finestra

cadranno le mie sbarre

sarai altro

altrove

nell’incavo di mani più grandi

(Angela Caccia è nata e vice a Cutro (KR). Tra i concorsi vinti: Piazzetta (Salerno), Siracusa, Feile Filiochta Internationale Poetry Competition 2003 (Dublino), Fiurlini (Olanda), Colapesce 2012 (Messina), medaglia Presidente Repubblica al premio Insanamente 2012 (Rimini), Convivio 2012 (Giardini Naxos). Nel Fruscio Feroce degli ulivi (Fra 2013, prefato da Davide Rondoni, ha vinto il Premio Massa Città fiabesca e il Concorso Città di parole Firenze; II class. al Premio Pascoli Barga; III class. ai Premi Di Liegro 2013 e Camposampiero 2014).


Poesie della fame e della sete – Francesco Iannone – Ladolfi Editore 2014

Poesie d'estate - Otto poeti letti da Rita Pacilio

Un buon libro di poesia non ha età perché dialoga continuamente con il passato e con il presente e sicuramente anche con il futuro. Un buon libro di poesia ha diverse esistenze perché riesce a delineare differenti tratti di generazioni e sopravvive alle idee, alle immagini. Ecco cosa accade quando la poesia è viva, sorprende, è forza espressiva della parola, è ‘un’operazione interiore’ (C. Mitosz). Francesco Iannone nel suo libro dal titolo Poesie della fame e della sete – Landolfi Editore 2014, impiega robusta immaginazione per narrare il mondo. L’autore tratta la quotidianità domestica e gli accadimenti familiari con meditazione e vitalità stilistica ora surreale, ora sacrale, quasi in modo fanciullesco, ma non puerile, come a voler entrare in contatto intimo con lo stupore, con la polpa più pura delle cose, così come solo la nervatura dell’animo del poeta può fare. Le intuizioni estetiche, i guizzi poetici, il verso essenziale hanno il potere di far trasformare gli oggetti e le persone: noi stessi diventiamo materia primaria del segreto, della visione che lavora nella mente del poeta. In quest’opera prima, l’arte realizza le proprie premesse e le svolge nella maniera più vera, piena.

Perché solo non morire conta

in quest’aria provvisoria d’autunno

che accarezza gli alberi e poi li spoglia

come fossero una donna bella.

La resistenza al nulla è una lotta

che lascia ferite e tagli

è un labbro squarciato da un pugno

è un figlio espulso da un utero contuso.

Ci sono case che accolgono chiunque

e finestre che restano chiuse per sempre.


*

Imito il crollo

di un tetto sconfitto dal peso

il laccio del vento stretto

intorno al collo delle foglie

imito il sole disceso

a far meno freddo l’inverno

a vegliarlo in silenzio nel sonno.

Tremare è utile, dici, conviene,

lo documentano le cose

tutte contratte in attesa dell’estate.

*

Ma qui, in questa vita, dimmi

se il colpire del vento significa qualcosa

se il volteggiare di un uccello nell’aria indica una via

e il sanguinare di quell’albero

ferito da un auto all’improvviso

perché non lo sana questo primo sole estivo?

Dimmi, ti prego,

se infine tutti insieme partiremo

e nei sedili stretti ci terremo

le mani come a stringere un patto

un fiore morto che riprende a respirare da solo.

*

Chissà se per sempre avremo

la disponibilità dell’erba a accettare un peso

la gioia dell’uccello sceso a baciare la terra

mentre piroetta in cerca di cibo.

E poi chissà se un giorno guariremo

da questo male che non placa, non perdona,

se ancora con le unghie gratteremo

le ferite vecchie fino a farle sanguinare di nuovo

se pure ascolteremo gli alberi cantare e i gerani

dai colori vari sorridere a primavera.

Chissà cosa genera un seme e poi perché

quel fiore muore, così, senza un motivo,

senza una ragione?

