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Poesie e Racconti #42 – Aspettare una Vita

Creato il 21 novembre 2012 da Dietrolequinte @DlqMagazine

una immagine di Immagine tratta dal film Umberto D. 1952 di Vittorio De Sica 620x456 su Poesie e Racconti #42   Aspettare una Vita

Oramai Dora si era abituata a quel signore solitario che se ne stava ore intere nell’angolino più buio della caffetteria, con lo sguardo perso e il sorriso che compariva a intervalli regolari, facendo ondeggiare le numerose rughe ramificate per tutto il viso. Poteva avere settant’anni come duecento, il tempo lo segnava in ogni parte del suo corpo senza dargli un’età precisa, quasi a volerlo condannare a una vita eterna. Dora un po’ ci credeva, alla sua immortalità, perché la vita non poteva pretendere che un vecchio così malandato si trascinasse tutti i giorni, con la pioggia o con il sole, per andare a posare le sue ossa tutte rotte sempre nello stesso punto. Sembrava davvero una condanna, una colpa da espiare, una pena sofferta. Un costante far niente, in modo ripetitivo, ossessivo, stancante solo a guardarlo.

Il vecchietto entrava spingendo la porta chino sul suo bastone e poi faceva mezzo giro su se stesso per accompagnarla con la mano, pur sapendo che non era necessario perché si sarebbe richiusa da sola; ma in quel gesto c’era come una gentilezza raffinata e commovente, come se quella porta non dovesse restare aperta più del dovuto. Salutava con una voce debole ma sempre gioviale, dicendo Buongiorno, magnifica giornata!, oppure Buongiorno, oggi c’è proprio un tempo miserabile!, e andava a prendere posto a quel tavolino che, misteriosamente, restava vuoto fino al suo arrivo.

Il vecchietto sembrava in perpetua attesa; quando si riprendeva da quel sonno apparente, dava una sbirciata all’orologio che portava al polso, poi sospirava e sprofondava di nuovo nella catalessi.

Dora un giorno si era avvicinata, spinta da una curiosità inarrestabile.

- Signorina, lei vuole veramente sapere chi sto aspettando?

Dora annuì timidamente, temendo di passare per maleducata; ma il vecchietto continuava a sorridere, ed era rassicurante.

- Sto aspettando una ragazza bellissima. È molto giovane, sa? Vent’anni. Questa sera andremo a ballare in un elegante posto sul fiume. Dovrebbe arrivare tra poco.

Dora non aveva saputo cosa rispondere. Probabilmente il vecchietto era già un po’ rimbambito e farneticava, o sognava ad occhi aperti un episodio che non si sarebbe mai potuto realizzare.

Ma nessuno l’aveva raggiunto al tavolino buio. Se n’era andato salutando con i suoi soliti gesti educati.

Il giorno dopo Dora l’aveva osservato con più attenzione, cercando di cogliere in lui qualche dettaglio che potesse tradire almeno uno dei tanti segreti che sicuramente nascondeva.

- Buongiorno, signor…? Mi scusi, la vedo sempre ma nemmeno so come si chiama. Ormai è un cliente affezionato.

Le rughe si dilatarono correndo impazzite fin sopra gli occhi.

- Mi chiamo Mario Barbieri, signorina. Molto onorato di fare la sua conoscenza.

Venne fuori che Mario Barbieri abitava da solo in un bell’appartamento di via Garibaldi, proprio a due passi dalla caffetteria. Viveva in mezzo a vecchi libri e fotografie, comunicando poco e dormendo quasi mai. Alla sera se ne stava in poltrona accarezzando il suo gatto.

- Ma presto verrà qui una ragazza bellissima… In verità adesso è già donna. Dipinge, sa? Mi ha promesso che mi farà un ritratto, così potrò conservarlo o donarlo a qualcuno… Mi dipingerà esattamente per come sono, senza aggiungere né togliere nulla. Lei dice che la realtà va rispettata, perché sarebbe stupido creare illusioni… Non è d’accordo?

Tra un caffè e l’altro, Dora faceva una piccola sosta al tavolino, per ascoltare la voce di Mario Barbieri. Quell’uomo aveva una fantasia sconfinata.

- Questa signorina diventerà presto mia moglie. Voglio farle vedere l’anello che le ho comprato…

Si frugava nelle tasche, per poi sbuffare risentito e ammettere di averlo lasciato a casa.

