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Politica della rabbia

Creato il 18 ottobre 2011 da Faprile @_faprile

martedì, 18 ottobre 2011 Politica della rabbia

da Il Paese Nuovo, 2011-10-18

.Nell'inimicizia la politica...

«Un'efficace politica dell'ordine pubblico deve basarsi su un vasto consenso popolare, e il consenso si forma sulla paura, non verso le forze di polizia, ma verso i manifestanti. [...] La gente deve odiare i manifestanti» (Francesco Cossiga), è questo che spaventa nell'Italia, dei privilegi e privilegiati, che non cambia mai. Le coincidenze e il loro inseguirsi, susseguirsi nelle ondate sterili della nostra storia recente. E mentre un articolo, dalle pagine di Repubblica di domenica 16 ottobre, pone l'accento sulle priorità dell'organizzazione della tutela
dell'ordine pubblico durante la manifestazione, poi “scoppiata” in guerriglia urbana, degli Indignados a Roma – svoltasi in contemporanea ad altre manifestazioni, tutte pacifiche, che hanno interessato 951 città in tutto il mondo per un totale di 82 paesi diversi – che ha visto, la capitale italiana, salvaguardata in quella priorità di tutela verso i palazzi del potere, mentre la guerriglia scoppiava, e diradava le coscienze della protesta, e si inaspriva, mentre tutto si abbatteva sulla solita classe dei cittadini già distrutti da politica degli interessi e crisi globale.

Non possono non tornare alla mente le parole del “metodo” Cossiga. La strumentalizzazione del sentimento di paura, oggettualizzato nelle immagini televisive della capitale in fiamme, e nel concretizzarsi delle vetrine in frantumi, astrae la parola stessa – paura – deviandone usi e propositi e significati in un gioco di manipolazione del significante, attraverso l'uso massiccio delle dinamiche di una comunicazione televisiva, che ne devia il significato e il rivolgimento sull'attenzione pubblica, in modo che l'allucinazione delle coscienze abbia luogo e gioco facile nel ri-concretizzarsi, nell'oggettivarsi del terrore, nella violenza che sconcerta e infrange Roma, per la seconda volta, a distanza di quasi un anno dagli scontri del 2010. Così, le dichiarazioni di Berlusconi, noncurante del clima teso in cui versa il Paese, non facevano altro che alimentare le fiamme su un'Italia in balia della disgregazione sociale, dichiarando – nel classico gioco della lingua del potere, per cui il ribaltamento dei contenuti, dei significati, è d'obbligo nella continua costruzione del consenso - «L'opposizione ha tentato un golpe burocratico» continuando a rivendicare un diritto, suo, di governare anche davanti all'instabile stabilità raccattata di volta in volta nella mediocrazia della politica italiana.

Nella violenza verbale del fare “potere” mediatico s'annida, dunque, il ribaltamento dei ruoli in campo, dalla paura, legittima, per il presente e il futuro – anche e soprattutto quello non immediato, ma a largo raggio per una sostenibilità che non sia una urgenza limitata, ma ancorata alla responsabilità, nostra, per un domani lontano – a quella della città in fiamme che sembra svelare sempre le solite vecchie coincidenze che «Basterebbe solo un po' più di acutezza, per comprendere che la violenza degli effetti impallidisce dinanzi alla violenza delle cause» (Marco Politano, del gruppo di Contrabbando Poetico). È nella violenza delle cause il disagio, la disgregazione, la crisi il vuoto a rendere che non sappiamo più come colmare. È nell'impossibilità del legame, del contatto, del riconoscersi nonostante le differenze che nell'esplosione di una violenza verbale, quotidiana, continua, perpetrata sui diritti, sulle necessità umane, si nasconde l'esplosione violenta che va bene, benissimo, ai governi di turno per screditare, affossare, creare il vuoto attorno. È nell'inimicizia fra gli uomini che s'agita la politica contemporanea, in quel non sapersi più guardare, cercare, incontrare prima ancora delle cause, lontani dagli effetti della narcosi sociale.
Francesco Aprile
2011-10-16

postato da: CartaStagna alle ore 09:27 


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