(Francesco Iannone è nato a Salerno nel 1985. Suoi testi sono apparsi su numerose riviste, fra cuiClanDestino, La Clessidra, Italian Poetry Review e Gradiva. È incluso nell’antologia La generazione entrante. Poeti nati negli anni ottanta (Ladolfi, 2011, a cura di Matteo Fantuzzi, nota critica di Massimo Morasso). Ha pubblicato la silloge Pietra Lavica sulla rivista Poesia, introduzione di Maria Grazia Calandrone. Poesie della fame e della sete (Ladolfi, 2011, 2012, 2014, premio L’Aquila opera prima, finalista premi Beppe Manfredi e Penne) è il suo primo libro. Collabora con la rivista Atelier).
Su Iannone vedi in questo blog anche QUI


Un’ombra lunga – Giovanni D’Amiano – Kaleidos Edizioni, 2005

La poesia ha anche il faticoso e meraviglioso compito di sollecitare il percettibile così da far riaffiorare alla coscienza, ciò che la ragione ha disdegnato. Giovanni D’Amiano nel suo lavoro poetico dal titolo Un’ombra lunga, Kaleidos Edizioni, senza utilizzare scorciatoie retoriche, senza pietismi, trascrive in poesia la voce/tensione estrema del mondo atterrito di fronte all’evento drammatico dell’aborto. Qui è il grido della coscienza di tutti gli uomini che urla. Si fa poesia il precipizio, la scelta, lo smarrimento dell’afflato paterno che è in ognuno di noi: il padre che procrea, che semina e che poi decide di rimuovere la vita in via di germoglio. Diventa poesia il disgusto di ciascuno di noi e la pietas liberatoria, catartica che ci libera e ci redime dal giudizio, dalla condanna, dall’orfanità a cui figli e poi padri siamo tutti destinati. Solo attraverso il lungo percorso del perdono, della rassegnazione lucida e meditata possiamo alleviare la convivenza con l’immaginario futuro a cui, necessariamente, siamo proiettati beneficiando e accogliendo i progetti che saranno, comunque.

Se, almeno, potessi un fiore

portare sulla tua tomba,

dove una piccola croce

indicasse il tuo nome …

Niente di più dolce

per il mio vecchio cuore.

Ma è sconto che il mio dolore

non merita,

poiché nemmeno ti ho concesso

una zolla brulla,

una croce, un fiore,

il miele delle lacrime.

Chissà dove, abbandonato e sperduto,

il tuo corpicino, senza pace.

Per sempre, preda di randagi.

*

Potevi essere acqua di torrente,

che precipita, gaia, dalle cime;

potevi essere vento di maestrale,

che gonfia cuore e vele ai marinai;

potevi essere arcobaleno o mareggiata,

carichi di energia e di stupore.

Avevi diritto d’essere mio figlio,

gratificato da favori e attese

della più generosa sorte.

Invece, proprio per mio diniego,

non sei stato nessuna di queste cose,

e tante altre,

di cui ti avevo favoleggiato.

*

Figlio mai nato,

figlio desiderato,

e rifiutato;

figlio senza bara,

figlio senz’acqua santa,

figlio senza loculo,

senza nicchia e senza croce,

nel camposanto.

Per volontà

del padre, feroce.

Figlio, non cercarlo.

Figlio, non perdonarlo.

Figlio, non chiamarlo,

mai, papà.

(Giovanni D’Amiano è nato a Volla di San Sebastiano al Vesuvio (NA) e vive a Torre del Greco.Ha esercitato la professione di medico pediatra, e si è interessato di pittura e di poesia, esponendo in mostre personali e collettive, e partecipando a numerosi concorsi di poesia.  Ha pubblicato: Più del pane alla bocca (1981); Occhi arrossati (1997); Un’ombra lunga (2005); L’anguria (2009); ’E pprete ‘e casa mia (2013). È presente nel volume collettaneo di poesie in vernacolo napoletano ’N’anticchia ’e Napule (1997); in alcune antologie: Poeti napoletani; Echi di poeti dialettali; Keffyieh, intelligenze per la pace; Ritratti; nella Rivista Poeti e Poesia. Partecipa attivamente a Reading di poesia).