Dora se l’immaginava, quella casa: impolverata, piena zeppa di oggetti non toccati da anni, con un micio malandato che si aggirava tra le poltrone ridotte a brandelli e le tende logore. Ma le veniva spontaneo provare tenerezza anche al pensiero di un’esistenza così decadente. La polvere rotolava, tutto il resto rimaneva immobile.

- Signorina, lei non è sposata?

- Avrei dovuto esserlo, a quest’ora. Ma le cose non sono andate per il verso giusto.

- Sa, non è mai troppo tardi.

Detta da lui, che stava affondando sempre di più i piedi nella fossa, questa frase aveva qualcosa di comico e drammatico insieme. Quel giorno, Dora pianse un po’, rannicchiata dietro al bancone, prima di chiudere la caffetteria.

E, nel frattempo, cresceva in lei il bisogno di ascoltare nuovi pezzi di storie fantastiche.

- La prego, mi parli ancora di questa sua attesa.

- Oh, signorina, potrei aspettare tutta la vita senza stufarmi mai! Oggi aspetto con più ansia ancora… Una bellissima donna incinta… E spero tanto sia un maschietto, così gli insegnerò a pescare e a giocare con il pallone…

Quell’uomo credeva di essere un futuro padre e Dora cominciava a non trovarci nulla di strano. Anzi, sembrava lei la pazza, a dargli retta e a chiedergli come l’avrebbe chiamato e dove sarebbero andati insieme. Le rughe rispondevano sobbalzando e allargandosi.

Un giorno Mario Barbieri arrivò molto triste e si accasciò sul suo tavolino. Dora lo vide tirare fuori dalla tasca un fazzoletto appallottolato per poi soffiarsi rumorosamente un naso che non voleva saperne di smettere di gocciolare. Piangeva, disperato.

- Il bambino… Non c’è più… Il bambino non nascerà mai più…

Dora si era sempre trovata a disagio in momenti come quello; dover consolare qualcuno era un’operazione che richiedeva fermezza e dolcezza, era qualcosa di difficilissimo. Ma dover consolare un uomo che farneticava comportava uno sforzo enorme, insostenibile.

Quel giorno, Dora lo lasciò da solo al tavolino, e se ne vergognò profondamente.

Ancora una volta, fu lui a spiazzarla del tutto, il mattino dopo, quando con l’usuale sorriso tiepido disse Signorina, mi scuso per aver disturbato la tranquillità di questo locale, ieri. Non sono riuscito a trattenermi. Sa, i miei nervi sono molto deboli, ma dopo qualche ora torno come prima, esattamente come prima.

Dora venne a sapere che Mario Barbieri stava aspettando una donna con cui avrebbe dovuto partire. Un giro avventuroso per la Francia, perché lei amava i dolci e i profumi francesi.

- Sa, signorina, deve immaginarselo, l’odore della Francia. Io non so descriverlo bene, ma la mia signora sì… Dice che è un odore di burro e lavanda, dice che non esiste niente di più buono…

Le cose andarono avanti così ancora per un po’, senza che Dora riuscisse a scoprire l’identità di quelle molte donne. Le stagioni si susseguirono, i frullati presero il posto della cioccolata calda.

Finalmente, Mario Barbieri, un pomeriggio, portò con sé una foto.

Un’anziana signora sorrideva delicatamente sedendo in un giardino. Un tempo, doveva essere una bellissima donna.

Mario Barbieri se la rigirò tra le mani per tutto il tempo, sussurrando qualche parola ogni tanto. Quando ormai la caffetteria si stava svuotando del tutto, se ne andò, lasciando la fotografia sul tavolo.

- La ringrazio, signorina. Ora mi sento pronto. Le auguro una buona vita.

Aprì la porta, fece mezzo giro su se stesso e l’accompagnò. Si trascinò via col suo bastone, lento e serafico.

Il giorno dopo non si presentò alla caffetteria. Un gatto si aggirava lì davanti, fermandosi ogni tanto sulla porta.

Dora appese la fotografia dietro al bancone. Ogni tanto la guardava, felice di sapere che Mario Barbieri aveva portato a termine l’attesa di riabbracciare l’unica donna che avesse mai amato, una donna che era tante donne, ma una sola.


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