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Politica web e antropologi digitali

Creato il 09 settembre 2011 da Davide

Domanda: come può l’antropologo professionista inserirsi in quel nuovo scenario di politica collaborativa nutrito dalla relazione tra cittadinanza e amministrazioni attraverso le rete?

Un articolo di Repubblica parla di “rivoluzione democratica”, utilizzando termini come wikicrazia e ricordando che il primo wiki-presidente della nuova Era Digitale è stato Barack Obama, precisando comunque che  ”Va detto che i buoni risultati ottenuti finora sono stati inferiori alle enormi aspettative iniziali.” Le sfera politica non è semplice ed è ingenuo pensare che si verifichino rivoluzioni improvvise dagli esiti solamente positivi. Si tratta, come in molti altri ambiti, di avviare e consolidare processi graduali di cambiamento.

Sicuramente le aspettative erano (e sono) molte. Secondo me i processi politici delle nostre società sono notoriamente stratificati, composti ciò da un livello profondo (da “stanza dei bottoni“), da un livello superficiale (l’immagine rappresentata al pubblico attraverso i media) e ora da un livello digitale, la politica 2.0 cosiddetta “dal basso“.

Gli strumenti della rete possono essere utilizzati per collegare il cittadino ai diversi livelli di governo e amministrazione del paese. Da un lato abbiamo il progetto di monitoraggio parlamentare OpenParlamento, dall’altro abbiamo una miriade di siti di amministrazioni comunali che creano uno spazio condiviso dove la cittadinanza può esprimere opinioni, segnalare questioni problematiche di vario tipo e attendersi una risposta dell’Assessore di riferimento e, in alcuni casi, la concreta soluzione del problema. Inoltre, molte piattaforme permettono di raccogliere informazioni su molti aspetti del proprio territorio. L’esempio di Venezia e Arzignano.

E’ chiaro che l’efficacia delle proposte deve rispettare le logiche che connettono il livello profondo, quello superficiale e quello digitale del sistema politico coinvolto. Resta comunque il fatto che queste operazioni contribuiscono ad una maggiore apertura e inclusione opinionistica, dovrebbero contibuire ad una politica più orizzontale e meno verticistica e ottimizzare le risorse disponibili. In un’epoca di cambiamenti indispensabili a livello di gestione della cosa pubblica è opportuno ampliare la base delle risorse umane in campo.

Può l’antropologia culturale dare un contributo?

Io credo che questi scenari siano fecondi per gli antropologi culturali. Si tratta di lavorare all’interno dei canali di comunicazione tra realtà web e realtà operativa. L’antropologia si sta già muovendo concretamente per la comprensione delle culture digitali. Occorre però fare un passo avanti rispetto alloContinuare nella strada tracciata dall’etnografia digitale permette di monitorare cosa la cittadinanza produca in termini di idee e proposte nei siti costruiti dalle amministrazioni 2.0.  L’antropologo digitale può mettesi in ascolto.

In secondo luogo occorre analizzare, schematizzare e collegare ciò che la cittadinanza ha prodotto, gli scambi di idee, le critiche, le vulnerabilità sollevate, i desideri e le frustrazioni del vivere comune in un determinato territorio. L’antropologo digitale può analizzare i contenuti.

In terzo luogo può effettuare una rapida analisi etnografica sul campo che cerchi di chiarire con ulteriori dati le situazioni emerse nello spazio virtuale. Agire concretamente sul territorio incontrando persone e raccogliendo dati permette di dare profondità a ciò che sul web rimane spesso solo uno spunto da sviluppare. L’antropologo digitale può connettere virtuale a reale.

Infine, si tratta di elaborare i dati ottenuti e costruire una proposta operativa concreta da presentare all’amministrazione competente, fornendo una base di dati per impostare un possibile progetto e le diverse strade possibili per una sua realizzazione pratica. Può essere necessario elaborare un progetto di informazione, attivare un servizio innovativo, creare una situazione di incontro, fare formazione, eliminare dei vincoli inutili…c’è molto da fare per migliorare la convivenza civile. L’antropologo digitale può operare nello spazio pubblico.

In questo modo si evita il rischio di diventare “antropologi del comune” operando dall’alto in basso ma si costruisce un ruolo di collegamento e mediazione tra istanze, idee e proposte diffuse nella rete e la macchina amministrativa, diventando catalizzatori di cambiamento nella relazione tra cittadini e amministrazioni.


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