I ricordi dovuti – Antonietta Gnerre – le gemme, Edizioni Progetto Cu

Poesie d'estate - Otto poeti letti da Rita Pacilio
ltura, 2015

I ricordi dovuti di Antonietta Gnerre, Edizioni Progetto Cultura (Le Gemme, Collezione di quaderni di poesia curata da Cinzia Marulli) ci immergono nel fertile terreno della poesia. Senza memoria o percorso consolidato alle spalle, infatti, non ci potrebbe essere conoscenza, frammento o ipotesi di rilevazione, giudizio, distinzione, confronto, dibattito o, addirittura, disappunto. L’autrice si confronta in modo interrogativo e materno con il mondo; il verso libero si scioglie, molto spesso, in prosa poetica, la quale disvela varie figure retoriche per ridimensionare espressioni simboleggianti la fede nell’inatteso, nell’imprevedibile, nell’indomabile. Ecco perché il ricordo diventa l’ancora, il rifugio, l’esempio, la preghiera, il naufragio, l’impatto da cui farsi entusiasmare per la ripartenza. Di fronte alle scelte e alle difficoltà, la memoria diventa un processo rieducativo, anzi oserei dire, la metafora consuntiva per il futuro, l’appello. La forza della natura, passionale e irrequieta, pone chi scrive nella prospettiva del cambiamento e Antonietta Gnerre sa bene che ciò che nel mondo produce scompiglio è la mancanza d’amore, il paradosso tra reale e irreale.

C’è una strada
in questo esilio che esploro
tra le ombre assegnate dalle piante
come pagina di un libro.
Non c’è altra vita.
Solo questa mi appare, telaio di me stessa.
Luogo che comunica lungo l’orizzonte,
sulle punte dei rami tranciati.
Attraverso ondulati pendii che conosceva mio nonno
e che conosce mio padre,
contando sulle dita le mie domande.
Questi campi sgualciti sono le mie radici.
Carne di una strada che mi porta ovunque.
*
Voglio scrivere una poesia per legarla a te
che attendi già da stamattina.
La sento respirare come un atleta.
Vuole gareggiare con ciò che è umano, non elusivo:
l’eco, l’ombra, un’onda sulla confessione a picco.
L’ammiro tra i sonagli dei perdoni che cadono
come scorie.
Il suo silenzio è pungente, esatto a te.
Mentre è un corpo con i rami del melo,
del mio corpo.
*
Il tempo divide i miei anni in traiettorie.
Già sono in movimento nella nuova stagione.
Tra le tante parti di me che ho seppellito.
Chiamo dal mio stesso corpo la bambina che sono stata.
Per vedere quello che avrei voluto essere. Un’altra donna
uguale e diversa da tutte le donne che sono nate.
Diversa da me. Sono nella vita, eppure nella vita muoio
trattenendo le foglie dei miei ricordi.
Muoio guardando i morti nel sonno,
nel tempo prima dell’alta marea.

(Antonietta Gnerre, giornalista pubblicista, poeta, scrittrice, critica  letteraria e studiosa della poesia religiosa. Ha pubblicato le sillogi poetiche: Il Silenzio della Luna (Menna,1994); Anime di Foglie (Delta  3, 1996); Fiori di Vetro- Restauri di Solitudine ( Fara, 2007); Salici di Seta- Il viaggio del Silenzio nei Poeti irpini (Il Silenzio della  Poesia, Fara, 2008); Preghiere di una Poetessa (Lo Spirito della  Poesia, Fara, 2008); il Saggio: Meditazione poetica e Teologica in  Mario Luzi (Delta 3, 2008); Ultimo sogno- Pianeta Terra (Poeti  Profeti, Fara, 2009); PigmenTi ( Edizioni L’Arca Felice, 2010); Come  un Albero di Gòfer, Strada Statale Ofantina Bis (Salvezza e impegno,  Fara, 2010); Cristina Campo – Il viaggio silenzioso e spirituale, Il  silenzio del diritto, saggi di Diritto e Letteratura, a cura di Felice  Casucci (ESI, Napoli, 2013).


Poesie d'estate - Otto poeti letti da Rita Pacilio
Misinabì, Giulio Maffii - Marco Saya Edizioni, 2014

