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Poeti siriani vi

Creato il 20 febbraio 2012 da Kengarags
POETI SIRIANI VI

Saniyya Saleh

Un milione di donne ti sono madre

Oh foresta dal mio cuore incendiata

avvicinati,

ignora quel che non si può tralasciare,

sussurrami in bocca

il tuo celato fruscio, nelle orecchie

e nei pori,

rivela la tua rivolta

e fiorisci

nella cupola perforata

di un corpo barcollante.

Non è forse duro l’inverno? Non lo sono anche

la pioggia e la tempesta?

Ma, oh, come sono belli

quando cedono il passo.

Non sapevo che la dimenticanza avesse le gambe

e se ne va e viene come un cavallo riottoso

che attende la caduta della rosa color bronzo

da lassù in cima.

Se gli cade sul dorso,

spicca il volo portandola con sé,

se gli cade tra le zampe

le sferra un calcio.

Oh, foresta che sei fiorita nel mio corpo,

non temere.

In te ho nascosto la mia anima

o tra due fessure forti come eserciti

(sebbene gli eserciti non ci conoscano e non si curino di noi).

Sprofonda la tua testa dentro di me,

penetrami

fino a far intrecciare le nostre ossa.

Vicine, una accanto all’altra

avviluppate come dualismo di cuore.

Toccami come Dio avrebbe toccato il fango

e in un baleno mi trasformerò in essere umano.

Come posso fuggire, tesoro,

quando le fiamme del mio cuore ardono in ogni direzione,

nelle parole e nei silenzi,

perché tu possa nascere un milione di volte

in epoche di stranezze ancora più grandi.

Oh mia bionda foresta, unisci come ferro

la mia paura e la tua, fa che le tue ossa entrino nel cavo delle mie

e poi tira dentro il resto del tuo corpo

ed entra.

Ti troverai davanti passaggi lunghi e stretti

e nel budello più angusto giace la verità.

Stai attenta e non dimenticare che lì ci vai

per urlare,

per rifiutare,

per non piegarti.

Guarda, avanzano gli spettri del mondo,

nasconditi

e sbircia dalle fessure delle finestre

o dalle toppe nelle porte.

Applaudi al passaggio di un dio

o arrampicati sui bordi delle camionette

E urla: il sangue della luna è del suo sangue

e la sua carne è del suo tessuto.

Ma quando verrai

così potrò dirti in segreto

chi è il vero dio?

Aspra lapioggia cantava una marcia militare

sparando pallottole contro le radici

(come potesti nascere in mezzo a tale battaglia?)

O Dio, comanda alla valle

di portarci alla fonte originale,

e alla montagna di portarci alla vera vetta.

Se la grande oscurità fugge dalla frusta

e la Verità giace supina sul pavimento del boia

e l’alfabeto si tramuta in leggi ingiuste

e i poeti diventano polvere sui tavoli,

piegherò il mio tempo e lo nasconderò nel tuo petto.

E se vedo la mia ombra, penserò di star strisciando

per rosicchiare il tozzo di pane della carestia.

Ma due piedi di pietra non sanno camminare.

Guarda! Il mezzogiorno è duro come il cemento

e i pugnali di ghiaccio macellano gli arti.

Anime che sanno di pane sono schiacciate dall’aria.

La tua mamma sono un milione di donne, piccolina,

e sciolgono il fiocco

dell’orizzonte perché

la morte possa essere temporanea, come il sonno.

Riesumiamo gli schiavi e i servi della gleba

e seppelliamo i padroni della fame,

e le fontane hanno aperto la bocca bianca

lanciando il tragico richiamo

(come è tremendo rinunciare alla propria anima!)

Ma sulle proprie tracce le fontane lasciano

il geranio e la rosa damascena.

Quale potere rabbioso

che strappa i feti dal ventre?

Fa che quell’inondazione

intrecci il letto della nostra solitudine.

Cosa farà quando inciampa la bestia

mentre l’inverno, come aquila,

la percuote con le sue ali?

Nel suo corpo vi sono milioni di onde,

uno zelo cronico per la terra,

mentre i marinai che annegano

scapperanno dai cancelli dell’acqua del Tempo

con la visione più nitida,

le linee delle costole visibili sul dorso,

dicendo:

dalle foreste entrate nel mare

spunteranno nuove foglie

perché il loro cuore non muore.

Così, quando il tempo chiude a chiave la sua porta su ognuno,

entrerò nel treno della morte, senza rancore,

terrò in mano il filo dell’assenza e lo tirerò,

e il mio Io immaginario arriverà,

il mio Io nato dal ventre di specchi

con le loro parole terrificanti ed oscure.

Ma i corpi impauriti secernono il balsamo che li salverà

e, guarda, la porte della pace si apre

tra il Paradiso e la Terra.

Solo la vita ci può portar via e restituirci.

La morte è perita

e i vermi si sono estinti.

La pietra umana si è scissa per permettere

alle nuove generazioni di nascere.

Per quanto mi riguarda,

tratterrò nel mio ventre

le uova della riproduzione

per vivere da vergine,

così che la primavera non sia costretta

a passare sotto la raffica di proiettili.

(Traduzione dall’ arabo in inglese Issa J. Boullata, dall’inglese all’italiano di Pina Piccolo)

Saniyya Salih (1935-1985) nacque a Mousiaf, una città sulla costa occidentale della Siria. Studiò letteratura inglese all’American Lebanese University a Beirut, dove conobbe il suo futuro marito, il poeta e drammaturgo siriano Muhammad Maghout. Le sue due raccolte I tempi raddrizzati (1964) e L’inchiostro dell’esecuzione(1970) vinsero il primo premioper la poesia indetto dalla rivista femminileal-Hasna.


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