Qualcuno ha scritto che la poesia è una febbre e questa espressione mi porta alla mente Klaus Kinski e forse anche molti lettori pensano alla famosa opera giovanile Diario di un lebbroso. Leggendo le venti poesie della raffinatissima plaquette di Giulio Mafii dal titolo Misinabì , Marco Saya Edizioni, 2014 ho pensato che è vero, la poesia è febbre, una febbre altissima, un picco in cui il genio poetico urla improvvisamente, senza preavviso. Questa esperienza, per quanto umana e quindi ipoteticamente condivisibile, non è permessa a chiunque. Solamente al poeta accade che l’io biologico ha necessità di fondersi all’io poetico che si contrappone e/o converge di fronte ai tentativi di convivenza/confronto. Riuscire ad aderire all’intensità meditativa dialogando con i personaggi del mito e riconoscendosi nei luoghi mitologici consente all’autore di riprodurre immagini sospese tra mondi e vite, affinché possano continuare ricerche, unità e culture. La morte, tematica/traino di tutto il percorso in versi, non deve apparire lacerante separazione, ma possibile ricongiunzione, interrogazione e spiegazione per ritrovarsi e riconoscersi oltre la ferita corporea insanabile. La simbologia della saga ha profonde radici e comprende la complessità dell’animo dell’autore che sottende più mondi, più sensibilità, più avvenimenti. La poesia qui ci permette di osservare e ascoltare in modo differente: essa acuisce la nostra percezione delle cose e agisce come un linguaggio comune capace di riflettere sulla contemporaneità attraverso simboli e cicli vitali, assonanze e metafore. È davvero importante soffermarsi sulla privazione, sulla mancanza, sul precetto, sulla nostra evoluzione materica e spirituale: credo che troveremo sempre dimora nel mondo fino a quando ci sarà chi avrà cura di svelarlo con tanta sincerità e visione!

I

Scendemmo poi
con le briciole piene di tasche
e l’ansia delle saracinesche nell’ora di chiusura
o quando taci
precipitammo quindi
costola su costola
e dalla grotta uscirono
quelli che si erano fatti umani
Quante lapidi di polvere
e ancora verbi e parabole
-ascolta il respiro delle pietre-
tu come allora dicesti noi
ma ero già dimenticato
Non ricordo
non ricordo la direzione
segnata dai pali della luce
dalle semplici scarpe
-ho visto il tuo corpo
l’ho visto con la mandibola felice-
e tutto intorno
questi strappi di universo
le molecole di un abbraccio
mai giunto a destinazione
Guardi la traiettoria della chiave
già sei nel deposito di ruggine

II

Quanta accortezza nel dividere
lo sperpero corrotto del tempo
Cupio dissolvi questa origine di piombo
mentre trascini domande e soluzioni
Scendemmo ancora
verso la base del fiume
perdemmo gli occhi e il senso della luce
Cosa dovevamo fare dei sacchi di caffè
se non potevamo leggerne i fondi?
Così per caso
senza molte alternative
la noia nella macchina delle foto
Ti inchiodai al vuoto
per mostrarti l’equilibrio

VIII

Ci adoravano i leoni e i leopardi
ci accompagnavano nel deserto
e dentro le cavità oculari
o nel vecchio olio di nardo
un cordone ombelicale
una fune per gli specchi
la filiera dello sviluppo
erede herescheros
Volevi fossi folla
ero soltanto il respiro della siepe
in attesa dell’inganno
che portano le tregue
un eremita borghese

XVIII

Quindi il godimento rovinoso
l’incestuosa legge della parola
onanistica orante e criminale
Ci travestimmo di santità
nell’aspersione degli ormoni
e scendemmo ancora
sognando camposanti ripieni
come tavole domenicali
-lo scopo portare un fiore di sambuco alle loro case-
per vituperio
per lo scudiscio che batteva la misura
aggrappati agli escrementi del cuore
alle bestemmie devote
alle stanze vuote
Uscimmo e rientrammo
leggendo una quarta di copertina
dove gli eventi succedono
a chi li sa raccontare

(Giulio Maffii ha diretto la collana di poesia contemporanea e plaquette per le Edizioni Il Foglio esvolge opera di traduzione poetica. E`statouno degli organizzatori italiani del  festival mondiale Palabra en elmundo. Collabora con la rivista “Carteggi Letterari”.  Ha all`attivo diverse pubblicazioni tra  cui“L`umiltà del poco” (2010 Akkuaria) e “L’odore amaro delle felci” (2012 Ed.dellaMeridiana) con cui ha vinto il premio Sandro Penna per l`inedito e “Agli zigomi delle finestre” (2013 E.P.C). Nella sua produzione c’è anche la raccolta di racconti “La caduta del tempo” (2008Il Foglio). Suoi lavori sono stati tradotti in spagnolo, inglese e romeno. Nel 2013 è uscito per Marco Saya Edizioni il saggio breve “Le mucche non leggono Montale”, una corrosiva visione del mondo poetico. Nel 2014 dopo aver vinto il Premio Castelfiorentino con “Arischerasse – Novella di guerra-”, poemetto sulla guerra tratto da una storia vera, ha pubblicato sempre perMarco Saya Edizioni “Misinabì”sua ultima opera poetica. Sempre nel 2014 un suo saggio “ L’Io cantore e narrante dagli aedi ai poeti domenicali: orazionpicciola sulla parabola dell’epos” è stato pubblicato da Bonanno Editore nel volume “Con gli occhi di Giano. Narrazioni e unità delle scienza umane”, a cura dell’antropologo Paolo Chiozzi, di cui Maffii è stato allievo e collaboratore).
Su Maffii vedi in questo blog anche QUI


Dove si posa il bianco - Floriana Porta – Sillabe di Sale Editore, 2014

Poesie d'estate - Otto poeti letti da Rita Pacilio

La poesia può accadere anche come aspirazione e struggimento di desiderio, come risposta ai grandi temi: per questo parla di sentimento, di vita, di morte, di riscatto esistenziale o di presa di coscienza. Nessun’arte può nascondere azioni ed eventi, perché l’arte articola il suo pensiero attraverso la sua stessa azione e il proprio linguaggio. Questo afflato poetico accade nel libro di Floriana Porta, Dove si posa il bianco - Sillabe di Sale Editore, 2014, in cui l’autrice, in modo fresco e con scampoli romantici, descrive gli amori e lo stupore di ciò che si muove intorno all’esistenza.

E PIÙ OLTRE

Sovrapporsi,

immaginando parole

perdendoci nel nulla.

Respirandone l’odore

e il piacere taciturno

fuori campo, abbracciandosi

a perpendicolare sul vento

e più oltre.

*

DOVE SI POSA IL BIANCO

Ragnatele di luci

ingialliscono ai due estremi

di una preghiera.

Con lo sfiorare l’inverno

fuori di noi,

dove si posa il bianco.

*

QUI, DOVE IL VERDE NON PARLA

Sei una corolla recisa

che marcia nel vento

densa d’echi reciproci.

Una dea lunare

che agisce di nascosto

nella luce sempre viva,

in una terra di verità

piena di passi.

Qui, tra le belve e gli alberi,

dove il verde non parla.

*

Tempo pulsante,

nell’orbita di fiori.

Sguardo immenso.

---

Piove, fa scuro.

Mille solitudini

chiamate strade.

---

In ogni luogo

universi smarriti,

ingarbugliati.

(Floriana Porta è poetessa, fotografa e pittrice. Le sue poesie sono apparse in diverse antologie e hanno avuto riconoscimenti in premi letterari nazionali. Ha pubblicato due sillogi di poesie e haiku:  Verso altri cieli (Digital Book - Edizioni REI, 2013) Quando sorride il mare (AG Book Publishing, 2014) Dal 2011 è membro della giuria del prestigioso Concorso Internazionale di Poesia Haiku promosso dall’Associazione culturale Cascina Macondo).

Quattro passi nel buio – Guglielmo Marino – La Vita Felice, 2015

Poesie d'estate - Otto poeti letti da Rita Pacilio

Le vicende umane, tutto ciò che appartiene al mondo, non è proprietà esclusiva della bellezza e del sentimento. C’è uno spazio umano/sociale circoscritto da un perimetro buio, preoccupante, le cui immagini/istanze sono regolate da colori forti o da suoni sincopati. Immergerci, mediante l’immaginazione visionaria, negli interrogativi o nei moniti dei Quattro passi nel buio – Guglielmo Marino – La Vita Felice, 2015, ci consente di incunearci in una territorio pensante in cui prende spessore l’ontologia del reale e la dimostrazione materica del senso della vita, del suo ciclo, del necessario compito del detto in riferimento al non detto. La poesia è ulteriore strumento per descrivere e denunciare, contraddire, urlare: camminare nel buio, nei frammenti infelici, nella solitudine, per disegnarne un nuovo itinerario possibile.

Sublimo l’ora felice del divenire
mi piego stanco per la lunga corsa
seggo stupito a osservare il lago d’inverno.
Orrido baratro di cigni e morette
dal corpo freddo e dagli arti tuonanti
smuovono malta assurda e onde ritmiche
terra nelle scarpe e sudore freddo alla fontana.
Siamo giunti.
Muto mi delizio alla cavalcata delle Alpi.
*
Spari, sangue, catene, schiave.
Tu credi al mondo
mentre la tua libertà dispone
e tutto tace.
Il mare avrà solo un lamento
indomabile e saggio.
*
Tossica improbabile giovane femmina
ti voglio adesso
a un quarto all’una.
Ti voglio adesso
prima dei dubbi della notte
prima che passino le due
le tre...
*
Amo essere ombra.
Sotto una casa bassa
in fronte alla mia.
Avvizzita prima d’essere fiore,
coricata prima d’essere amore.

(Guglielmo Marino è nato a Milano nel 1971. Cura ed è curato dalla sua chitarra, dai bonsai e dalla poesia. Assieme a quest’ultima, esordisce con l’opera prima Quattro passi nel buio).


L’alba dei papaveri – Adua Biagioli Spadi – La Vita Felice, 2015

Poesie d'estate - Otto poeti letti da Rita Pacilio

L’intenzione poetica si accosta, in alcuni casi, a correnti intimistiche facendo prevalere contenuti introspettivi e contemplativi. La ricerca e le tensioni, così come avviene per il simbolismo francese, per il modernismo spagnolo o per i crepuscolari italiani, confluisce nella meditazione del mistero della vita. Adua Biagioli Spadi nella silloge L’alba dei papaveri –– La Vita Felice, 2015 mette a confronto la propria esistenza con la sostanza della poesia che è nelle cose dell’universo. Compie un gesto di comunione e approda, senza porsi limiti e confini, in spazi e verità, per porsi in ascolto del prodigio e dei ritmi vitali. L’autrice non cade in moralismi o in materia intellettuale quando peregrina per i territori fragili della realtà. Non si lascia travolgere da esperienze malinconiche che pur segnano il suo passaggio negli anni in cui dipinge e declama gli intrecci e le intermittenze dell’animo puro e combattuto. Il suo spirito libero si rivela passionale e generoso, e sembra rifugiarsi in un mondo del ricordo, dell’attesa in cui solo la parola d’amore può sconvolgere il vero su cui si riversa.

Rosso
Mi affaccio nel rosso rubino
del rosso.
I battiti silenziosi tendono,
esplodono fuori
dal dentro,
dove lava lavora
incessante
nel sordo suono irrisolto
d’ irrequietezza che mi resiste.
Il rosso è un lago di porpora:
imprigiona con la materia
per liberarmi all’abbraccio dell’aria.
E parlo a lui quasi fosse un amore:
gli chiedo di non spegnersi
di non finire il caos del mistero;
gli chiedo di bruciarmi ancora e
ancora il volto
nelle fiamme del suo ardere.
Sì, il rosso è pietra che brilla nascosta
splende nell’organo di vita pulsante
non sa di un gelo che stermina
i fiori e li spezza.
Il rosso ha il gusto della passione
mirtillo e fragola intrisi,
può essere un sogno,
un danzante ondeggiare
di cui neppure ti accorgi.
L’assenza
Senti, come tutto quaggiù
si trasforma sotto la neve.
Il tetto spiovente è scivolo immacolato,
piegata di peso è la morbida frasca
pare onda appesa all’aria che gela.
L’azzurro bagliore mi sfugge
in opaca crosta di quercia
il fuori condensa perfino quella carezza.
Pure il mio restare in questo fermarsi
un istante biancheggia,
silenzio degli strumenti.
L’orizzonte è un altro e io
non arrivo mai.
Tutto sparisce
sotto la neve che copre,
tranne queste tue rose infuocate
che non so più guardare dentro,
nel profumo dell’assenza.


Pagina bianca
Ti osservo,
sottile come ostia
unica come nessuna
affacciata ai tuoi occhi
da dentro l’ antro
che non conosco.
Potente regina
smorzi il linguaggio scarnificato,
mistero e paura di un tuffo profondo
in cui sommersi vivono i coralli.
Sei come il futuro
come il passato
fondale addormentato.
Io mi sporgo
tenendo stretta le braccia
ai tuoi bordi,
fiume in eterno salire di un tutto
che riempie l’abisso.
Assomigli quasi al mondo
inventata per i pensieri,
invisibile mappa senza confini.

(Adua Biagioli Spadi (1972, Pistoia).  Maestra d’arte frequenta il corso di laurea in Lettere moderne presso l’università degli Studi di Firenze e, qualificata Operatrice culturale dal 1995, si dedica alla scrittura e alla poesia  Suoi testi sono presenti in numerose antologie e hanno ricevuto interessanti premi e riconoscimenti.  L'alba dei papaveri è la sua opera prima). 



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